Basilio Gavazzeni: “I poveri di Matera e noi”. Di seguito la nota integrale.
Nelle trascorse festività, per diverse ragioni, qualche cosa della sovrabbondanza solstiziale e natalizia ha raggiunto anche me. I dolci li ho donati. Con la discreta somma ricevuta da una persona ho potuto completare un soccorso a me resosi impossibile, trovandomi a rispondere a una contestazione dell’INPS. Da una mensa straripata le vivande superflue hanno lambito la mia tavola che è parca anche quando le campane suonano a festa. Ne sono grato e ne gioisco, eppure non riesco a trattenere uno scrupolo. Ho scelto la povertà per amore di Cristo e dovrei vivere tra i poveri per la salvezza del loro corpo e delle loro anime e, invece, quando celebro l’assimilazione del Sole rinascente al Cristo Oriens ex alto del Cantico di Zaccaria (Lc 1,7-8), mi trovo a condividere comodità e sazietà a loro negate. Comprendo ancora, io, la condizione dei poveri e, soprattutto, mi sta a cuore come a Cristo?
Alla fin fine la nostra città sarà pure fra le ultime per la qualità della vita, ma è al riparo da rischi climatici; non è insidiata dalla siccità come accade alla sorella Potenza; non c’è fiume che esondi all’improvviso; le sue periferie non presentano abiezioni. I nostri poveri? Parte di quelli in crescita nei Meridioni, appaiono più relativi che assoluti. Non si registra nessuno che perisce solitario nella miseria. Si argomentano, i nostri poveri, ad assicurarsi generi alimentari e la risoluzione di qualche bolletta compartecipata presso le Caritas parrocchiali. Chi è spregiudicato, saltabeccando dall’una all’altra sede, rastrella di più. Risentirci perché rimedia due panettoni invece che uno?
Si sa che a Matera vi sono tre giganti del soccorso, ognuno con una mission specifica, ma in assidua relazione: il Banco delle Opere di Carità di Basilicata che tramite volontari religiosi e laici distribuisce nella città e d’attorno tonnellate e tonnellate di derrate alimentari; la Caritas dell’Arcidiocesi di Matera-Irsina che educa a compiere la carità e non manca di impiegarvi notevoli somme, spesso supplendo all’insufficienza delle filiali delle Parrocchie; la Fondazione Lucana Antiusura Mons. Vincenzo Cavalla, che previene il ricorso all’usura di persone escluse dal credito legale affiancandole se meritevoli con la garanzia a prestiti presso le Banche con lei convenzionate.
Potrebbe sembrare, allora, che a Matera la condizione dei poveri sia sostenibile e che bastino i soccorritori nominati. Non è così. Attenti a non applicare alla lettura della nostra povertà l’understatement e il buonsensismo indotti dall’ingiustizia sociale che aduggia i nostri giorni. Inavvertitamente ne siamo corrotti anche noi cristiani, noi cattolici, troppi cattolici, le stesse persone che si pregiano di essere al servizio della carità.
Chiediamoci se siamo adatti al volontariato della carità, se ci siamo formati a un ruolo così delicato. Ci si chieda se siamo caritatevoli per aggirare la noia o per allungare un contentino alla nostra coscienza infelice; se, mentre distribuiamo con la destra un’elemosina proveniente da terzi, non stringiamo con maggiorato artiglio ciò che la sinistra trattiene per noi stessi; se non risultiamo odiosi, senza tatto, pavoneggiandoci per il privilegio e la possibilità di beneficare, spadroneggiando e umiliando i richiedenti; se, della minima burocrazia cui ci si deve attenere, non facciamo un uso vessatorio, ignorando che vi sono tanti modi di corrisponderle quanti di cucinare le uova.
Per i cristiani è la carità di Cristo la legge che guida all’attenzione ai poveri e agli svantaggiati. Dalla sequela di Cristo la dottrina cattolica ha estratto il principio dell’opzione preferenziale per i poveri formulato negli anni Settanta dall’episcopato latino-americano e ripreso da Giovanni Paolo II nel numero 42 dell’Enciclica Sollicitudo rei socialis del 1987. Benedetto XVI nel 2007 ha ricordato che il principio è implicito nella fede cristologica in quel Dio che si è fatto povero per noi per arricchirci con la sua povertà (cfr 2 Cor 8,9). Coerentemente papa Francesco nel numero 198 dell’Esortazione apostolica Evangelii gaudium insiste: Desidero una Chiesa povera per i poveri. Essi hanno molto da insegnarci. […] Siamo chiamati a scoprire Cristo in loro, a prestare ad essi la nostra voce nelle loro cause, ma anche ad essere loro amici, ad ascoltarli, a comprenderli e ad accogliere la misteriosa sapienza che Dio vuole comunicarci attraverso di loro. È un mirabile scatto in avanti del Magistero, questo di papa Francesco. Se non siamo poveri per i poveri e non raccogliamo i messaggi divini di cui sono latori, come possiamo dirci seguaci di Cristo?
La nostra è una città in cui i ricchi sono sempre cresciuti meno per i meriti che per le opportunità e i favorevoli contesti familiari e le cooptazioni politiche e lo sfruttamento dei meno fortunati e, in qualche caso, con la pratica dell’usura. A nessun ricco di Matera può essere attribuita un’opera sociale di perfetta gratuità che resti memorabile. I ricchi, oggi, tranne qualche rara avis, sono inflessibilmente intransitivi. Ne ebbi la prova i giorni del Covid, quando contraggenio, per assunta sfida, ne sollecitai uno alla solidarietà: tergiversò, traccheggiò, accampò alibi, e mi sfuggì come un’anguilla. Qualcuno ormai vaneggia davanti alla tomba aperta ma serra la mano che, dischiusa dalla morte, farà calare les corbeaux che già gli volteggiano sopra. Signore, affliggi i confortati, sfasciane la mente e il cuore di pietra, almeno in prossimità del rendez-vous. Tu conosci il processo alchemico per farne dei Matteo (Mt 9,13) e degli Zaccheo (Lc 19,1-10). A Te nulla è impossibile (cfr Lc 1,37; 18,27).
Apprezzabili iniziative assegnare ai bisognosi alimenti di prima necessità, evitare sfratti a causa di affitti morosi, onorare bollette scadute. Benissimo. Ma chi si fa carico delle cure odontoiatriche di cui la povera gente necessita, chi la conduce fra i quattro adempimenti che la riguardano, chi fa valere le sue giuste ragioni davanti alle lasse tempistiche della sanità, chi si avventura nella desolazione della sua domesticità e, calando nel pratico, chi si preoccupa di farle rifare il bagno idraulicamente compromesso e, risalendo, a chi preme che i poveri ci pareggino in dignità e considerazione? E il Comune con la sua squadra sociale e le periodiche promesse di interventi a favore delle fasce più vulnerabili della popolazione, di garantire per esempio un tetto a chi ne è privo, dove sta? I poveri non dovrebbero essere i primi cittadini del bene comune? Non è mestiere del Comune fare della città una casa comune, per dirla con una calda locuzione coniata da Gorbaciov e cara a papa Francesco? La città dovrebbe erigere davanti al Comune, una gran pietra con inciso a monito il verso di Dante lunga promessa con l’attender corto (Inf XXVII 110), fraudolenza che ha ispirato non pochi amministratori che vi sono passati. Per i futuri si potrebbe incidere il verso cambiando posizione agli aggettivi: corta promessa con l’attender lungo.
I nostri Lazzaro hanno il diritto di risorgere, più ancora il dovere. Dopo averli umilmente ascoltati, con mitezza e severità, incitiamoli. Ridestino la loro dignità che abbiamo umiliato, riguadagnino le doti che hanno disperso, riscoprano l’esercizio della responsabilità, non si abituino a mendicare e a dipendere, non si facciano compatire, amministrino con rigore i pochi soldi che hanno, non bevano non fumino non cedano all’azzardo, non restituiscano a chi li ha indotti a prestiti incauti, recuperino l’unità della famiglia, si affidino al consiglio di persone sicure, ritrovino la connessione con Dio se l’hanno dimenticata, infine pazientino con noi, poveri nani di Cristo, che vogliamo accompagnarci con loro.
Un ricordo per rinterzare lo scrupolo che ho manifestato all’inizio di questa articolessa. Nel Natale del 1964 moriva lo zio prete di mia madre. In seminario era stato compagno del futuro Papa Roncalli. Nella sua casa piena di gatti avevo ricevuto il seme della vocazione. Mia madre cinquantenne, in bicicletta per i dieci chilometri di una provinciale innevata, accorse a portargli le lenzuola perché moriva su uno spoglio materasso al freddo e al gelo come il Bambino nascente, secondo sant’Alfonso de’Liguori. Dio mio, come assomigliargli?
Matera 9 gennaio 2025 Basilio Gavazzeni
Fondazione Lucana Antiusura Mons. Vincenzo Cavalla O.N.L.U.S.- C.F. 93014820778 Piazza S. Agnese, 13 – 75100 Matera tel. 0835/314616 fax 0835/314812 Il presente messaggio, inclusi gli eventuali allegati, ha natura aziendale e potrebbe contenere informazioni confidenziali e/o riservate. Chiunque lo ricevesse per errore, è pregato di avvisare tempestivamente il mittente e di cancellarlo.E’ vietata qualsiasi forma di utilizzo, riproduzione o diffusione non autorizzata del contenuto di questo messaggio o di parte di esso. Pur essendo state assunte le dovute precauzioni per ridurre al minimo il rischio di trasmissione di virus, si suggerisce di effettuare gli opportuni controlli sui documenti allegati al presente messaggio. Non si assume alcuna responsabilità per eventuali danni o perdite derivanti dalla presenza di virus.