Martedì 21 Maggio 2024 alle ore 18, 19.50 e 21.40 al Cinema Guerrieri di Matera è in programma il film “Totem – Il mio sole” di Lila Avilés (Messico/Danimarca/Francia/Olanda, 2023) per la rassegna Il Cineclub di Cinergia.
Biglietto: 5 euro.
Informazioni
La casa del padre, la stanza del figlio e, tutt’attorno, un gineceo che è pulsione di vita, una febbrile
operosità che è prendersi cura delle cose e dei corpi, preparare una grande festa che si opponga alla
morte: Totem, l’opera seconda della messicana Lila Avilés presentata in Concorso alla 73ª Berlinale, dove ha
vinto il Premio della giuria ecumenica, lo puoi guardare così, nella sua funzione corale, nell’affollato insieme
di figure che si stringono in un abbraccio che respinga l’inevitabile solitudine della fine. Oppure lo puoi
vedere attraverso gli occhi della piccola Sol, che assume sui suoi sette anni il peso di quella massa affettiva
un po’ informe e qua e là egoista in cui si trova calata: l’insieme di zie, cugini e amici, il torvo silenzio del
nonno e del suo pappagallo… Scorre in questo flusso, Totem, intercetta la solitudine e il silenzio
nell’accogliente e anche ingombrante coralità in cui si muove. Lo puoi sentire nel frastuono dell’attesa della
festa che grava sulla casa con tutto quel fermento, ma lo puoi anche trovare nella sospensione paziente
dell’assenza che tutti sembrano ignorare. E che Sol sopporta con rassegnazione, attendendo che le sia
permesso di salire al piano di sopra e vedere finalmente suo padre, Tonatiuh, che è il centro di tutto quel
fermento, ma intanto deve riposare e non può essere disturbato. In un film-matrioska come questo, che
contiene se stesso e lavora su questa doppia tonalità, flagrante di vita e introflessa nel silenzio, il punto di
equilibrio è la soglia della stanza di sopra, dietro la quale si celebra il rito della solitudine, della sofferenza,
dell’attesa della fine. Tutto l’opposto di ciò che accade al piano di sotto, dove invece si celebrano la ritualità
dello stare insieme, la gioia della vita, la festa dell’inizio. È quello il diaframma che trattiene il respiro del
film, facendolo vivere nell’intreccio di una frenesia performativa, dove ognuno prepara la sua parte di festa.
Meglio ancora: la sua parte nella festa. Tutti, compreso Tonatiuh: esausto nel fragile residuo di vitalità che
la malattia gli lascia, quel giovane corpo è lo specchio in cui ogni figura, ogni azione, ogni desiderio di quella
casa si riflette. C’è una funzionalità arcaica in questo film della Avilés, una sorta di arcana pulsionalità
dell’esistere che evoca ritualità tribali in cui vita e morte danzano insieme, mentre la tribù celebra il corpo
sacrificale per accogliere il nuovo sole. Ma tutto questo resta come una risonanza inconscia, un sentimento
lontano riecheggiante nella dolce solitudine di una ragazzina, che trattiene il respiro sperando che il padre
non la lasci mai. Sol attraversa il flusso delle gioie e dei dolori portando con sé il soffio della vita, la
celebrazione dell’esistere, nel segno di una continuità che il film le affida nel lungo piano finale, trattenuto
come un respiro, consegnato allo spazio vuoto dell’ultima inquadratura e seguito dalle sonorità della vita
che scorrono sui titoli di coda. Sol dopo Tonatiuh, che nella mitologia azteca era il dio-sole…