Michele Morelli: “Vivere i Sassi, usi e abusi”. Di seguito la nota integrale.
In questi ultimi anni si è parlato spesso degli antichi rioni come un luogo alla deriva, prigioniero di piccoli e grandi interessi. Un vero e proprio tradimento della legge 771/86.
Per comprenderne le cause, occorre fare un passo indietro. Fino a poco tempo fa, sembrava che le questioni più rilevanti riguardanti i Sassi fossero in gran parte definite, non risolti, ma definite. Dopo un ventennio di acceso dibattito, la legge 771/86, i Piani di attuazione, le Norme tecniche di intervento, il Manuale del recupero, il Codice di pratica e i vari regolamenti attuativi sembravano aver stabilito un quadro normativo condiviso per il recupero, la tutela e la rivitalizzazione del centro storico. Si era trovato un compromesso, accettato dalla città, che prevedeva regole chiare e criteri selettivi per gli interventi. Già allora, il prof. Tommaso Giura Longo metteva in guardia sulla necessità di un costante lavoro critico nella fase di recupero del tessuto urbano ed edilizio. Analogamente, l’ex ministro per i Beni Culturali Antonio Paolucci, in visita nei Sassi nei primi anni Novanta, sottolineava la necessità di “operare con mano leggera”.
La selezione critica degli interventi e la progettazione basata su solide motivazioni culturali erano dunque indispensabili. Tuttavia, in molti casi si è intervenuti in modo inadeguato e invasivo.
L’inefficienza nella gestione della cosa pubblica appare evidente. In questo intervento intendiamo contribuire al dibattito, ponendo l’attenzione su un aspetto spesso trascurato: il progressivo snaturamento della destinazione dei Sassi. L’idea di trasformarli da museo a città, sostenuta da figure come Bruno Zevi, sembra ormai irrealizzabile. Gli antichi rioni si sono trasformati in un’area urbana svuotata di centralità, monofunzionale e dedicata quasi esclusivamente al turismo.
Il giusto equilibrio tra le diverse funzioni urbane è venuto meno. Ma come è stato possibile derogare ai piani biennali di intervento, al piano generale di recupero, ai regolamenti e alle norme di attuazione della legge 771/86? Diversi fattori hanno contribuito a questa situazione: la mancanza di servizi di prossimità a sostegno della residenza, l’assenza di una strategia chiara per la mobilità sostenibile, la deregulation nell’occupazione del suolo pubblico e nell’arredo urbano, il mancato sviluppo di ricerca e innovazione, restauri inadeguati, la trascuratezza dei beni culturali, lo smantellamento degli uffici preposti alla tutela e alla valorizzazione del patrimonio (Ufficio Sassi e Soprintendenza). Questi aspetti hanno sicuramente influito negativamente, ma possono essere corretti con una buona amministrazione, con il buon governo. Ciò che invece appare irrimediabile sono le tantissime subconcessioni di immobili demaniali a destinazione turistica devolute con procedure in deroga ai bandi pubblici che hanno dato luogo allo stato di fatto attuale.
Le distorsioni normative iniziano subito dopo l’approvazione del primo programma biennale (1988).
Dieci anni dopo, nel 1997, il Consiglio Comunale approva il regolamento per l’assegnazione in sub-concessione di immobili demaniali (art.11, comma 6 e art.12 della legge 771/86), stabilendo due principi fondamentali: gli immobili da affidare in sub-concessione devono risultare inseriti nei programmi biennali di attuazione e le destinazioni d’uso devono risultare compatibili ; la loro assegnazione deve avvenire tramite bando pubblico.
L’unica deroga possibile consentiva ai proprietari di richiedere immobili demaniali funzionalmente collegati alle loro proprietà (al fine di favorire la ricomposizione dei tipi edilizi).
Nel regolamento si prevedeva inoltre di favorire l’insediamento di giovani coppie e imprese giovanili. In occasione della pubblicazione del vademecum “Vivere i Sassi, istruzioni per l’uso”, il sindaco Manfredi si augurava che tutto questo avrebbe favorito la trasparenza nelle procedure, rassicurato e incoraggiato i cittadini.
Tuttavia, dopo trent’anni, si constata amaramente che la maggior parte delle subconcessioni sono avvenute in deroga ai bandi pubblici, in deroga alle destinazioni d’uso, in deroga al piano generale di recupero e ai programmi biennali.
Ma quello che risulta inaccettabile e che tutto questo patrimonio non ha agevolato, se non in modo del tutto marginale, la residenzialità, le giovani coppie e la nascita di imprese giovanili. Le prime subconcessioni in deroga con destinazione turistica risalgono agli anni Novanta. Si partiva da una piccola proprietà per poi richiedere ( e ottenere) subconcessioni di immobili che andavano ben oltre la ricomposizione del tipo edilizio previsto dal regolamento (san Giovanni Vecchio, rione Malve, in località San Martino, Sant’Angelo) . Nel 2000, si tentò di chiudere questo capitolo con modifiche al regolamento, ma negli anni successivi l’Ufficio Sassi, su indicazione della politica, continuò ad approvare progetti di insediamenti turistici fuori dai piani programmati. E’ il caso delle subconcessioni rilasciate nell’Ambito 18, destinato dai programmi biennali a museo dell’Habitat Rupestre. Nel 2008, una modifica al regolamento rese la deroga una prassi consolidata (Delibera di C.C. n. 23 del 18/02/2008). In pochi mesi, centinaia di immobili furono concessi a un numero ristretto di operatori, mentre spazi culturali come il Teatro Sassi venivano sgomberati ( sgombero “disposto” dall’assessore ai sassi S. Acito e dall’assessore alle politiche sociali M. Plati il quale intendeva realizzare un asilo nido). Da allora l’ex scuola Garibaldi è rimasta chiusa e inutilizzata. Il caso emblematico fu la subconcessione diretta dell’intero Ambito 23 di vico Mannese in difformità alla destinazione d’uso prevista dai programmi biennali e dal piano generale di recupero in fase di approvazione ( e ancora rione Vetere, san Pietro Barisano, rione Civita …).
La modifica del regolamento segnò la rinuncia definitiva alla programmazione e alla selezione critica degli interventi. Nel 2019, la dissipazione del patrimonio immobiliare dei Sassi continuerà, all’interno dell’Ambito 22 destinato ai servizi a supporto del museo demo-etno-antropologico, in vico Solitario, nei pressi dell’Ospedale Vecchio e rione Civita. A fronte di questo modo di operante spregiudicato della pubblica amministrazione rimangono sospese vicende come quella degli abitanti dei Sassi legati al progetto della Cooperativa Malve (la prima esperienza abitativa di manutenzione civica nata negli anni settanta a valle dello sfollamento totale degli antichi rioni) . Non si possono attribuire colpe agli operatori che hanno investito tempo e denaro, bensì alle amministrazioni comunali, ai dirigenti, alle soprintendenze e agli uffici regionali di tutela. Istituzioni e Uffici oggi depotenziati, privi di personale. Ricomporre il tutto non sarà facile. La prossima amministrazione dovrà misurarsi con questa eredità. A meno che decida di comportarsi come la passata amministrazione, non fare nulla. Dovrà misurarsi con un nuovo programma, fare i conti con vecchi e nuovi fabbisogni, definire le risorse finanziarie necessarie.
Affrontare il tema delicato delle sub-convenzioni scadute o di prossima scadenza; aggiornare i regolamenti e gli schemi di convenzione; affrontare la questione patrimoniale e, se necessario, proporre alcune modifiche alla legge 771/86; programmare opere infrastrutturali di prossimità; riammodernare la rete dei servizi e della raccolta delle acque nere separandole da quella meteoriche, al fine di garantire una elevata capacità della depurazione e evitare i sovraccarichi negli impianti di sollevamento; affrontare la messa in sicurezza del patrimonio e mitigazione dei rischi derivanti da calamità naturali (la storia dei Sassi è anche storia di crolli e sprofondamenti); cominciare ad affrontare il tema della riqualificazione energetica, nell’ottica del processo di decarbonizzazione del patrimonio; linee guida per antenne, parabole, motori per condizionatori, arredo urbano e occupazione del suolo pubblico; garantire la manutenzione continua e programmata del connettivo; pianificare la bonificare dei siti; portare a termine la vicenda dell’edilizia residenziale pubblica della 179 ( che va avanti dal 1994); favorire i cambi di destinazione d’uso residenziale e, per quel poco di immobili disponibili, l’insediamento di presidi sociali, creativi e culturali; pensare, prima che sia troppo tardi, ad un modello partecipato di gestione unitaria del patrimonio culturale e artistico (dal DEA, al centro di documentazione della città, al teatro Duni, al circuito urbano delle chiese rupestri, a palazzo Malvezzi, agli ipogei di piazza V. Veneto, alla casa Cava). E se si punta al ri-finanziamenti della legge 771/86, l’amministrazione ha il dovere di informare le competenti commissioni parlamentari sullo stato di attuazione della legge e motivare la richiesta di nuovi fondi (art. 3 della legge 771/86). L’ultimo e unico report trasmesso in Parlamento risale al 2001 (Commissione consiliare presieduta da Anna Ziccardi). Osservando lo stato attuale dei Sassi e confrontandolo con i programmi biennali, emerge come ben poco sia stato rispettato. La legge 771/86 è stata disattesa e nessuno ha sollevato obiezioni. Sebbene nell’art. 2 si afferma che i programmi biennali di intervento equivalgono a dichiarazione di pubblica utilità, tutti eravamo tenuti a rispettare. Oggi ci troviamo in questa situazione e speriamo che non peggiori ulteriormente: ne abbiamo il diritto.