L’Oprol -Organizzazione Produttori Olivicoli Lucani – sta portando a termine il progetto di messa a dimora di oltre 40mila piante di olive. Lo riferisce il presidente Paolo Colonna sottolineando l’impegno a continuare ad investire nell’olivicoltura nonostante la “fase complicata” che attraversa il comparto in Basilicata e nel Paese. In queste settimane gli associati Oprol stanno concludendo gli ultimi impianti olivetati. Grazie ad un bando Agea del 2022 a sostegno delle filiere, voluto e sostenuto da Italia Olivicola, l’Organizzazione Professionale, avvalendosi di uno staff tecnico consolidato e di esperti attraverso una diffusione e capillare campagna di informazioni prima – dice Colonna – e alla realizzazione dei progetti poi sta attuando l’importante programma olivicolo. I progetti riguardano sia nuovi impianti che l’infittimento di quelli esistenti, la loro manutenzione con potatura. Si tratta impianti che hanno investito a livello geografico tutti gli areali olivicoli della Basilicata. Inoltre Oprol, da sempre attenta al tema della biodiversità olivicola lucana, ha colto l’occasione per riprodurre in vivai specializzati cultivar autoctone come la “fasola rossa” e la “passita dolce” di Grassano. Prossimo obiettivo è la realizzazione di un centro stoccaggio e frantoio per la trasformazione delle olive. Si punta dunque a dare risposte alla vera e propria emergenza rappresentata dalla sottoutilizzazione e dall’abbandono degli impianti olivicoli alla quale è necessario porre rimedio, non solo per aumentare la capacità produttiva nazionale e perseguire la finalità della sovranità alimentare, ma anche per consentire alla millenaria coltura dell’olivo di esplicare le diverse funzioni ambientali, territoriali, paesaggistiche, economiche e sociali.
In proposito, Gennaro Sicolo presidente di Italia Olivicola commenta i risultati di un’analisi eseguita dalla propria organizzazione che ha studiato il fenomeno dell’abbandono degli oliveti e della gestione con pratiche colturali minime e tali da non sfruttare appieno le potenzialità della coltura. Secondo i dati stimati da Italia Olivicola, ci sono oggi in Italia almeno 200.000 ettari di oliveti in stato di totale abbandono ed oltre 300.000 gestiti con pratiche di puro mantenimento e tali da assicurare produzioni molto basse, con accentuata variabilità da un anno all’altro e con una scarsa resilienza nei confronti dei fenomeni avversi come gli eventi climatici e le fitopatie.
La ricognizione di Italia Olivicola ha individuato 4 macro categorie di impianti:
1. gli oliveti completamente abbandonati e ormai classificati come bosco, ai sensi del testo unico per le filiere forestali;
2. gli oliveti in stato di abbandono e in transizione verso il bosco;
3. gli oliveti in coltivazione, con metodi produttivi più o meno efficaci, completi e continuativi, ma non rientranti nei fascicoli aziendali della PAC;
4. gli oliveti in coltivazione, inseriti nei fascicoli aziendali della PAC, utilizzati dal conduttore per l’accesso ad una o più delle diverse forme di sostegno pubblico.
“È arrivato il momento, afferma Gennaro Sicolo, di porre un freno a questa deriva. Per tale ragione, Italia Olivicola ha scritto agli assessori all’agricoltura delle Regioni e delle Province autonome italiane chiedendo di attivare dei tavoli di lavoro mirati, per trovare una soluzione strutturale, mettendo insieme i diversi strumenti di politica agraria previsti nell’ambito della PAC e negli interventi regionali e nazionali. Il fenomeno dell’abbandono olivicolo, ha concluso Sicolo, va affrontato con progetti su scala territoriale, utilizzando anche il sistema delle piccole e medie organizzazioni di produttori che in questo modo potrebbero trovare un’occasione propizia per il rilancio e il consolidamento del loro ruolo all’interno della filiera”.