Basilio Gavazzeni: “Uomini-nonostante grazie alla poesia”. Di seguito la nota integrale.
«Dài, vieni a mangiare la patata ripiena dal “Poeta Contadino”!». Come ci aggiriamo fra gli esseri parlanti, la poesia fa capolino da ogni dove. A chiunque, talora, viene il desiderio di rialzare le parole prostrate dalla piattezza feriale. Non c’è bisogno di essere poeti per accendere una fiammella di poesia. Un’emozione, un volto, una festa, un lutto, una ricorrenza, un paesaggio, una mostra, una canzone, la performance di un atleta, un film, un dono, un nonnulla, insomma ogni occasione è buona per attizzare il focherello di poesia che è nel corredo di ognuno. Si aprirà il varco in uno strafalcione, sarà grezza, fangosa, d’accatto, razzolante come una gallina, ali solo per uno svolazzo rasoterra, pazienza! è però un incontenibile anelito all’oltre, a trascendere se stessi e ad attaccare l’aratro a una stella, come suggeriva Ralph Waldo Emerson. Non sono di tal fatta anche le parole che elaboriamo intorno a Colui i cui pensieri distano dai nostri quanto il cielo dalla terra? Alcune persone notoriamente scrivono poesie. V’è chi le edita in proprio. Non costa molto far piangere la carta di qualche tipografia nostrana per divulgare una plaquette di poesie. Confesso di aver prefazionato almeno tre raccoltine di autori consimili, cui bastò l’apprezzamento della cerchia familiare e dei colleghi. In una presentazione citavo una poesiola di Arturo Graf che invita l’anima a non rattristarsi: come l’uccelletto che, «nel roseo ciel del mattino», canta. In realtà cinguetta soltanto, «povera piccola gola,/ha in tutto una sola nota,/e quella ancora imperfetta», ma «s’allegra d’esser vivo/in quella luce di rosa». Per un’altra, a giustificare il soffietto, rievocavo un verso di Alexandros Panagulis riportato da Oriana Fallaci nel libro “Un Uomo” (1979) che raccomanda di prendersi cura del filo d’erba spuntato dall’asfalto e di dargli da bere. Bambino mutolo – ho parlato tardi –mia madre mi incantava con “La spigolatrice di Sapri” di Luigi Mercantini. Nelle elementari anni Cinquanta si imparava a memoria tanto “La scuola di campagna” di Renzo Pezzani e “La mamma malata” di Giovanni Cena quanto “Pianto antico” di Giosuè Carducci e “Valentino” di Giovanni Pascoli. A tredici anni, meravigliando i miei genitori, adocchiai in libreria la “Storia della letteratura italiana” di Mario Sansone che mi svelò il mondo degli scrittori, in particolare dei poeti maggiori e minori. Fu uno choc quando, quattordicenne, mi capitò fra le mani lo smarrito quinterno di un’edizione per la scuola che esibiva una schidionata di endecasillabi inauditi: appartenevano ai “Sepolcri” foscoliani. Da allora, nel recinto antilirico dove crescevo, divenni un fervido lettore di poesie. In bella scrittura e con una trascrizione di perfetta fedeltà, ne compilai un nutrito florilegio che mi accompagnò per anni. Altro choc fu imbattermi nella “Saison en enfer” di Arthur Rimbaud. A quella stagione risale l’acquisto di “Ossi di seppia” di Eugenio Montale e, poco dopo, de “La fortezza d’Alvernia” di Angelo Maria Ripellino. Già possedevo la “Commedia” di Dante Alighieri, sui banchi di scuola mi ero gettato a capofitto nei capolavori di Omero e Virgilio, e tradotto Ovidio e Tibullo – “smidollato”, bestemmiava quest’ultimo il professore. A Roma durante il liceo incappai in un professore di greco, spirito gonfio e arido, che irrideva i lirici in particolare Alceo e Mimnermo. Un giovedì pomeriggio, secondo regolamento, andando con i miei compagni a passeggio per la campagna attorno al seminario, sulla straducola che percorrevamo avanzava guidando placidamente un carretto sbilenco tirato da un ciuco una singolare figura di mendicante. Obeso, rosso come la terracotta più accesa, capellucci arsi, cerulei occhi porcini, lacero e maleodorante, si intrattenne a lungo a conversare con noi. Quel giorno compresi la sentenza di Cecilio Stazio: “Saepe est etiam sub palliolo sordido sapientia” (spesso la sapienza si trova anche sotto un lurido mantello). Era un profugo russo. Sapeva a memoria interi canti della “Commedia”e si esaltava a declamare nel suo idioma decine e decine di strofe dell’”Eugenij Onegin” di Aleksander Puškin. Come dimenticarlo? Negli anni degli studi teologici mi covai il trascurato saggio sulla poesia di Karl Rahner e scoprii che Hans Urs Von Balthasar, altro principe della teologia novecentesca, dedicava vaste sezioni della sua opera ai poeti e traduceva in tedesco Paul Claudel. Fu più facile avere a disposizione gli studi analoghi di Romano Guardini. Nessun vero teologo è insensibile alla voce dei poeti, se non altro perché le Sacre Scritture e la Tradizione, fonti imprescindibili del teologare, sono intrise di poesia. Più o meno trent’anni fa, qualcuno dovrebbe ricordarlo, a Matera invitai il poeta Silvio Raffo impegnato a tradurre 1174 delle 1775 poesie di Emily Dickinson pubblicate nel 1997 in uno dei “Meridiani” mondadoriani. Vestito di bianco, come usava la poetessa americana, davanti a un uditorio soprattutto femminile, nel Salone della Provincia, ne recitò decine e decine di composizioni in lingua originale e tradotte. Bontà sua, vi aggiunse anche un poemetto di Giovanni Pascoli. Applauditissimo. Iosif Brodskij in una celebre conferenza illustrò l’importanza di memorizzare un certo numero di poesie, per annunciarle agli altri, ma, prima ancora, per perseverare nelle ore di tenebra. Un personaggio istituzionale di Matera, qualche anno fa, interpellato sulle asprezze dell’incarico, rispose: «Figlia mia, picchi il sole o piova, apro l’ombrello e, la sera, quando mi ritiro, leggo “L’infinito” di Giacomo Leopardi». Se al lettore non basta il sommo poeta di Recanati, s’inoltri in “Dimmi un verso anima mia Antologia della poesia universale”, Crocetti Editore, 2023, un oceano poetico di 1248 pagine. Dei poeti lucani i curatori hanno convocato Albino Pierro, ma, imperdonabilmente, hanno escluso Rocco Scotellaro e Leonardo Sinisgalli, e, ahinoi, hanno registrato Isabella Morra come Di Morra. Grazie, tuttavia, per lo sconfinato orizzonte poetico che hanno dischiuso. Su, andiamo a mangiare la patata ripiena dal “Poeta Contadino”!