Vincenzo Maida: “Se Sanremo non più Sanremo”. Di seguito la nota integrale.
Troppa apparenza, troppe luci e poca sostanza: la specificità della musica italiana immolata sull’altare di un fatuo apparire.
Siamo tra coloro, non sappiamo ancora se molti o pochi, che stanno assistendo alla 74^ edizione del festival di Sanremo distrattamente e solo a momenti.
La noia è più forte della curiosità, perché più che le emozioni di un bel testo e di una bella musica, a chi sta comodamente seduto a casa in poltrona, arriva l’esagerato scintillio delle luci e degli effetti effetti speciali e gli abbigliamenti esageratamente eccentrici.
Per non parlare dello sforzo continuo del presentatore e dei suoi sodali di apparire simpatici.
Egli è stato ormai da tutti da Amadeus ribattezzato con il più confidenziale “Ama”.
Gli hanno accorciato il nome ma non il compenso che lo scorso anno era di circa 70 mila euro a serata, per un totale di 350 mila euro ma, come riporta La Stampa, quest’anno il cachet del presentatore potrebbe raggiungere i 700 mila euro. E già questo sarebbe un buon motivo per cambiare canale.
Da non esperti in materia pensavamo che la nostra fosse soltanto una sensazione, una reazione istintiva a chi senza alcun motivo e senza che nessuno glielo abbia richiesto, ma soltanto per assecondare la “vulgata” corrente, ha fatto una insensata professione di antifascismo, canticchiando il motivetto di Bella Ciao, non sapendo che questa canzone ha una storia molto diversa da quella da lui immaginata. Abbiamo poi scoperto che anche chi di musica se ne intende ed è stato anche parlamentare del PCI, il cantautore Gino Paoli, la cui musica e i cui testi sono apprezzati anche da chi è lontano anni luce dalle sue idee politiche, ha definito “squallido” lo spettacolo musicale sanremese di quest’anno.
Lo ha fatto durante intervista per il podcast Tintoria, condotto da Daniele Tinti e Stefano Rapone e diffuso su YouTube e altre piattaforme di streaming.
Egli ha dichiarato che: “No, non guardo Sanremo. Una volta le case discografiche mandavano la canzone migliore che avevano, arrivavano le migliori canzoni. Era il Festival della canzone, non era neanche importante chi la cantasse. Poi le case discografiche si sono accorte del potere rituale che Sanremo ha per l’Italia e adesso fanno il prodotto finito e lo mandano a Sanremo. Da lì la televisione si accorge che lo spettacolo di Sanremo funziona, arriva non solo in Italia ma anche fuori, e allora si appropria di Sanremo e lo fa diventare lo squallido spettacolo che è adesso. Nani e ballerine, c’è un po’ di tutto. Lì contano gli scandali per far parlare”.
Una volta Sanremo, che va in mondovisione, rappresentava la specificità della canzone italiana nei testi, nella musica, ma anche nella sobrietà della scenografia, oggi sono prevalse altre logiche che hanno completamente snaturato la sua “italianità”.