30 anni fu sottoscritto un patto politico tra D’Alema e Buttiglione per ribaltare il risultato elettorale che aveva premiato Silvio Berlusconi. Di seguito la nota di Pierluigi Diso sui patti stipulati in politica ma che non hanno mai trovato un’applicazione concreta. Di seguito la nota integrale.
Silvio Berlusconi accusò Renzi di aver rotto il “patto del Nazzareno” e gli accordi sul Quirinale, ma non è il primo caso nella storia politica italiana.
Il “patto della staffetta” De Mita-Craxi, anche loro strinsero un accordo, in un convento di suore sull’Appia antica sull’alternanza tra i due a Palazzo Chigi nel 1983. Patto, ovviamente, disatteso.
Ma quello che più mi affascina, a distanza di trent’anni, avendo da poco mangiato in quel ristorante un ottimo pesce alla griglia, è il patto delle vongole del 7 agosto 1994, a Gallipoli, al ristorante “Il Bastione”, esclusiva location sui bastioni della città vecchia e con una vista strabiliante. I leader di due partiti dell’opposizione al primo governo Berlusconi, il segretario del Ppi Rocco Buttiglione (nell’estate 1993 Mino Martinazzoli aveva sciolto la Democrazia Cristiana) e quello del Pds Massimo D’Alema si incontrarono a pranzo. “Pesce, politica, filosofia con brindisi al doppio turno”, riferendosi al doppio turno della riforma della legge elettorale ed una strategia comune anti-Berlusconi: non se ne fece nulla.
Il 23 dicembre del 1994 si incontrarono, nella casa romana di Umberto Bossi all’Eur, il segretario leghista con Massimo D’Alema e Rocco Buttiglione, rispettivamente segretari del Pds e del Ppi. I tre politici decisero di stringere un’alleanza parlamentare che portò al ribaltone (la Lega nord lascia Forza Italia) e all’appoggio esterno al successivo governo tecnico guidato da Lamberto Dini. È il cosiddetto “patto delle sardine”, chiamato così perché il Senatùr offrì quello che aveva nel frigorifero e cioè sardine in scatola e lattine di birra .
Massimo D’Alema era segretario del Pds e presidente della Commissione bicamerale per le Riforme. Era una calda notte romana tra il 17 e il 18 giugno, a casa di Gianni Letta ove si incontrarono Massimo D’Alema, Franco Marini, Silvio Berlusconi e Gianfranco Fini. Il Cavaliere si impegnò a votare le riforme istituzionali; mentre Massimo D’Alema impegnò il centro-sinistra ad un atteggiamento “poco ostile” sulla legge per disciplinare il conflitto d’interesse. Anche questo patto finì a tarallucci e vino.
Nel dicembre ’97 fu Fini a definire ‘patto della frittata’ il tentativo di accordo tra Berlusconi e Walter Veltroni sulla legge elettorale.
L’11 dicembre del 2007, alla posa della prima pietra della ‘Nuvola’ di Fuksas all’Eur Letta e Walter Veltroni si appartarono perché in ballo c’era ancora una volta la riforma della legge elettorale. Quell’incontro fu ribattezzato dalla stampa come ‘patto della ruspa’.
Nell’estate del 2008 protagonista fu ancora una volta il pesce: Fini e D’Alema pranzarono a base di spigole per valutare la possibilità di portare avanti una qualche iniziativa politica comune. Questo incontro è meno noto di quello dell’anno dopo, nello studio di Montecitorio dell’allora presidente della Camera Fini, in cui si discusse di giustizia con Berlusconi per chiarire le tensioni sul futuro del Pdl, consumando un menu leggero, a base di spigola al vapore e frutta di stagione.
Nell’ottobre del 2010 andò in scena la ‘pax della pajata’. Fu quel pranzo a base di polenta, rigatoni con la coda alla vaccinara, cicoria, vino dei Castelli e acqua romana offerto dall’allora sindaco di Roma, Gianni Alemanno, a favorire la riconciliazione con il ministro delle Riforme Bossi dai tempi di ‘Roma Ladrona’.
Nel novembre del 2017, fu la volta del ‘patto dell’arancino’, che ricompattò, in vista delle politiche, in un ristorante di Catania, Salvini, Meloni, Berlusconi e Lorenzo Cesa. Erano presenti il candidato governatore della Sicilia Nello Musumeci e il ‘designato’ assessore Vittorio Sgarbi.
Il 22 ottobre 2018, a Roma, davanti ad un piatto di tagliatelle si tenne il vertice governativo giallo-verde, formato dall’allora premier Giuseppe Conte e dai suoi vice Salvini e Luigi Di Maio.
Insomma, tra sardine, vongole, crostate, spigole, arancini, pajate e tagliatelle, è a tavola che si ragiona meglio; attorno al piatto si decidono i destini della politica nostrana, si fanno e disfanno alleanze, si inciucia e si servono anche piatti (crostata) avvelenati.