25° anniversario Fondazione Antiusura Sant’Ignazio da Laconi a Cagliari, Basilio Gavazzeni: “Nostalgia di Cagliari”. Di seguito la nota integrale.
Non avevo nessuna intenzione di partecipare, con i membri della Consulta Nazionale Antiusura San Giovanni Paolo II di cui sono vicepresidente, al 25° anniversario della Fondazione Antiusura Sant’Ignazio da Laconi a Cagliari, ma il suo presidente, don Marco Lai, direttore della Caritas, non mi ha lasciato scampo. Con mitezza, fermamente, mi ha ingiunto: Prenda per Cagliari il volo che le è più comodo e venga. Così con il fedele sodale Angelo Festa, sono stato nel capoluogo sardo da venerdì 25 ottobre a lunedì 28. Don Marco è un presbitero multanime e di sapiente organizzazione. Ci ha fatti prelevare all’aeroporto da un giovane collaboratore. Nell’immensa struttura della Caritas siamo stati alloggiati in due comode stanze singole. Nel pomeriggio un volontario ci ha condotti per le chiese storiche della città e in visita al Santuario di Nostra Signora di Bonaria.
Nella mattinata di sabato, presso l’Aula Magna del Seminario, si è svolto un Convegno centrato sul bilancio e le prospettive della Fondazione. Onorato il rituale dei saluti istituzionali, Mons. Giuseppe Baturi, Arcivescovo di Cagliari e Segretario generale della CEI, ha svolto una dotta riflessione biblica, storica, teologica e morale sull’usura. È seguita la mia testimonianza che era allegata alla brochure del Convegno. Ne ho letto i righi evidenziati in neretto per non sforare. Ho ricordato che, trent’anni fa, per grazia di Dio, a un curato di Matera sud è accaduto di denunciare l’usura e di contrastarla con qualche disagio, e che lo stesso, poi, si è unito ad altri samaritani protesi a combatterla e prevenirla. Dopo il coffee break, in una tavola rotonda coordinata dal giornalista Luigi Alfonso, il presidente della Consulta, Luciano Gualzetti e i consiglieri Giustino Trincia, Daniele Acampora, Francesco Furnari congiuntamente a rappresentanti delle Banche locali hanno discusso sulla legge 108/96 e sulla prevenzione contro il sovraindebitamento e l’usura, tematica che è stata riaffrontata nel pomeriggio dalla Consulta stretta in Consiglio. Il bilancio della Fondazione è stato presentato con rigore da Bruno Loviselli.
Don Marco mi ha chiesto di presiedere l’Eucaristia serale nella chiesa della sua parrocchia dedicata a Sant’Eulalia, non grande ma impreziosita dall’arte, nel cuore antico della città. Più tardi ci ha condotto a consumare una pizza in un locale a lui prossimo. È stato un momento di cordialità. Ho recitato in francese la poesia del belga Maurice Carême, Le chat et le soleil, e letto e chiosato la canzone Non, je ne regrette rien di Édith Piaf. Domenica mattina, alle 9,30 in Sant’Eulalia, don Marco e io abbiamo concelebrato con Mons. Baturi. Ci hanno assistiti Giustino Trincia, il diacono della Consulta, e due minimi ministranti. L’Arcivescovo ha svolto un’omelia semplice con la voce dimessa intrisa di paternità che lo caratterizza. Mi ha colpito la personalità di questo pastore. Al congedo l’ho pregato di benedirmi.
Don Marco ci ha dischiuso una sorpresa. Ci ha aperto il parrocchiale Museo del Tesoro di Sant’Eulalia e l’area archeologica sottostante al Museo, alla sagrestia e alla chiesa. Il primo, ricco di argenti sacri prodotti dalla perizia di orafi sardi e liguri nel Settecento e nell’Ottocento, fra i quali una croce astile sulla quale sono stati finemente incisi i simboli della Passione. Una rarità la tela con doppia raffigurazione del Cristo incoronato di spine, nella parte anteriore di faccia, di dorso nella parte posteriore, per ostenderne l’intero patire davvero gibsoniano. Stupefacente per l’imponenza il percorso speleo archeologico cui si è messa mano nel 1990 dopo il ritrovamento di un pozzo durante la ripavimentazione della sagrestia.
A mezzogiorno don Marco, munifico, agli uomini della Consulta e ad alcuni collaboratori ha offerto un ineguagliabile pranzo di conclusione. Sollecitato a formulare un brindisi, dopo breve tergiversazione, ho scritto su un foglietto e, alla tavolata fattasi ricettiva, ho letto questo sproloquio in novenari a rima baciata: Sono giunto in quel dell’Ichnusa /non certo per fare le fusa./Della Caritas a Calaris/risplende la maggiore cháris./Tutte le sue frecce don Marco/ha incoccato nel suo lungo arco./Qui, gentile, mi ha tramortito/con un tracimante convito./Brindisi faccio bianco e nero/contro l’usura e il suo impero. Perché si intenda: Ichnusa (orma di piede), nome anche della birra sarda, dall’antichità è detto della Sardegna perché assomiglia a un’orma. Calaris era il nome latino di Cagliari. Cháris è parola greca che corrisponde a grazia.
Alle 8,00 del mattino di lunedì 28 eccoci all’aeroporto. Abbiamo il volo alle 9,30 con il sodale Angelo Festa rifletto ad alta voce. Siamo stati bene a Cagliari il clima si è mantenuto buono, magari un po’ sciroccoso. È città di mare con un grande porto per il commercio, dove abbiamo notato anche due navi in crociera alla fonda. Sorta come Roma su sette colli, presenta strade pulitissime. Purtroppo writer tutt’altro che artisti ne hanno imbrattati i muri più che altrove. Abbiamo incrociato una Chiesa viva e attenta alla formazione. Lo provano le donne e gli uomini della Caritas. Che bello vedere all’opera persone libere e responsabili e cortesi, senza dubbio corrispondendo a un progetto comune, ma scevro da ogni ombra di clericale subalternità! Dei sardi abbiamo constatato il singolare amore per la loro terra. A cinque giorni dal ritorno mi punge ancora la saudade della Sardegna.