Pasquale Doria, consigliere comunale Matera Civica: “Il disegno della città futura continuamente rimandato, il sindaco rimescola inutilmente le carte”. Di seguito la nota integrale.
Conviene tornare sulla questione Piano Strategico. Per semplificare al massimo, è lo strumento che disegna il futuro della città con riferimento alle caratteristiche e alle dimensioni del suo sistema relazionale, interno ed esterno. Non è, come ha fatto mal consigliato il Sindaco, qualcosa da ridurre alla mera sommatoria dei cantieri in essere, tra l’altro, ancora in alto mare. Tanto più che bisognerebbe sinceramente riconoscere almeno il giusto merito del lascito di un impegno che viene da lontano.
Qualcosa non ha funzionato circa gli sconosciuti piani richiamati, quelli del 2017 e del 2023. Chi li ha visti? Chi li ha discussi? Ne hanno avuto contezza le Commissioni consiliari competenti? Si tratta del frutto di una collaborazione partecipata tra intelligenze locali ed esterne? È stata rispettata la regola canonica dell’ascolto, specialmente quello dal basso?
Pare proprio di no e se non riuscirà ad organizzarsi neppure questa Amministrazione del “cambiamento”, è del tutto evidente, rimarrà tale la lacuna che da anni attende di essere colmata nel cammino progettuale della città. Peserà ancora in termini negativi sul disegno futuro che immaginiamo e che vorremmo, anche perché siamo sostanzialmente fermi al “Rapporto sullo stato dell’economia e del territorio di Matera – Definizione degli scenari al Duemila”, approvato in Consiglio comunale nel 1990. Un atto ufficiale, non certo maturato come pratica auto assolutoria consegnata a un contraddittorio comunicato stampa. Trentaquattro anni fa, tanti e, poi, non c’erano neanche i social così cari a chi ama navigare in superficie, mentre occorrono le bombole d’ossigeno per andare in profondità.
Da allora, il mondo è decisamente mutato e anche la città è cambiata. Una realtà che urbanisticamente appare non “strutturata”, ma disarticolata in almeno cinque parti: le componenti da ricucire e integrare ai più alti livelli possibili sono i Rioni Sassi, la città del Piano, i quartieri sorti negli anni del risanamento sulla corona delle colline ubicate oltre il tracciato ferroviario delle Fal, a seguire le nuove periferie, raramente all’altezza della tradizione urbanistica del dopoguerra, e infine la campagna non più separata e la cui straordinaria bellezza è ancora stranamente sottovalutata. Si spera in un ripensamento radicale con il redigendo nuovo Piano regolatore generale, il Piano Strutturale, da non confondere con quello Strategico (chissà a che punto siamo).
Ma, andando oltre l’ambito strettamente urbano, rimane in piedi da decenni la questione riguardante il potenziale relazionale del territorio. In che direzione deve andare Matera?
Non è forse vero che permane irrisolto il tema di una pericolosa periferizzazione che la città subisce rispetto all’accentramento di una serie di poteri nell’esercizio delle funzioni del massimo ente territoriale, la Regione, un rapporto sbilanciato acuito anche dalla sterilizzazione delle Province? Per quanto riguarda il suo territorio, come, in che misura Matera intende interagire utilmente con l’espansione policentrica del Metapontino, con la zona Bradanica, con l’alta collina, e su quale basi si dispone a dialogare sull’asse est-ovest, rispetto all’area metropolitana di Bari, il territorio interregionale?
È chiaro che non si tratta di scelte unicamente politico-programmatiche ma, per la particolare collocazione geografica di Matera vanno affrontati problemi di più ampio respiro. È il caso della grande progettualità tra più regioni, di cui uno degli approdi naturali potrebbe essere il corridoio adriatico. Un’antica aspirazione di relazioni attive, d’integrazione dinamica, di scelte basate sullo sviluppo trasversale Adriatico-Jonico. Ovviamente, un simile processo riguarda prima di tutto Matera, una generosa proposta della sua classe dirigente. Ma non basta. Con tutta evidenza evoca polarizzazioni di ampie vedute e chiama in causa l’intera Basilicata, nonché scenari d’integrazione economica e territoriale, a partire da quelli turistici, culturali, ambientali, tecnologici, agro-alimentari, tutti tesi all’avanzamento delle iniziative che concorrono a favorire l’integrazione e lo sviluppo della città. Tutto questo non interessa? È fuori dalla portata dei radar locali? Oppure, è continuamente rimandato a chissà quando?
Diciamo il vero, siamo in realtà ancora lontani dall’affrontare navigazioni che non siano le solite, a vista. Zero dibattiti, confronti accuratamente evitati che, invece, dovrebbero registrare un consapevole protagonismo del settore urbanistico del Comune, dove davvero tra tanti rimpasti non avrebbe guastato un supplemento di riflessione sulla scelta di un assessore di riconosciuto profilo. Di più, ma di parlamentari ne abbiamo?
Si può sempre fare meglio e, ovviamente, non è questo il migliore dei mondi possibili. Dopo quattro anni di amministrazione, però, nessuno si azzardi a scaricare le colpe, neppure per scherzo, sul solito destino cinico e baro e men che meno a buttare la croce di ogni insuccesso del sesto piano di via Moro sull’opposizione. Benché inascoltate, le proposte non sono mancate. Di autocritica, invece, fino a questo momento neanche l’ombra.