In ricordo di don Peppe Diana a trent’anni dal suo martirio, don Marcello Cozzi: “Siamo preoccupati”. Di seguito la nota integrale.
“Siamo preoccupati”. A Natale del 1991 don Peppe Diana e altri preti iniziavano con queste parole il loro appello “Per amore del mio popolo non tacerò”.
Erano preoccupati non solo per una Camorra che incuteva “sempre più paura” e morte, ma anche per il “disfacimento delle istituzioni civili” e “per una inefficienza delle politiche occupazionali, della sanità che creano sfiducia negli abitanti dei nostri paesi”.
Oggi a trent’anni da quel 19 marzo 1994 in cui don Peppe fu ammazzato il miglior modo per onorarne la memoria ed ereditarne l’impegno in questa nostra regione è quello di affermare senza mezzi termini che anche noi oggi “siamo preoccupati”.
E anche noi non tanto e non solo per una presenza malavitosa che in Basilicata nonostante le recenti brillanti operazioni giudiziarie continua in silenzio ad essere presente sul territorio, ma soprattutto – ci sia consentito – per un disfacimento che sempre più negli ultimi tempi ci sembra di vedere nell’attuale dibattito politico, nelle sue modalità e nei suoi linguaggi, e per una sempre più pervasiva inefficienza “delle politiche occupazionali e della sanità” che creano una crescente sfiducia in tante persone ma soprattutto nel mondo giovanile. E siamo preoccupati perché se il disfacimento a cui don Peppe faceva riferimento nel suo appello aveva consentito “l’infiltrazione del potere camorristico a tutti i livelli”, il disfacimento del dibattito politico a cui ci sembra di assistere nella nostra regione sta spalancando le porte ad una massiccia infiltrazione di logiche populiste e di disaffezione dei cittadini dalla politica intesa come bene comune.
E allora ricordare oggi don Peppe Diana significa che anche noi “per amore del nostro popolo” non possiamo tacere dinanzi a macchinazioni, strategie e decisioni politiche che stanno volando alto rispetto ai reali bisogni dei lucani e che stanno allontanando sempre più la vita reale della gente dalla sacralità delle Istituzioni.
Anche noi, come don Peppe e gli altri preti scrivevano in quell’appello, “tra qualche anno non vorremmo batterci il petto colpevoli e dire con Geremia “siamo rimasti lontani dalla pace… abbiamo dimenticato il benessere… La continua esperienza del nostro incerto vagare, in alto ed in basso, … dal nostro penoso disorientamento circa quello che bisogna decidere e fare… sono come assenzio e veleno”.