Basilio Gavazzeni: “Tre anniversari in vista in un gennaio senza merla”. Di seguito la nota integrale.
- Tre anniversari in vista
Disdegno ricordare gli anniversari che mi riguardano, tuttavia quest’anno sarò obbligato a commemorarne tre, legati a episodi la cui risonanza si è dilatata ben oltre il perimetro della Lucania, per la connessione con il mio impegno contro l’usura. Il 6 maggio ricorrono trent’anni dall’insulto dinamitardo alla chiesetta parrocchiale di sant’Agnese, perché notoriamente avevo convinto una povera donna a denunciare un usuraio di Monopoli che la vessava da anni, e a farlo cogliere in flagrante. Il 29 novembre si dovrebbe festeggiare il trentesimo dell’Atto costitutivo della Fondazione Lucana Antiusura Mons. Vincenzo Cavalla, voluta dalla Prefettura di Matera, dall’Arcidiocesi di Matera-Irsina, dalla Camera di Commercio e dalla meglio società civile di Matera, terza o quarta a sorgere tra le Fondazioni del genere. Terzo anniversario: vent’anni fa, il 1 marzo, ad Angelo Festa, primo Presidente della Fondazione, e a me, il Tribunale di Matera, in pubblica udienza, riconobbe che non avevamo nulla a che fare con il disegno delittuoso di stornamento e malversazione imputatoci sei anni prima, accantonando la pur doverosa e ragionevole presunzione di innocenza. Fummo mandati assolti dall’imputazione contestata con la formula «perché il fatto non sussiste». Bisognerà scriverne – «factum infectum fieri nequit» (ciò che è stato fatto non può essere considerato non fatto) – anche se costerà aprire una ferita rimarginata. Non conservo rancore per quell’accusa, ma è difficile dimenticare, evitare il morso della sofferenza e dell’indignazione, quando penso a quei sei anni – tanto durò il processo configuratosi complesso – vanamente amareggiati. Signore, una punzecchiatura di zanzara, alla fine, a confronto con il dolore del mondo e i miei peccati.
- Riconoscenza che stupisce
Inattesa telefonata del signor T. alla Fondazione Lucana Antiusura, per ringraziare. Il signor T. fa il fruttivendolo ambulante per i paesi della nostra provincia. Lo ricordiamo petto incavato, occhiaie livide, frenetico, alla guida di un furgone d’accatto su cui ballonzolavano pochi meloni. Ha beneficiato più volte di prestiti bancari garantiti dalla Fondazione. Nella telefonata: «Signor don Basilio (sic!) ti voglio ringraziare. Finalmente ho risolto tutti i miei problemi e ho imboccato la buona strada. Se càpito a Matera passo a salutarti». La Segreteria della Fondazione è sorpresa. Il signor T. ci ha fatto tribolare per almeno due decenni, e l’abbiamo bestemmiato innumerevoli volte per le ripetute morosità, lui e la madre supplice e garante. Quando mai altri, scampato grazie a noi alla stretta dei debiti e riammesso nel credito legale, si è spinto a ringraziare? Di colpo prendiamo atto che i postulanti, compresi i più leali, cui in tre decenni la Fondazione ha complessivamente garantito circa 11 milioni di euro presso le Banche in convenzione, non si prendono mai la briga di ringraziarci quando il loro caso è risolto. Motivo in più per tirare avanti.
- Viva la biblioteca
Il 26 gennaio un’amica mi segnala che a difendere la Biblioteca di Matera sono insorti soprattutto uomini e donne di sinistra. È necessario riconoscerlo. Uscito dalla Sanpaolo, in piazza incontro Pasquale Doria che mi regala una sua erudita e preziosa pubblicazione del 2015: “Scripta manent. Dalle parole perdute alla biblioteca ritrovata”, Edizioni Giannatelli. Come mi era sfuggita? Grazie, grazie. Nel pomeriggio mi giunge l’ultima opera del filosofo della scienza Evandro Agazzi dal titolo provocatorio “Dimostrare l’esistenza dell’uomo”, Mimesis, 2023. Un altro “giocattolo” per me, 561 pagine sulle quali affilare la mente. Vi eseguo immediatamente alcuni carotaggi. A pagina 292 del capitolo dodicesimo sull’afferenza etnica della persona, toh, il paragrafo 12.2 è dedicato alla funzione delle grandi biblioteche. Leggo della “Biblioteca” di Alessandria d’Egitto, fondata dai Tolomei nel terzo secolo prima di Cristo, centro culturale dell’ellenismo, la cui distruzione fu iniziata sotto l’imperatore Teodosio e portata a termine dagli Arabi nel 642, privando i posteri pressoché di tutti i manoscritti della cultura classica greca. Leggo anche della biblioteca musulmana di Baghdad, cresciuta per cinque secoli sotto i califfi Abassidi che, nel 1258, furono annientati dai Mongoli. I cronisti raccontano che le acque del Tigri nereggiarono per gli inchiostri dei manoscritti e rosseggiarono per il sangue degli uccisi. Sorti analoghe nelle Americhe toccarono ai codici pittografici dei popoli autoctoni. Quei nazisti “ante litteram” che furono gli Atzechi li razziarono e distrussero mentre imponevano la loro terrificante egemonia. Quelli finiti nelle mani dei “conquistadores” furono distrutti a Madrid. Ne scamparono pochi, grazie alla disobbedienza di alcuni religiosi illuminati. Da un decennio, soprattutto negli Stati Uniti, il testimone di quelle barbarie è stato raccolto dalla “cancel culture” (cultura dell’annullamento) che, per sete di vendetta, variamente giustificata, ha già ridotto in cenere migliaia di libri, demolito statue, espulso dipinti e censurato film. Nelle biblioteche sono deposte le identità culturali dei popoli e delle persone, dimostra il filosofo. Lasciare che la biblioteca materana diventi un “bibliotafio” (recupero la parola cimiteriale da “Scripta manent “, p.17, di Pasquale Doria) ?
- Zolla e Fumo
Non è molto noto che Fëdor Dostoevskij, oltre che immenso romanziere, avesse anche scritto versi ed esercitato una certa influenza su alcuni poeti dell’avanguardia anni Trenta. Il romanziere collocava le composizioni poetiche sulla bocca di un suo personaggio, il capitano Lebjadkin sempre a capofitto nel bicchiere e nelle chiacchiere. Tradotti da Claudia Scandura, ora quei versi sono pubblicati dall’Editrice Elliot. Dostoevskij, insieme alla moglie, compose una favola poetica da cui possiamo ricavare una lezione sul senso della vita. La riferisco in prosa. I protagonisti della favola sono Zolla che, appagata, in umiltà, giaceva nel campo di un contadino e Fumo che, uscendo dalla fabbrica di un mercante, si vantava di raggiungere il cielo. Zolla non comprendeva, si meravigliava che Fumo disprezzasse la sua stanziale bassura. Fumo provocava: «Non ti vergogni di lavorare sotto un rozzo agricoltore? Guarda me che mi innalzo in cielo a zig zag folleggiando in libertà». Zolla gli rispose: «Superficiale, non riesci a immaginare una vita tranquilla. Certo qui giaccio in eterno, ma produco cereali, ne sono fiera, il tuo sarcasmo non mi tocca».