Nomina direttori aziende sanitarie, Vincenzo Maida: “Il Governo Meloni e l’immobilismo assoluto sui temi cruciali per la vita pubblica”.
La sanità, come è noto, assorbe più del 70% dei bilanci regionali ed è da sempre, soprattutto nelle regioni del Sud, fonte di sperpero del denaro pubblico, di inefficienza e di pratiche clientelari. La regione Calabria, ad esempio, spende circa 300 milioni di euro l’anno per la mobilità passiva, vale a dire per pagare le cure dei suoi cittadini che vanno a curarsi fuori regione. Segue a ruota la Basilicata, con il governo regionale di centro-destra la spesa è cresciuta anziché diminuire, e poi tutte le altre regioni meridionali.
Una delle cause, anzi la causa principale é rappresentata dalla mano perversa della politica sulla sanità, attraverso la nomina del Direttori Generali che è di competenza del Presidente della Giunta Regionale, che a loro volta nominano quelli amministrativi e sanitari.
Tra i punti programmatici del governo tra i 5 Stelle e la Lega Salvini c’era quello di sottrarre la sanità alle fauci ingorde della politica, ma poi di fatto non se ne fece più nulla. E se è vero che è stato istituito un albo nazionale a cui gli aventi diritto possono iscriversi e da cui attingere per la nomina dei vertici delle aziende sanitarie, è sempre la politica a decidere e i Direttori Generali sono sempre in quota alle forze politiche che governano la regione di appartenenza, sono affiliati a qualcuno dei partiti di maggioranza a cui di fatto rispondono del loro operato e delle scelte che compiono e che quasi sempre sono ispirate da logiche non di efficacia ed efficienza, ma che hanno come obiettivo il consenso politico e la fidelizzazione delle professionalità.
Già nel 2008 i deputati (Bruno Mellano, Donatella Poretti, Marco Beltrandi, Sergio D’Elia e Maurizio Turco) del Gruppo “Socialisti e Radicali, presentarono una Proposta di Legge su “Riforma procedure di selezione dei direttori generali delle aziende sanitarie locali e ospedaliere”.
Quella proposta di legge mirava a scardinare completamente il meccanismo delle “nomine” sostituendolo in modo radicale. La selezione dei manager delle aziende sanitarie doveva essere affidata totalmente a una commissione costituita da cinque membri scelti fra i rappresentanti delle maggiori società di interesse nazionale nel campo del consulting manageriale, prese in considerazione in base alla media ponderata dei seguenti fattori: fatturato, numero delle sedi sul territorio, numero personale inquadrato e a progetto. La commissione suddetta doveva stilare una graduatoria in base alla quale dovevano essere assegnati i vari posti in palio.
Fu dichiarato che: “Al fine di contemperare l’esigenza di avere a capo delle aziende sanitarie regionali manager senza vincoli di partito con quella di assicurare comunque una gestione sanitaria coesa e con obiettivi univoci a livello regionale, è lasciata inalterata la possibilità per la regione di non confermare i direttori regionali alla scadenza del loro incarico nonché di farli decadere in corso d’opera – motivando pubblicamente i motivi della revoca – quando ricorrano gravi motivi o la gestione presenti una situazione di grave disavanzo o in caso di violazione di leggi o del principio di buon andamento e di imparzialità della amministrazione.”
Non era la prima volta che ci si proponeva, senza successo, l’obiettivo di sottrarre la sanità alle fauci ingorde dei partiti politici, già sei anni prima c’era stato un analogo tentativo andato a vuoto.
I sottoscrittori del disegno di legge dichiararono allora: “Non siamo così ingenui da illuderci che la situazione cambi a breve termine: la proposta di legge radicale presentata ieri farà la stessa fine di quella presentata sei anni fa. Abbiamo voluto, però, che rimanesse traccia formale in Parlamento della possibilità concreta di modificare uno stato delle cose che colpisce il cittadino due volte: la prima con prestazioni sanitarie inadeguate e carenti, che ledono il suo diritto costituzionale alla salute; la seconda con la mala gestione delle risorse pubbliche, a cui i cittadini contribuiscono con il pagamento di imposte e tickets sanitari.”
Spesso non si tratta dunque di carenza di risorse destinate al settore, ma di come esse vengono gestite e il governo Meloni, fino ad ora, sta marciando sulla linea della continuità rispetto al passato.