Basilio Gavazzeni: Mel Gibson a Matera 22 anni dopo The Passion of the Christ. Di seguito la nota integrale.
Ho appreso da SassiLive che Mel Gibson è venuto a Matera per un sopralluogo in vista di un nuovo film. Una voce mi ha assicurato che intende girarlo sulla Risurrezione, un’altra che il soggetto sarebbe altro. Insomma tanto si è sussurrato per decenni che alla fine, il regista di The Passion, è ricomparso sul territorio. Non possiamo che esserne contenti, ma innanzitutto abbiamo il dovere di esternargli la nostra gratitudine per la divulgazione che ha fatto del nome e del corpo di Matera avendola adottata come location delle sequenze apicali di un film che è una pietra miliare nella storia del cinema cristologico.
È vero che il successo planetario decretatogli da Sa Majesté le Public, come lo definiva un grande del cinema francese, fu accompagnato da un certo numero di critiche alla crudezza del suo espressionismo, soprattutto in Italia e da parte di cattolici autorevoli che istituirono un paragone non del tutto appropriato con quello di Pier Paolo Pasolini. Resta fuori discussione tuttavia che, a distanza di vent’anni, il suo Cristo, imponente e titanico nella macellazione senza misura della sua carne alla mercé dei carnefici, è ancora impresso nel vivo della memoria collettiva, a differenza di quello pasoliniano, dal fisico troppo esile, elettrizzato dal suo imperversare predicatorio sia pure secondo Matteo, mai uscito dalla nicchia che, a quando a quando, è rivisitata da devoti amatori applicati a capire come un regista non credente poté realizzare un film da credente.
Non si deve ignorare la ragione che spinse Gibson a intraprendere a suo rischio e forse irriso, un film che all’industria cinematografica apparve un azzardo. Quel che lo mosse fu un’assoluta volontà di alétheia. Lui l’aveva sulla bocca la parola greca ricorrente 109 volte nel Nuovo Testamento che, letteralmente, significa svelare ciò che è nascosto. Appunto: con il linguaggio delle immagini in movimento il regista australiano si propose di rivelare agli uomini che, a suo parere, l’avevano dimenticata, la verità del caro prezzo versato da Gesù Cristo per il nostro riscatto, con immagini intollerabili per la comune sensibilità estetica, ma fedeli alla realtà attestata dalla conoscenza storica, realtà intravista fra copiose lacrime da alcuni santi e ancor più da alcune sante, realtà già raffigurata con estremo realismo, tra il Quattrocento e il Cinquecento, dalle Crocifissioni di Mathis Grünewald, in particolare da quella somma dell’Altare di Isenheim a Colmar, e anche dalle statue sciamate dalle botteghe di oscuri artigiani che assiepano le cappelle di alcuni Sacri Monti dedicate alla Passione nei Settentrioni d’Italia, – e non mi allargo oltre.
Si rifletta: la kenosis di Gesù Cristo svelata da Gibson, scevra da ogni consolatoria stilizzazione estetica, in questo periodo atroce veicola un messaggio profetico. Ricorda che davvero Gesù è in agonia fino alla fine del mondo, come affermava Blaise Pascal. Agli uomini e alle donne che reggono l’anima con i denti insieme ai loro nati e periscono nel fuoco e sotto le macerie dei conflitti in corso e non sono consolati dagli impotenti discorsi sulla pace, a quell’umanità che passa attraverso la grande tribolazione e mescola il sangue con il sangue dell’Agnello e che è degna di stare davanti al trono di Dio e cui Dio tergerà ogni lacrima dagli occhi (cfr Ap 7,13-17), il Gesù Cristo del registra australiano, che prende su di sé un tal carico di sofferenze e la morte, testimonia come affrontare e accettare a oltranza le prove. A noi che stiamo accomodati al sicuro e torciamo altrove lo sguardo, contesta l’abitudinaria e coriacea indifferenza davanti alle incalcolabili nefandezze che gli uomini producono quando rinnegano la fraternità e la giustizia.
Intendesse Gibson affiancare a The Passion una sorta di The Resurrection: costituirebbe un memorabile dittico. Uomo di fede non comune, corrisponderebbe al profondo interesse che nutre – è giusto riconoscerglielo – per la figura di Gesù Cristo. Consapevole o no, raccoglierebbe, come Martin Scorsese, l’appello di papa Francesco agli artisti, perché mentre risuona nel mondo un’eco di piombo, per usare un’espressione del poeta gesuita Gerard Manley Hopkins, abbiamo bisogno della genialità di un linguaggio nuovo di storie e immagini potenti, di scrittori, poeti, artisti capaci di gridare al modo il messaggio evangelico, di farci vedere Gesù.
Chi più del cineasta che ha compreso e rappresentato il Messia sconfitto può comprendere e rappresentare la teofania del Risorto e gli uomini che ebbero la ventura di constatarla attraverso le apparizioni e di annunciarla? Sarebbe un’ulteriore sfida per lui al culmine della maturità, richiedendogli di superare se stesso. Si licet, Dante non si perdonato di poetare meglio per l’Inferno che per il Paradiso.
Nella fotogallery Mel Gibson nei Sassi di Matera (foto www.SassiLive) e una pausa sul set del film The Passion of Christ” girato nel 2002 a Matera