Monsignor Caiazzo nominato Vescovo Diocesi Cesena-Srasina, Basilio Gavazzeni: “Le cose di Dio e il Vescovo strappato”. Di seguito la nota integrale.
L’annuncio che Mons. Antonio Caiazzo è stato destinato a esercitare il ministero episcopale altrove ha colto tutti di sorpresa. Alla notizia ho pianto a lungo e, a intermittenze, mi trovo ancora con le lacrime agli occhi. La perdita di un padre è un dolore singolare: crolla il baluardo dietro il quale ci si riparava e si resta col petto scoperto davanti alle contingenze a venire.
Non sono mai stato un frequentatore delle scale e dell’ascensore dell’episcopio. Ho sempre ritenuto che un vescovo debba contare su preti fedeli e in comunione ma capaci di autonomia. La mia intesa con mons. Caiazzo è stata più di sguardi che di parole. Se ve ne sono corse fra noi più distese ed esplicite è accaduto per il reciproco soccorso sussidiario a favore di bisognosi perché lui è stato un vero padre dei poveri. In una temperie di sinodalità diffusa in cui, nella Chiesa, sono emerse la necessità e la promettente locuzione di responsabilità differenziata da parte di tutti i battezzati, non ci si può non stupirsi della sradicante nomina giuntagli, per quel che ho saputo, già il 20 dicembre. L’uomo ne ha conservato il segreto per l’intero tempo di Natale, macerandosi senza lasciar trapelare nulla: nessuno ha registrato la benché menoma flessione nello zelo apostolico che lo contrassegna. Soltanto alla comunicazione pubblica, non è riuscito a trattenere il turbamento.
La grandezza del nostro vescovo ora si staglia più netta. La prima diocesi non si scorda mai, come ogni primo amore. Ma non tocca a lui compiere l’opera iniziata e copiosa di promesse, anche se per alcune settimane non sarà libero di sottrarsene. Da lui stesso dobbiamo attingere le categorie proporzionate a interpretarne l’assegnazione di una nuova missione che, secondo il senso comune, sembra contro razionalità. Da escludere ogni schema di estrazione mondana che può contaminare le stesse valutazioni della gente di Chiesa. Riconosciamo piuttosto che le cose di Dio disturbano chi ne è più prossimo. Pensiamo alla catabasi di Gesù Cristo, da Betlemme al Golgota, alla famigliola di Nàzaret, alle chiamate degli apostoli, di san Paolo, ai grandi vocati delle Sacre Scritture.
Le cose di Dio disturbano, perché costringono a mutar rotta, sfidando il sentire dei più, interrompendo progetti e gettando nell’incertezza e nell’oscurità. Non è consentito piantare la tenda a chi è stato parte di una trasfigurazione di Gesù Cristo. Bisogna partire. Ma all’uomo di fede Dio riserva orizzonti superiori a ogni immaginazione e squarci di grazia inenarrabili. Per questo disturba, e con Lui la Chiesa disturba. Mons. Caiazzo lo sa perché lui stesso, dopo la breve stagione seguita all’ingresso in cui ha camminato con passo circospetto sul nostro territorio ecclesiale, ne ha poi disturbato con fermo discernimento i presbìteri e le comunità parrocchiali a rischio d’impigrire in uno status quo inadeguato alle sfide dell’evangelizzazione e ne ha propiziato una fioritura pastorale. E ora che lui stesso ne è scosso sa di dover dare una testimonianza esemplare.
Domenica scorsa, nel tempio di Sant’Agnese in Matera, ho partecipato alla concelebrazione da lui presieduta. Commosso, quasi a lato sul presbiterio, ne ho studiato i movimenti, soppesato le parole. Un’assemblea di circa cinquecento fedeli, accorsi da ogni parte della città, forse meno per festeggiare la tenera patrona della Parrocchia di cui è arrivata la reliquia, che per essere vicini al pastore strappato, ha potuto ancora una volta ammirare la devozione del celebrante, l’ardore cristologico dell’omileta e la solidità psico-fisica dell’uomo.
Non deve essere solo il Papa, o chi per lui, (il Santo Padre conceda a me peccatore che, abusando della parresia di san Paolo, gli dica: in hoc non laudo) a donare alla nobile Chiesa di Cesena-Sarsina Mons. Antonio Caiazzo, ma sono anche le Chiese di Matera-Irsina e di Tricarico, popolo santo di Dio in quel di Lucania, che glielo donano e consegnano.
Caro don Pino (alla fine cedo a chiamarla come lei desidera), pastore delle nostre anime, vada dove le cose di Dio e della Chiesa la inviano. Illimpidito ed essenzializzato da un momento purgatoriale, con letizia e passione corra a servire il Vangelo e il nuovo popolo santo di Dio affidatole. Susciti un’altra primavera di anime attorno a lei. Siamo sicuri che non le vorranno meno bene di noi.