Tra il 2000 e il 2023, sono stati ben 1.385 i conflitti che hanno visto la risorsa idrica come fattore scatenante o come arma contro le popolazioni.
Crescono le migrazioni forzate, tra le zone più interessate il Corno d’Africa ed in particolare la Somalia: nel 2023, secondo UNHCR, quasi 3 milioni di nuovi spostamenti forzati all’interno del Paese per la combinazione di siccità e inondazioni con situazioni di conflitto e insicurezza
A ciò si aggiunge la difficoltà nelle aree dove le persone rifugiate e sfollate sono accolte a fornire servizi idrici e igienico-sanitari.
Legambiente: ” Urgente una cooperazione internazionale nella gestione sostenibile delle risorse idriche. Serve una strategia idrica nazionale basata non solo sull’accumulo per affrontare i periodi di carenza, ma servono anche strategie regionali finalizzate alla riduzione della domanda e dei prelievi per gli usi dell’acqua in tutti i suoi settori”
Link al focus: https://www.legambiente.it/wp-content/uploads/2024/03/Acqua-conflitti-e-migrazioni-forzate-2024.pdf
L’acqua come ponte verso la pace piuttosto che fonte di conflitto. È l’appello che lanciano Legambiente e UNHCR (Agenzia delle Nazioni Unite per i Rifugiati) con il focus“Acqua, conflitti e migrazioni forzate: la corretta gestione delle risorse idriche come strumento di stabilità e pace” (tratto dal report “Un’umanità in fuga: gli effetti della crisi climatica sulle migrazioni forzate”) presentato in occasione della Giornata mondiale dell’acqua 2024 (World Water Day),quest’anno dedicata proprio al tema della risorsa idrica come strumento di pace.
La crisi idrica globale, diretta conseguenza della crisi climatica e della gestione insostenibile delle risorse idriche, rappresenta una minaccia per il Pianeta ma anche per la pace. Infatti, la gestione e il controllo delle risorse idriche porta sempre di più all’aggravarsi di tensioni e conflitti nelle aree più vulnerabili del mondo con impatti violenti sul futuro delle popolazioni, costrette a fuggire, talvolta verso insediamenti o campi esposti a gravi rischi climatici e dove è sempre più difficile fornire servizi idrici e igienico-sanitari. Secondo il secondo rapporto Groundswell della Banca Mondiale, si prevede che entro il 2050 circa 216 milioni di persone potrebbero essere costrette a migrare a causa degli impatti climatici, tra cui lo stress idrico. Tra le parti del mondo più colpite il Corno d’Africa: solo in Somalia nel 2023, secondo le stime dell’UNHCR, la più grande siccità degli ultimi 40 anni e le inondazioni, combinandosi con situazioni di conflitto e insicurezza, hanno causato quasi 3 milioni di nuovi spostamenti forzati all’interno del Paese.
Tra il 2000 e il 2023 sono stati ben 1.385 i conflitti legati alla gestione della risorsa idrica (fonte Pacific Institute). Tra questi la guerra civile siriana e i conflitti nella regione africana del Sahel.
Alla luce di questo e’ urgente una cooperazione internazionale nella gestione sostenibile delle risorse idriche.
Anche l’Italia deve fare la sua parte. La sfida di una corretta gestione dell’acqua non riguarda solo i paesi con economie in via di sviluppo ma anche quelli con economie sviluppate, dove si aggravano gli effetti della crisi climatica. Anche l’Italia, che nel corso del 2023 ha registrato un incremento del 22% degli eventi meteorologici estremi rispetto all’anno precedente e che dal 2010 al 31 dicembre 2023 ha contato su 1.947 eventi meteorologici estremi ben 1.168 con protagonista la risorsa idrica (dati aggiornati Città Clima Legambiente), è chiamata a fare la sua parte. Per questo Legambiente torna a ribadire l’appello al Governo di accelerare sull’attuazione del Piano Nazionale di Adattamento ai Cambiamenti Climatici e delle relative risorse economiche necessarie, partendo da: 1) una cabina di regia e una governance unica e integrata dell’acqua per risolvere le inefficienze ed ottimizzare i prelievi e gli usi; 2) assicurare la buona qualità e la sicurezza dell’acqua per uso potabile, come richiesto dalla direttiva europea 2020/2184 sulle acque destinate al consumo umano, aggiornando i limiti per alcuni inquinanti, aggiungendo altri contaminanti (PFAS e microplastiche) e promuovendo un sistema di monitoraggio che consideri tutta la catena di approvvigionamento dell’acqua potabile e che si basi sul rischio; 3) una progettazione e pianificazione integrata e di qualità per ridurre gli usi della risorsa e prevenire l’inquinamento, assicurare una buona qualità in uscita dagli impianti che sia adeguata agli usi per un corretto riutilizzo in agricoltura e nell’industria.
Secondo ISPRA il 28% del territorio italiano presenta segni di desertificazione, che non è banalmente un problema di mancanza d’acqua; infatti in Italia l’80% dei suoli ha un tenore di carbonio organico inferiore al 2%, di cui una grossa percentuale ha valori minori dell’1%. Questo indica suoli disfunzionali, suscettibili alla desertificazione e al degrado, meno capaci di trattenere acqua e nutrienti, dalla minore capacità produttiva. La Basilicata è tra le Regioni più vulnerabili da questo punto di vista e quindi è necessaria l’adozione di misure mirate all’incremento della funzionalità ecologica dei suoli incentivando pratiche colturali che permettano di aumentare la sostanza organica dei suoli e quindi la loro capacità di stoccare acqua. Inoltre diventa prioritario pensare a quali strategie mettere in campo per adattare la produzione agricola alle crisi idriche future, in uno scenario di crisi climatica.
Temi di cui si parla poco, mentre il dibattito rischia sempre più di concentrarsi sui danni causati all’agricoltura dalla siccità proponendo l’approccio “infrastrutturale” (schemi idrici, invasi, adduttori, traverse di derivazione) come unica soluzione praticabile. Sul medio e lungo periodo è necessario sviluppare un approccio nuovo sistemico e integrato, una strategia idrica che abbia come obiettivo non solo l’accumulo per affrontare i periodi di carenza, ma soprattutto la riduzione della domanda d’acqua e quindi dei prelievi e degli usi dell’acqua in tutti i suoi settori.
In Basilicata oltre la metà dell’acqua immessa nelle tubature per tutti gli usi viene dispersa. Riparare gli acquedotti colabrodo e garantire acqua buona e per tutti, deve essere priorità regionale e chiave di sviluppo sostenibile per aprire cantieri in ogni territorio. Ma servirebbe anche realizzare sistemi di raccolta e recupero delle acque meteoriche in ambiente urbano. Dal punto di vista qualitativo la priorità consiste nel superare le attuali, ancora elevate criticità del sistema di depurazione delle acque reflue urbane. In Basilicata ci sono ancora diversi depuratori che violano le norme UE sugli obblighi di raccolta o trattamento delle acque reflue urbane e per questo sono in infrazione comunitaria. Per questi impianti bisogna intervenire celermente, accelerando le tempistiche previste, per renderli conformi alla Direttiva 91-271 Cee evitando, in tal modo, multe salate per l’intera collettività ma, soprattutto, migliorando la qualità delle acque di fiumi, torrenti e mari.
Una strategia integrata dell’acqua in Basilicata deve puntare anche sulla conoscenza ed aggiornamento dei dati disponibili. Invece la nostra Regione sconta, come denunciamo da anni, una storica carenza di attività di monitoraggio adeguate finalizzate alla caratterizzazione qualitativa e quantitativa dei corpi idrici superficiali e sotterranei. I fiumi e i corsi d’acqua sono poco controllati e monitorati, gli acquiferi sono praticamente sconosciuti dal punto di vista quantitativo e per buona parte non classificati dal punto di vista qualitativo. Ci aspettiamo un nuovo protagonismo dell’ente regionale e di Arpab su questo tema anche al fine di dotare la Regione del Piano di tutela delle acque atteso dal 2008 quando fu adottato, monco, però, delle necessarie conoscenze che soli i dati di un monitoraggio costante e sistematico possono fornire.