Fp Cgil: grido d’allarme sulla sanità lucana, se dovesse essere approvata la legge Calderoli la situazione non potrà che aggravarsi. Di seguito la nota integrale.
Ancora una volta, in occasione della inaugurazione dell’anno giudiziario 2024, la Corte dei Conti ha lanciato un grido d’allarme sulla sanità.
Tra riduzione della spesa sanitaria in termini percentuali sul PIL e mancato aggiornamento dei Livelli Essenziali di Assistenza, sempre più si allarga il gap tra le regioni. D’altronde già nell’ultimo rapporto SVIMEZ di Febbraio 2024 “Un paese, due cure. I divari Nord-Sud nel diritto alla Salute” viene affrontato il tema dell’ampliamento dei divari territoriali nell’offerta di prestazioni sanitarie, in un Paese che dopo l’emergenza Covid-19 è tornato a disinvestire nella salute dei cittadini. Basti pensare che la spesa sanitaria pubblica del nostro Paese nel 2023 si è attestata al 6,6% del PIL (ben al disotto della media europea del 7,1%) e con uno scenario non certo incoraggiante, se si considera che in prospettiva il DEF, come già piu volte denunciato, prevede una ulteriore discesa al 6,2% negli anni 2025 e 2026.
Dal citato rapporto Svimez emerge chiaramente che il Mezzogiorno è l’area del Paese caratterizzata dalle peggiori condizioni di salute, secondo gli indicatori BES (Benessere Equo e Sostenibile) sulla salute.
E la Basilicata è la regione con la più bassa spesa corrente sanitaria pubblica pro-capite. A fronte di una media nazionale di 2.140 euro, la nostra regione, infatti, con un valore di 1.941 euro è seguita solo dalla Campania (1.818 euro) e dalla Calabria (1.748 euro).
Anche per quel che concerne la performance dei sistemi sanitari regionali, la Basilicata si colloca con un punteggio minimo di 12, insieme alla Calabria, rispetto ad un valore massimo raggiungibile pari a 100. Non è un caso che il grado di soddisfazione per le prestazioni dei servizi sanitari regionali rispetto alla qualità percepita dall’utenza, è molto basso.
Ciò che emerge in modo evidente è che la disparità dei servizi sanitari regionali sta intensificando il fenomeno della mobilità interregionale sanitaria. Ben il 25% dei lucani si è curato in regioni del centro nord per patologie oncologiche e i tassi di adesione ai programmi di screening oncologici sono lontani dai risultati di una regione che nello scorso decennio si attestava tra le regioni benchmarking.
Tra servizi di prevenzione e cura più carenti, minore spesa pubblica sanitaria, sempre più lunghe sono le distanze da percorrere per ricevere assistenza.
Di fronte a questo quadro non comprendiamo come si faccia a sbandierare l’autonomia differenziata come una opportunità per i lucani.
La Corte dei Conti lo chiarisce in modo granitico: il nostro servizio sanitario nazionale non garantisce più una effettiva equità di accesso alle prestazioni sanitarie e l’autonomia differenziata non farà altro che spingere verso tanti diversi sistemi sanitari regionali sempre più basati sulle regole del libero mercato. Assistiamo ormai ad uno spostamento del mercato del lavoro sanitario verso retribuzioni più congrue, e la nostra regione è in parte già vittima di questo processo, come dimostra la difficoltà nel reclutare molte professionalità sanitarie visto che ci collochiamo al terzultimo posto per le retribuzioni medie del comparto e all’ottavo per la retribuzione media della dirigenza sanitaria. Se dovesse essere approvata la legge Calderoli, la situazione non potrà che aggravarsi accentuando l’esistente differenziazione e sperequazione territoriale; con questa consapevolezza continueremo ad essere in campo per fermare il disegno sull’autonomia differenziata, per salvaguardare un servizio sanitario nazionale non solo pubblico, ma universale e di qualità.