Basilio Gavazzeni: “Andare oltre la notte”. Di seguito la nota integrale.
Charles Baudelaire sui banchi di liceo aveva composto un distico che già conteneva l’esperienza della sua vita futura: Tutti gli esseri amati/sono coppe di fiele che beviamo a occhi chiusi. L’ho girato a una persona per una più icastica intelligenza del naufragio affettivo che si trova ad affrontare e per ricordarle che mal comune è mezzo gaudio, anche se ha più ragione il proverbio spagnolo che recita : Mal de muchos, consuelo de tontos.
Animula vagula blandula, l’afflitta si strazia, ma insiste a non abbandonare l’inservibile imbarcazione allo scoglio, forse antivisto ma ignorato fino all’urto che l’ha sventrata. Rifuggo da consigli che provengano dalla psicologia in cui non ho mai riposto troppa fiducia per quanto ne conosca la migliore letteratura. Trovo indecente con le categorie religiose che sorreggono la mia speranza sovrastare una persona sofferente, avvezza alla vulgata laica della vita sia pure non immemore di un’iniziale educazione cristiana.
So per certo che nei frangenti Gesù , il principe della mia anima, sarebbe il porto sicuro dove rinfrancare le forze. Prego per lei, ma, a corto di santità, non sono in grado di proporgliene la figura. La parola ispirata di Lui mi brucia nel cuore, ne patisco, ma non ho il coraggio di darle voce. Temo di incrinare con un passo pesante la sottile lastra di ghiaccio di un’anima ferita. Lo Spirito di Dio, che ha la missione di consolare e illuminare, Lui intervenga.
Penso che lei debba cedere allo scoglio la barcaccia sfondata senza, come altre volte e di recente, provare a calafatarla. Si allontani perfino dalla riva da dove se ne scorge il relitto. Lei, invece, insiste a oltranza ad analizzare le circostanze del disastro. Anzi, si propone di fissare ordinatamente sulla carta i momenti della rovinosa navigazione per capirne di più.
Capire che cosa? Ne vale la pena? A me pare che sperpererebbe, come uso dire, un’indagine d’oro su carta di stagnola, correndo il rischio di sminuirsi nell’ autoavvilimento , peggio di immeschinirsi. Perché, invece, relegato a margine questo episodio pur rilevante della sua vita di donna, accompagnata dall’affetto sororale della figlia studiosa e garrula e delle persone che la stimano, non intraprende la ricostruzione della sua giovane e forte personalità? Per esempio attingendo risorse interiori dalla sua notevole sensibilità estetica. E se ritiene che la scrittura giovi al risanamento della memoria, scriva, scriva.
Recuperi narrativamente le radure di luce dei giorni trascorsi, soprattutto la primigenia purezza dell’infanzia e gli incantati silenzi dell’incipiente adolescenza, i dettagli sepolti delle ore di grazia, l’eco delle canzoni preferite, le cose e le vesti amate, i viaggi cui l’ha spinta una curiosità mai doma, la passione a comporre acrostici, infine la rinnovata alleanza con la professione che le assicura il sostentamento.
Potrebbe vedersi sorgere davanti qualche ombra, interporsi qualche velo. Secondo il latinista Ivano Dionigi, il grande Lucrezio insegna che quando la vita ti viene a trovare si manifestano la nostra identità e autenticità […] caduto il velo appare, il vero.
Raccolto il tesoro mitico dei suoi giorni e strappata ogni maschera , lei arriverà alla sorgente metafisica del suo sé e oltrepasserà il turbamento e il disordine psichico di questi giorni. Forse la scrittura si trasformerà in una sorta di preghiera. Si scorderà di questa notte, libera nel cuore ad multos annos.