“Occorre lavorare sull'”umano”; non possiamo far finta di non vedere ciò che accade, non possiamo solo contare le vittime delle guerre a intermittenza”. È il monito lanciato da Marco Tarquinio, giornalista già direttore di Avvenire, intervenuto a Potenza per un dibattito sulla Pace nella sede del Comitato “Basilicata una storia nuova” di Angelo Chiorazzo, moderato dalla giornalista Loredana Costanza.
“Le guerre – ha spiegato Tarquinio – come ogni ingiustizia possono essere fermate annullando l’indifferenza. Le vittorie non arrivano mai se non poniamo il nostro sguardo sulle persone, uno sguardo collettivo non egoista”. Parole che hanno fatto sintesi degli interventi che in precedenza avevano messo in luce i vari aspetti del tema della Pace. A partire da quello della giustizia e della solidarietà sociale. “La povertà – ha spiegato Marina Buoncristiano – ha troppi volti e non possiamo rimanere indifferenti. Dobbiamo vigilare e ed essere attenti ai bisogni, dobbiamo andare oltre e prendersi cura degli altri”. Una cura che don Giuseppe Molfese, direttore regionale della Caritas, ha declinato sotto un altro aspetto. “Il valore dell’accoglienza – ha detto – è sacro. Quotidianamente abbracciamo e incontriamo quanti in altri luoghi del mondo sono stati costretti a fuggire per cercare la normalità e la speranza di un futuro migliore. Anche dare una prospettiva a chi fugge da un inferno fatto di guerra o di povertà è un modo per costruire la pace”.
Parole che sono diventate fatti nella testimonianza di Tamim Arya fuggito dall’Afganistan prima in guerra e poi consegnato ai talebani e arrivato in Italia. “Mi sono sentito accolto – ha raccontato – e ora credo nel futuro. Ho visto cose terribili e pur avendo abbandonato la mia famiglia sono qui perché voglio provare a vivere in un mondo migliore. Sogno di poter frequentare l’università qui in Italia per dare un contributo sempre più qualificato non solo al mio Paese, ma ad un’umanità in cui, oggi, è facile riconoscermi al di là dei confini”.
Dal dibattito è emerso uno scenario ampio e complesso che non è però possibile affrontare per pezzi. “L’antidoto alla guerra – ha detto Angelo Chiorazzo citando Gino Strada – sta nella costruzione dei diritti umani. E oggi dobbiamo purtroppo prendere atto che le varie occasioni che la storia ci ha consegnato per costruire una giustizia che potesse essere fondamento per la pace non sono state colte. Ci troviamo così a vivere quella che Papa Francesco definisce una “guerra mondiale a pezzi” rischia di unificarsi in un conflitto globale. E abbiamo il dovere di non rassegnarci, di prendere coscienza che la pace va costruita ovunque, da chiunque, in ogni tempo. E la Guerra non può essere mai la risposta. Perché, come dice Papa Francesco “Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come l’ha trovato”. E ogni minuto perso per costruire pace e giustizia è una sconfitta che non possiamo permetterci.
Riflessione di Angelo Chiorazzo sul tema della Pace
Di fronte a quanto sta succedendo nel mondo non è possibile chiudere gli occhi. Si sentirebbe comunque il rumore delle armi. Per la generazione che ha vissuto prima l’epoca della “guerra fredda” e poi la caduta del muro di Berlino e l’illusione di una nuova stagione di pace c’è una delusione e al tempo stesso una lezione.
Dobbiamo prendere atto che quella che Papa Francesco definisce una “guerra mondiale a pezzi” rischia di unificarsi in un conflitto globale. E se fino a qualche anno fa l’illusione di un occidente ricco e indolente era quella che i conflitti riguardassero le cosidette aree “marginali” della Terra, dopo aver dovuto accettare l’esistenza di un conflitto in Europa oggi non possiamo non tremare all’ipotesi di un allargamento del fronte.
Il primo problema è forse stato proprio il modo di pensare che abbiamo, collettivamente, avuto fino ad oggi: perché nel mondo non esistono aree o persone marginali, non esistono diversi gradi di diritto alla felicità, alla tranquillità, alla pace. Dobbiamo riconoscere che quando abbiamo avuto l’occasione, alla fine della guerra fredda, di “esportare pace e democrazia” come diceva qualcuno, non siamo stati storicamente all’altezza della sfida, perché non c’è pace e democrazia senza giustizia sociale.
Per restare in Europa, la caduta dell’Unione Sovietica non è stata accompagnata con uno sforzo collettivo per dare sviluppo ed equità a quel pezzo di mondo, i cui beni sono anzi spesso diventati oggetto di avide mire, interne ed esterne. La caduta dei muri, paradossalmente, non ha creato un mondo più coeso, ma ha accentuato gli egoismi, la sopraffazione, la logica del più forte, con la logica delle armi che ha ceduto il passo a quella del potere economico.
La storia, in questo, deve essere la chiave per leggere la realtà di oggi. Anche per i tragici fatti del Medio Oriente. La nascita dello Stato di Israele, in parallelo al percorso di uno Stato palestinese, nel secondo dopoguerra, poteva essere un’occasione di pace, ma la mancanza di equità con cui è stata attuata l’ha portata più ad essere una manovra per allontanare i problemi dall’occidente che un pilastro di Pace. E oggi, a distanza di tre quarti di secolo, siamo in una situazione in cui diventa difficile distinguere ragioni e torti tra le parti in causa anche perché, forse, i torti maggiori stanno lontano dallo scenario del conflitto.
Ma, al tempo stesso, non si può non prendere atto di una catastrofe umanitaria che nessuna ragione può giustificare, della necessità di un’azione per fermare le armi senza se e senza ma, da ogni parte. Dell’impossibilità di fare finta di nulla. Perché non è giusto abbandonare nessuno a questo destino, né chi vive quotidianamente con l’incubo della morte per terrorismo, né chi vede i propri cari morire sotto le bombe e nemmeno chi è costretto a una vita in un lager. Diversamente il conflitto produrrà altro conflitto in una spirale al ribasso.”Dio – dice ancora Papa Francesco – sta con gli operatori di pace, non con chi usa la violenza. Ogni guerra lascia il mondo peggiore di come l’ha trovato”.
Lo stesso discorso dobbiamo articolarlo sulle coordinate nord-sud del mondo. Pensare che il problema alla base delle migrazioni epocali che stiamo vivendo siano le migrazioni stesse, per i territori ricchi che ne diventano meta è una visione miope. Anche in quel caso una scelta è inevitabile: ostinarsi a cercare di fermare il vento con le mani e attendere che la pressione migratoria diventi conflitto (nel raggiungere le destinazioni o nell’integrarsi nelle società ospitanti), o intervenire alla radice, lavorando per costruire giustizia ed equità nelle realtà da cui questi fenomeni si originano. “L’antidoto alla guerra – ci ha insegnato Gino Strada – sta nella costruzione dei diritti umani”. Così, il non riuscire ad alzare lo sguardo oltre l’orizzonte presenta un rischio in più: che mentre il ricco mondo democratico si richiude su sé stesso, ci siano, come già ci sono, economie mondiali forti e rampanti ma totalitaristiche che investono su questi Paesi in difficoltà, creando una dipendenza nella logica di un nuovo ordine mondiale che sovverta anche i valori di fondo della nostra società.
Sono discorsi ampi, alti, complicati. Ma non lontani. Perché “la pace – ci ricorda il cardinale Matteo Zuppi – è quello di cui l’umanità ha più bisogno oggi”. Perché la soluzione è nei comportamenti di ogni giorno. Nelle scelte che facciamo dalla politica ai consumi, alla sostenibilità ambientale. Dobbiamo essere in grado di costruire un mondo più giusto a partire dalla realtà in cui siamo immersi. Perché i valori su cui ci basiamo e di cui andiamo fieri rischiano di restare teoria, quasi utopia, agli occhi di chi non sente di avere il diritto alla salute, alla sicurezza alimentare, all’istruzione al futuro dei figli, indebolendo anche la resilienza delle nostre democrazie.
In questo nessuno è escluso. Nessun livello di governo, nessuna persona. Perché non c’è pace senza giustizia e la costruzione della giustizia non può essere qualcosa da delegare solo agli altri.