Elezioni regionali 2024, Basilio Gavazzani: cercasi amore politico in Basilicata. Di seguito la nota integrale.
A lume di naso sembrerebbe che ci sia disinteresse nei confronti delle elezioni regionali e che ci sia da attendersi la crescita dell’astensione dal voto. Rientreranno per l’occasione i nostri giovani sparsi per tutta la Penisola? La gente sembrerebbe aver preso atto che, grazie alle preferenze, ogni cinque anni, una oligarchia legata ora all’uno o all’altro schieramento del bipolarismo nazionale, si insedia nel Palazzo del governo a Potenza, ma poi, automaticamente, procede da sé, ignorando i bisogni e la condivisione degli elettori. Certo ai più garantiti basta godere dei diritti fondamentali che, comunque, la democrazia assicura. Essere in salute, disporre di un tetto, contare su uno stipendio adeguato, accumulare miele nella propria arnia e festeggiare appena si può, secondo l’opinione di molti non dipendono affatto da questo o quel governatore della Basilicata. Non ne aspettano niente, si arrangiano, non ne conoscono neppure il nome. Discutano pure Meloni, Tajani e Salvini se confermare Bardi o sostituirlo con altri, si adoperi pure una minoranza dinamica ad aprire il varco alla candidatura di Angelo Chiorazzo, al lucano medio poco importa. Alla nostra terra sembrerebbe mancare un popolo, una grande comunità di persone che sia protesa, oltre lo “status quo”, a una fioritura più umana, a non impoverirsi demograficamente, a sfruttare meglio le risorse culturali e materiali a disposizione, a investire per il futuro dei figli, a provvedere con decisione ed efficacia ai conterranei fuori medietà, ai precipitati, ai poveri poveri, agli invisibili. Si sostiene che circolino uomini di valore ma temano di scendere nell’agone politico. Se temono non sono di valore, essendo privi del coraggio essenziale a chi ha a cuore l’interesse pubblico. Come non desiderare che sorgano personalità lucane dotate dell’autorevolezza necessaria a ridestare nella moltitudine degli indifferenti la corresponsabilità politica, personalità etiche e, insieme, competenti, che abbiano una passione carnale e redditizia per la nostra piccola patria? Nel mondo cattolico si incontrano spiriti sensibili alla questione, ma non sono in grado di sollevarsi dalle velleità. Bisogna riconoscere con franchezza che, nonostante la perfetta Dottrina sociale della Chiesa e l’incitamento anche di questo papa, il nostro mondo cattolico ignora l’amore politico. I credenti affollano a schiera qualche processione, si assembrano davanti a qualche inevitabile rito, ma latitano quando l’intervento è richiesto dal bene pubblico. Da decenni la Chiesa non forma uomini e donne alla politica. L’irrilevanza dei cattolici nella politica italiana, denunciata da Ernesto Galli della Loggia, in Basilicata è addirittura inesistenza. Dopo Emilio Colombo, anzi già con lui, che cosa è accaduto? Agli storici approfondire. È il caso di dare un’occhiata a quel che fanno i cattolici fuori del perimetro regionale. Promosso dal quotidiano “Avvenire”, ferve il dibattito nel trentesimo dello scioglimento della DC. Nessuno nega che la conseguente dispersione abbia reso subalterni ai partiti adottati i cattolici presenti in politica. Dimentichi del pensiero sociale della Chiesa, tradotto, nel passato, da figure testimoniali come don Luigi Sturzo, De Gasperi, Dossetti, La Pira, peggio, coinvolti nelle fiere inimicizie che incanagliscono la politica italiana, i cattolici non hanno peso. La tesi di Galli della Loggia ha una sua forza probante. Il cardinale Zuppi ha replicato che i cattolici sono «magari irrilevanti, ma certo non disinteressati». Risposta che non consola, evasiva, nel mentre, in questo momento tragico della storia, c’è dovunque un’assoluta carenza di fraternità ed equità e, invano, si invoca la pace. Certo si può vantare il contributo luminoso dato al Parlamento europeo dal compianto David Sassoli e il largo apprezzamento di cui gode il cattolicissimo presidente Mattarella, ma gli altri? Compaiono qua e là tentativi di ritagliarsi uno spazio nell’area di centro, ma proprio perché plurali, cioè divisi, non sembrano aver futuro. In Basilicata non ci interessa solo un cattolicesimo politico fattivo che per crescere, a dirla alla bergamasca, ne deve mangiare di polenta, riscoprendo il presupposto fondamentale, lapalissiano, evocato dal cardinale Zuppi: «essere cristiani» e, si aggiunga, essere competenti. All’atto delle cose conta maggiormente il protagonismo di tutti i «liberi e forti», si adotti la coppia sturziana di aggettivi, uomini e donne, laici e credenti, preoccupati delle sorti del nostro popolo, non impastoiati dalla parte bipolare cui appartengono. Costringano gli aspiranti leader a prevedere il giogo di un autentico servizio, scevro da interessi, a non svendere programmi di carta, a valorizzare le energie e le creatività disseminate nel territorio, le esperienze e le entità che spiccano soprattutto per la loro autonomia, le associazioni e i vitali corpi intermedi, ad ascoltare finalmente le voci degli scartati. La Basilicata ha diritto di aspettarsi uomini che ardano per lei. Ai giovani il privilegio di primeggiare nell’osare il nuovo.