Riportiamo di seguito la recensione di Dante Maffia del libro “Rocco Scotellaro – E’ fatto giorno” pubblicato a cura e con commento di Giovanni Caserta.
I fraintendimenti interpretativi che nacquero all’uscita di “E’ fatto giorno” da parte della critica letteraria furono non solo fuori luogo, ma distolsero il discorso dalle ragioni della poesia per portarlo, anche in maniera distorta e spesso superficiale, sul terreno della sociologia e della politica.
“Contadini del Sud” (1954) e “Uva puttanella” (1955) “suggerirono” uno Scotellaro impegnato ma diverso dall’impegno caldo e vibrante che troviamo nei suoi versi; e il fatto che lui confessasse spesso di scriverne mentre beveva il caffè o mentre fumava una sigaretta o mentre si stava recando a una riunione o mentre aspettava un amico, non deve farci abbarbicare al luogo comune che è superficiale un poeta se crea versi facilmente.
Troppi luoghi comuni hanno accompgnato l’opera di Scotellaro; e fa bene Giovanni Caserta, con la sua proverbiale umiltà, a dire, nella “Premessa”:
“Certo, non mancheranno, al nostro operato, critiche anche severe. Purtroppo, in Italia, non è senza conseguenze urtare contro i sacrari della critica letteraria. Bisogna, tuttavia, che qualcuno cominci e sbagli, augurandosi che altri, subentrati, correggano e allarghino la scelta a tutta la produzione scotellariana…”., pur sapendo bene che anche la poesia, ormai, negli ambienti milanesi, tra gli intellettuali e i professori universitari deve essere ricetta medica, farfugliamento zanzottiano, sanguinetiano, cucchiano.
Non voglio assolutamente legarmi all’entusiasmo di Carlo Levi che, nella “Prefazione” a “E’ fatto giorno”, parla di “rara misura del genio”; ma è evidente, si tocca quasi con mano, che la parola poetica di Scotellaro riesce a coagulare pensieri ed emozioni con autenticità, con spontaneità, per diventare momento eccezionale.
Possibile che ad ogni cambio di Presidente del Consiglio dei Ministri cambia anche il senso della poesia, il che cos’è la poesia?
Battute a parte, si abbia la pazienza e il piacere di seguire le postille di Giovanni Caserta, pagina dopo pagina.
Non è stato trascurato niente. Caserta illumina le parole di Scotellaro non della propria luce, ma di quella dello stesso poeta, raro esempio di lettore raffinato e profondo, in modo che “obiettivamente” noi lettori possiamo godere di ogni sfumatura, di ogni indizio, di ogni riferimento.
Del resto, l’editore Franco Villani non fa mistero nel dire che “Caserta sa che la poesia, certamente più che la prosa, va letta, analizzata, commentata e annotata, cioè ‘spiegata’ nel senso etimologico della parola, tanto più che la poesia contemporanea, a partire dal simbolismo, e, nel caso dell’Italia, da Pascoli, si è fatta sempre più ‘difficile’ “.
Come dare un’idea precisa dell’operazione condotta da Caserta su ogni testo? Soltanto la sua pazienza certosina poteva affrontare un lavoro così particolare, grazie comunque anche al bagaglio culturale da uomo del Rinascimento che ha avuto, grazie alla conoscenza perfetta del lievito della cultura lucana, nelle sue varie amplificazioni antropologiche, sociologiche, poetiche, storiche, paesaggistiche ed umane.
Infatti ha conservato la tranquillità e l’attenzione di non trascurare nulla, in modo che i versi di Rocco abbiano, finalmente, e ce l’hanno, la personificazione radicata nell’umore di un luogo concreto e ideale, sì da finalmente “restituire Scotellaro a Scotellaro e, scoperto magari il poeta, farne, insieme ad altri, un protagonista della letteratura italiana”.
Un paio di esempi. Sentite che cosa scrive per “Lucania”:
“E’ una delle liriche più stilizzate di Rocco Scotellaro, pur essendo uscita dalla penna di un diciassettenne. Svolta sul filo del ritmo cullante, echeggiante Sinisgalli e la sua purezza linguistica, essa sa dare trasparenza e, per dir così, evanescenza ad una scena realistica tipicamente contadina. E’ facile immaginarsi uno Scotellaro, studente, dall’orecchio ben affinato grazie alla frequentazione di antologie scolastiche o, anche, grazie ad una attestata dimestichezza con la poesia latina e greca”.
Poi una nota:
La 11: “Si confondono nell’aria, quale gradevole concerto di suoni, lo zirlio dei grilli e il suono lento e basso del campano al collo d’un’inquieta capretta . Il verbo m’accompagna serve a sottolineare un clima di quasi familiarità e sintonia col mondo animale. Interessante è anche la sensazione di un fresco vento, sicuramente mattutino, che, lieve, avvolge, anzi fascia / di sottilissimi nastri d’argento il giovane poeta, in lento cammino anche lui”.
E che cosa scrive per la poesia più conosciuta di Scotellaro:
“… Prima o poi si farà giorno, perché dopo ogni notte, arriva l’alba, così come arriverà il sole dell’avvenire e arriverà il Messia. Levi definì la poesia ‘Marsigliese contadina’. E’ definizione suggestiva, degna di Carlo Levi, ma, a nostro parere, impropria, mancando l’azione, cioè il metaforico assalto alla Bastiglia. C’è, invece, riflessione, con un messaggio di speranza per un mondo di là da venire, che sicuramente verrà. La si può immaginare posteriore a ‘Pozzanghera nera il diciotto aprile’, momento della sconfitta del ‘Fronte popolare’, caduta di un grande sogno. Esprimerebbe uno slancio di rinascita”-
Le due note:
179 -E’, da parte del poeta, un insolito invito ad abbandonare la protesta e a non coinvolgerlo in una lotta, a volte sterile. Bisogna saper aspettare; bisogna aver fiducia nel futuro.
180- E’ riferimento al brigantaggio post-unitario, meridionale, basilicatese soprattutto, interpretato, romanticamente, come caverna-rifugio, oasi della verde speranza.
Sia chiaro, a Caserta non viene minimamente in mente di sintetizzare la poesia, di farne il riassunto. Creerebbe la confusione più orribile che si possa immaginare, perché la poesia non è il fatterello e la circostanza, ma l’atmosfera e l’emozione che viene sintetizzata con la grazia e la musica che appartiene alla creazione. Lui chiarisce le congiunture, lo stato delle cose e si ferma lì, e quindi diventa guida, spinta ad entrare nella polpa del dettato poetico, possibilità di colloquio profondo e, soprattutto, particolare.
Insomma ha cercato in tutti i modi di essere Scotellaro che apre il cancello alla brezza, alle nuvole, alla Parola nel momento di estrinsecarsi per diventare vita.
Non è cosa da poco e mi auguro che finalmente la lettura delle poesie di Rocco Scotellaro sia fatta senza interferenze estranee, senza attribuirle intenzioni che vanno al di là del peso visionario delle sillabe.
Noto, come è nella sua generosa abitudine di dare spazio a tutti, che Giovanni Caserta non dimentica di coinvolgere i pittori che hanno contribuito, con le loro immagini, ad arricchire il volume. Sono Gerardo Corrado, Salvatore Sebaste, Arnaldo Mazzoni, Nicola Lisanti, Nicola Filazzola, Pietro Paolo Tarasco, Miche Santangelo, Nicola Pavese, Donato Linzalata, Franco Carella, Rocco Aliano, Vita Malvaso, Tonino Cortese, Angelo Rizzelli, Vittorio Manno.
Un’ultima annotazione.
Non era per nulla facile dettagliare la scrittura di Scotellaro con indicazioni e note. Il rischio era quello di approntare una casistica di riferimenti che potevano fuorviare e dare una lettura costretta in una direzione unica. Caserta non si è fatto imbrigliare nemmeno in questo caso; la sua libertà di critico umanista non ha ceduto di un millimetro ed ecco un’opera che sarà di vero aiuto per comprendere la poesia di un uomo che ha scritto, come dice Carlo Levi, “poesie, alcune bellissime” altre meno dense e meno accese, ma sempre ricche di pathos, di linfa autenticamente lucana, di immagini colte a volo perfino nel lamento del cuculo:
“Tu non ci fai dormire
cùculo disperato,
col tuo richiamo:
Sì, ridaremo i passi alle trazzere,
ci metteremo alle fatiche domani
che i fiumi ritorneranno gialli
sotto i calanchi
e il vento ci turbinerà