Vincenzo Maida (Centro Studi Jonico Drus): “Adottare lo stesso metodo della Romania per risolvere l’emergenza cinghiali”. Di seguito la nota integrale.
“No ai cinghiali” è stato l’urlo degli agricoltori, giunti anche con oltre 100 trattori a Potenza nel corso di una manifestazione organizzata dalla Coldiretti.
Il Presidente della regione Basilicata Vito Bardi ha chiesto ancora un po’ di tempo per essere operativi sulla questione.
La cronaca intanto ci restituisce oltre ai danni all’agricoltura, anche le notizie di incidenti stradali che si ripetono senza sosta, l’ultimo sulla Val d’Agri.
Ma analizziamo nel merito la questione.
La nuova normativa del governo non sta dando risultati apprezzabili e intanto dilaga la peste suina africana: farà la natura quello che l’uomo non è capace di fare?
Secondo i calcoli degli esperti, che sono necessariamente approssimativi, in Italia ci sarebbero oltre 2.300.000 cinghiali.
Gli ungulati nel 2022 sono stati la causa di un incidente stradale ogni 41 ore con 13 vittime e 261 feriti. Non c’è invece una stima del numero delle auto danneggiate a causa dell’impatto con questi animali.
I danni all’agricoltura sono incalcolabili e i rimedi fino ad ora adottati, come quello del filo elettrico intorno ai campi coltivati, si stanno rivelando inefficaci.
Ѐ noto che una delle cause, la principale, è stata l’introduzione di alcune specie di cinghiali che hanno di fatto sostituito quella autoctona che aveva una bassa capacità di riproduzione.
L’argomento è oggetto di periodici dibattiti e prese di posizione, ma predomina una sorta di fatalismo e di rassegnazione.
Sotto la pressione delle associazioni di categoria degli agricoltori, il governo nella legge di bilancio ha introdotto un testo sul controllo e contenimento della fauna selvatica.
Ѐ stato stabilito che: “le regioni e le province autonome di Trento e Bolzano, provvedono al controllo delle specie di fauna selvatica anche nelle zone vietate alla caccia, comprese le aree protette e le aree urbane anche nei giorni di silenzio venatorio e nei periodi di divieto. Tale attività è esercitata per la tutela della biodiversità, per la migliore gestione del patrimonio zootecnico, per la tutela del suolo, per motivi sanitari, per la selezione biologica, per la tutela del patrimonio storico-artistico, per la tutela delle produzioni zoo-agro-forestali ed ittiche e per la tutela della pubblica incolumità e della sicurezza stradale.”
Si legge ancora che: “qualora i predetti metodi (regionali, ndr) si rivelino inefficaci, le regioni e le province autonome possono autorizzare, sentito l’Istituto superiore per la protezione e la ricerca ambientale, piani di controllo numerico mediante abbattimento o cattura. Le attività di controllo e contenimento delle specie di fauna selvatica non costituiscono esercizio di attività venatoria. I piani sono attuati dai cacciatori iscritti agli ambiti territoriali di caccia o nei comprensori alpini delle aree interessate: 1) previa frequenza di corsi di formazione autorizzati dagli organi competenti a livello regionale; 2) sono coordinati dagli agenti delle Polizie provinciali o regionali.”
Fino ad ora il provvedimento legislativo, che ha la durata di cinque anni, non ha dato risultati e riteniamo che non ne darà nel prossimo futuro. Al massimo riprenderanno ad aumentare gli incidenti di caccia, dal momento che negli ultimi anni c’era stata una progressiva diminuzione a partire dal 2017.
Ѐ noto che gli animali si muovono ed escono fuori dal loro abitat spinti dalla fame. Infatti invadono i centri abitati e i terreni agricoli alla ricerca di cibo.
In alcune aree della Romania, dove il problema era diventato insostenibile, per gli abbattimenti hanno adottato un sistema che si è rivelato più efficace della caccia. Negli stessi luoghi in cui i cinghiali vivono, scavano delle grosse buche e vi mettono dentro il cibo prediletto dagli ungulati. Attirati in tal modo al loro interno si provvede all’abbattimento e poi si richiudono le buche. Se tale sistema fosse adottato in Italia già si possono immaginare le proteste degli animalisti, ma è l’unico che si è rivelato efficace. L’altro sistema è quello che sembra stia adottando madre natura con la peste suina africana (PSA).
I primi casi vennero rilevati in Sardegna nel lontano 1978, ma dal 2022 il virus si sta estendendo in tutto Italia. Il 7 gennaio dello scorso anno in provincia di Alessandria è stata ritrovata la prima carcassa di cinghiale infetto. Secondo gli esperti il virus arrivò sull’isola “verosimilmente in seguito all’introduzione di rifiuti alimentari provenienti dall’aereoporto militare di Decimomannu. Successivamente la malattia si è diffusa all’interno della Sardegna dove, a distanza di quarantacinque anni, non è ancora stata debellata.” Si ritiene invece che: “i nuovi focolai che stanno interessando il continente non traggano origine dalla Sardegna ma probabilmente da cibo e rifiuti proveniente dall’est-Europa e arrivati in Italia in modo irregolare.”
Questa malattia virale per fortuna non è trasmissibile all’uomo, ma colpisce suini e cinghiali e non esiste una cura o un vaccino.
A rischio sono gli allevamenti di suini e si stanno adottando provvedimenti adeguati di protezione. Per quanto riguarda i cinghiali, la peste suina africana è già arrivata nel Sud Italia, in Basilicata è stata segnalata in cinque comuni, ed è probabile che la natura possa fare quello che né i governi e né le associazioni di categoria sono riusciti a fare.