Autonomia differenziata, Fp Cgil: “Fermare questo disegno scellerato. Nessun miglioramento delle condizioni di vita e di benessere al sud quanto al nord”. Di seguito la nota integrale.
Il disegno di legge Calderoli sull’autonomia differenziata, approvato al Senato e ora in discussione alla Camera, è un disegno scellerato che mina l’unità del Paese scardinando il quadro istituzionale, allargando divari economici e sociali dai quali è già attraversato il nostro paese e segnando un punto di non ritorno nell’equità dell’assistenza sanitaria del nostro paese. Per questa ragione, come Fp Cgil di Potenza abbiamo aderito alla campagna contro l’autonomia differenziata avviata dalla Flc Cgil, in presidio davanti agli ospedali lucani con il camper dei diritti.
Il report pubblicato proprio ieri dalla Fondazione Gimbe su “L’autonomia differenziata in sanità” esamina le criticità del Ddl e analizza il potenziale impatto sul Servizio sanitario nazionale della maggiore autonomia richieste dalle regioni in materia di “tutela della salute” conferma ancora una volta la fondatezza dei nostri timori rispetto ad un progetto legislativo che mette a rischio la equità delle cure e dell’assistenza sanitaria del nostro paese.
Dagli adempimenti ai Livelli Essenziali di Assistenza (LEA) – le prestazioni sanitarie che le Regioni devono garantire gratuitamente o previo il pagamento del ticket – valutati con la griglia LEA nel decennio 2010-2019 emerge che nelle prime 10 posizioni non c’è nessuna Regione del Sud e che la Basilicata si colloca al 12 posto.
Col nuovo sistema di garanzia, sia nel 2020 che nel 2021 le Regioni del Sud sono agli ultimi posti, con la Basilicata inadempiente nel 2020 e al penultimo posto tra quelle adempienti nel 2021 collocandosi a 207 punti sui 300 misurati.
L’aspettativa di vita, come per tutte le regioni del mezzogiorno, anche in Basilicata è al di sotto della media nazionale – la Basilicata si piazza sest’ultima – e il dato della mobilità sanitaria passiva viene ulteriormente conclamato, raggiungendo la cifra per l’annualità 2021 di € -83.482.904, un dato elevatissimo, soprattutto se rapportato alla popolazione residente.
Ecco perché l’attuazione di maggiori autonomie in sanità, richieste proprio dalle Regioni con le migliori performance sanitarie e maggior capacità di attrazione, non potrà che amplificare le diseguaglianze già esistenti e ben fotografate dalla fondazione Gimbe.
I dati confermano che in sanità, nonostante la definizione dei LEA nel 2001, persistono inaccettabili diseguaglianze tra i 21 sistemi sanitari regionali e il monitoraggio dei livelli essenziali di assistenza certifica come già si stia consumando proprio in sanità quello che potremmo definire il più grande fallimento rispetto all’obiettivo di un sistema universale ed equo.
Servizi sanitari compromessi, equità di accesso, esiti di salute e aspettativa di vita alla nascita così differenziate in funzione della regione nella quale si risiede, sono lo specchio di un SSN che attraversa una gravissima crisi di sostenibilità, anche a causa del suo sotto-finanziamento.
La maggiore autonomia in termini di contrattazione del personale, ad esempio, provocherà una fuga dei professionisti sanitari verso le regioni in grado di offrire condizioni economiche più vantaggiose, impoverendo ulteriormente il capitale umano del Mezzogiorno. A lungo andare, tuttavia, rendendo le regioni del centro sud sempre più dipendenti da quelle del nord si trasformerà per le stesse regioni del nord in un vero e proprio boomerang, perché all’eccessiva richiesta non si potrà che rispondere con un peggioramento della stessa assistenza sanitaria, non solo portando a far collassare la sanità del Mezzogiorno, ma distruggendo l’intero sistema sanitario italiano.
Il rischio concreto sarà quello di dover rinunciare per sempre alla più grande conquista sociale del Paese e ad un pilastro della nostra democrazia, la sanità pubblica, stravolgendo i nostri princìpi solidaristici a favore di un regionalismo competitivo, lontano dal disegno della nostra carta costituzionale.
Per questo siamo fermamente convinti che l’autonomia differenziata vada fermata: quel disegno non porterà alcun miglioramento delle condizioni di vita e di benessere che annuncia, non solo al sud, ma anche al nord, in quanto, abbassando lo standard minimo di assistenza e non garantendo più alcuna uniformità nazionale, conducendoci verso un sistema sanitario privatistico e uno stato sociale minimo residuale.