Basilio Gavazzeni: Azzardopatico “passione inutile” e rovinosa. DI seguito la nota integrale.
Jean-Paul Sartre in L’essere e il nulla per spiegare l’angoscia dell’uomo che, poiché Dio non esiste, cerca di diventarlo lui stesso senza riuscirci, propone l’immagine di un asino, che tirando il carretto, tenta di prendere una carota fissata alla punta di un bastone legato alle stanghe. Ogni suo sforzo per afferrare la carota fa avanzare il carretto e, al contempo, la carota, che gli rimane ugualmente distante. Così, correndo verso l’irraggiungibile, «l’uomo è una passione inutile».
L’immagine di Sartre, con qualche ritocco, può descrivere l’angosciante condizione del giocatore d’azzardo soprattutto patologico. Lui è l’asino. Un carrettiere (in realtà legioni) gli attacca alle stanghe del carretto (in realtà a innumerevoli marchingegni) la carota della vincita. Talvolta gliela fa lambire, anzi lo mette al corrente che un altro asino ne ha fatto una gran scorpacciata, e l’asino tira di più mentre, come per l’uomo secondo Sartre, «il termine non è mai dato, ma inventato e proiettato in avanti a misura che si corre verso di esso».
Di simili «asini» dell’azzardo ho una certa conoscenza, di quelli ancora frenati dal buonsenso ma soprattutto di quelli con le piaghe accese o purulente e sfiniti che crollano nella sede della Fondazione Lucana Antiusura. Lo conosci anche tu, il giocatore d’azzardo. «Tu le connais, lecteur … / – Hypocrite lecteur, – mon semblable, – mon frère». Tu osservi in qualche tabaccheria o bar giocatori ora prudenti e circospetti ora impudichi e assatanati. Tu mi hai raccontato della vecchietta regolare nella pratica distruttiva, gli occhi affissati al monitor dove saltellano intrattenibili i numeri del lotto. È la stessa, lo sai, che consumata in tal modo la pensione, esige dalla Caritas il contributo per coprire le bollette precipitate, che rubacchia, per quanto si possa, nel supermercato, a cui manca il necessario sulla tavola. Tante sono le anziane dello stesso tipo sparse per la città.
È già azzardopatia, tutt’altro che bagatellare, ma divora solo reversibilità. Nella sede della Fondazione Lucana Antiusura invece si rivelano sfondamenti grandiosi e inenarrabili. Non oso riferire le incredibili somme complessivamente sacrificate da taluni all’idolo dell’azzardo, ovviamente senza trarne che perdite secche. Ieri se lo son potuto permettere; domani se lo potranno ancora permettere? Sciagurati, invece, i giocatori che si sono auto-espropriati dei risparmi accumulati in giorni virtuosi, piangono la casa all’asta, hanno compromesso uno stipendio capiente con trattenute e più di una cessione del quinto, hanno esposto le mogli a prestiti incauti e, ormai, sono braccati da debiti insormontabili. I familiari, purtroppo, ce li conducono che è tardi. Si ragioni: come sovvenire a un uomo che all’azzardo ha ceduto più di centomila euro, rischia di perdere il posto di lavoro se il suo vizio viene scoperto dal datore di lavoro, spergiura che non giocherà più, quando nessuno crede a una promessa fatta ex-abrupto, con l’acqua alla gola, azzerate la volontà volontà («voler volere» per dirla con il filosofo Cornelio Fabro) e le risorse fisiche e mentali essenziali al riscatto.
Mentono gli azzardopatici, spesso, come del resto i drogati. Trascinano nella menzogna e, talora, nella complicità i consanguinei. Mi torco le mani davanti ai loro baratri. Prima di tutto sono certo che la valanga debitoria che incombe su di loro è inarrestabile. Nessun Istituto bancario e nessuna Società finanziaria allungherà loro il becco di un centesimo. Non sono nemmeno carne per usurai, i quali sanno bene a chi piazzare denaro contando su un ritorno redditizio. In secondo luogo non ignoro quanto sia difficile liberare l’azzardopatico dalla sua particolare dipendenza, e il tempo prolungato che richiede la cura, e l’aleatorietà di alcuni recuperi. Mi sono note ricadute, nonostante il protratto e programmato riaddestramento a un condivisibile senso della vita, all’ordine e alla responsabilità personali, al lavoro con gli altri per corrispondere in parte all’ospitalità garantita dalla più probata struttura italiana di soccorso. Sono forse pessimista?
Idealista è sicuramente il vicepresidente della Fondazione, Angelo Festa, uomo di assoluto profilo solidale, che, devoto alla Legge 3/2012 per l’esdebitamento, ai casi da me ritenuti irrecuperabili consacra tempo e autentica studiositas. Avesse ragione nella sua fede! Ma eccolo impeciato a estrarre troppo laboriosamente agli infelici e per di più ignavi richiedenti e ai loro familiari i documenti per imbastire secondo la Legge le pratiche da sottoporre al Giudice. Si affligge, poveretto, davanti a procrastinazioni e a bugie inaccettabili. Ammesso, non concesso, che approderà al risultato perseguìto, dove attingeranno i richiedenti il denaro per onorare le transazioni stabilite dall’autorità giudiziale? Saranno disposti a consegnare la casa ai creditori per sotterrare le debitorie? Quale Banca, quale Finanziaria concederà loro un prestito?
Negli anni la Fondazione ha pur raddrizzato qualche giocatore d’azzardo, gli ha messo in salvo la casa e restituiti gli affetti perduti. Io stesso ho sborsato la somma del riscatto. Ma chi solleverà gli azzardopatici che, cercando più l’irraggiungibili che un guadagno economico, ridotti a “passioni inutili” e rovinose, affondano nello stagno dell’azzardopatia? Ma ho appena letto e spiegato «è impossibile agli uomini non a Dio. A Dio infatti tutto è possibile» (Mc 10,27).