Sarebbe stato sicuramente felice Lombroso per la figura di Batman-Fiorito che, per la sua stazza e per la sua fisiognomica da gran pappone, avrebbe provato in modo definitivo ed incontrovertibile il suo teorema antropologico. Faccia e corpo da pappone che pappava con feroce famelicità risorse pubbliche messe a disposizione legittimamente (?) dal Babbo Natale della Regione Lazio. Quello che è stato scoperchiato alla Regione Lazio e di come i consiglieri papponi dilapidassero risorse pubbliche ha dell’incredibile andando molto al di là della più fervida e perfida fantasia. Questi signori, oltre alla lauta indennità di carica, incassavano anche un cospicuo appannaggio per svolgere attività politica sul territorio (?) che andava dagli 8.000 euro al mese per il consigliere più fesso, ai 25 mila per il più dritto (il pappone). Ma la cosa ancora più incredibile è che queste indennità pare che siano distribuite a man bassa anche in quasi tutte le regioni (compresa la nostra stando ai sospetti della procura di Potenza). La gente ormai stressata da una pressione fiscale asfissiante ed immiserente, non è più oltremodo disposta a sopportare questi abusi della casta che non ha fino ad ora adottato un solo straccio di provvedimento , dico almeno uno, per allinearsi in modo solidale ed esemplare ai sacrifici che si stanno infliggendo agli italiani. Questa immondizia umana, ormai definitivamente perduto il contatto con la realtà, intenti a saccheggiare come cavallette risorse pubbliche, stenta a capire che se non toglie il disturbo finirà per penzolare a piazzale Loreto a testa in giù. E’ facile e doveroso, preda finalmente da etica e salutare indignazione, che Peppe Grillo ben interpreta, chiedere il taglio delle teste. Il problema diventa ben più complesso se poi si scopre che i papponi ed i magnaccia (sperando che questi ultimi non si offendano per il parallelo) sono gratificati da un oceanico consenso elettorale. Batman aveva incassato ben 27 mila voti in un collegio grande come quello di Matera! Allora si capisce che i Papponi non stanno nei consigli nazionali e regionali per caso ma godono di un consenso popolare travolgente. Non mi preoccupo così più del pappone in se ma del perché il popolo gratifica questi squallidi personaggi. Sono lì evidentemente perché è deviato il rapporto che il popolo ha con la politica. La cultura popolare televisiva (spazzatura), scolastica (anche quest’ultima ha delle sue gravissime colpe), finanche quella religiosa, in questi ultimi anni ha insinuato nelle teste delle persone che la politica è come un juke-boxe, come una sorta di paese della cuccagna dove tutti i desideri personali, ivi compresi quelli inconfessabili, spingendo il bottone, possano essere esauditi. Il popolo chiede favori personali e i papponi promettono esigendo immantinente un voto, ripagando lo sciocco boccaccesco con dei pagherò diretti da onorare a data da destinarsi. Questa fiera della illusioni diventa poi una tagliola infernale se si riesce a conservare la scarsità delle risorse e sempre più ferocemente controllate e concentrate in poche mani. Bisogna gridare una volta per tutte che la politica non è questa immondizia e l’anti-politica non è ne Beppe Grillo, ne chi vuole tagliare giustamente le teste di tiranno. La Politica ha il compito fondamentale di far percepire al singolo cittadino che il suo destino non è indifferente a quello della sua comunità. L’anti-politica invece è quella che separa i destini dei singoli da quelli collettivi, ritenendo i primi prioritari rispetto ai secondi. Abbiamo vissuto periodi storici a priorità invertite che hanno consegnato alla storia le morti e le distruzioni della II guerra mondiale. Si comprende pertanto come occorre avviare una poderosa azione educativa perché questo rapporto deviato che la gente ha con la politica possa essere sconfitto. La politica medesima non può sottrarsi a questa enorme azione ri-educatrice Se la politica è sentirsi parte di un destino comune ed instancabile ricerca del bene comune allora deve emergere una differente classe dirigente e politica. Le doti necessarie per poterla praticare dovranno essere passione civile, conoscenza e competenza e, soprattutto, esercizio instancabile della responsabilità. Queste sono le doti che dovrebbero fare grande un politico e la politica. Nel DNA dei papponi che oggi popolano la politica questo corredo genetico è totalmente assente. Per questo, soprattutto in questo frangente di grave crisi nel quale la gente è in grande affanno, l’attuale classe politica va pesantemente rinnovata con coraggiosi, corali atti rivoluzionari. Una seconda lezione più specificamente politica va comunque appresa. Il caso del Batman ha anche segnato il “de profundis” di quella mitologia federalista costruita per inseguire la rozzezza culturale di gente con il casco barbarico cornuto sul capo ed in camicia verde. Alla fine le Regioni affidate alla deriva federalista, si sono rivelati dei formidabili moltiplicatori di spesa e di sprechi!
Francesco Vespe
Riceviamo e pubblichiamo la nota di Saverio Paolicelli in cui esprime le sue considerazioni rispetto alle riflessioni sul caso Fiorito e sugli altri scandali di natura finanziaria che hanno colpito i partiti nel nostro Paese inviate da Franco Vespe.
Caro Franco,
non è solo una questione di teste da tagliare, molte delle quali effettivamente incanutite e incalvite tra le camarille governative e gli scranni parlamentari: devo dire che se questi signori avessero il pudore e il coraggio di mettersi seriamente in discussione (non come fa D’Alema, ma neppure con la refrattarietà di Casini) il clima arrabbiato che si avverte un po’ ovunque, anche nella tua lettera, si distenderebbe.
Quanto, però, sta venendo fuori in questi mesi era già ipotizzabile leggendo le bozze di modifica costituzionale del Titolo V della nostra Carta che venivano pubblicate sui giornali già nei primi mesi del 1999 e che la legge costituzionale n.1 del 22 novembre di quello stesso anno sancì. Ormai con l’elezione diretta del Presidente della Regione e la definizione dello statuto ordinario si capiva che stavano sorgendo entità politiche indipendenti – prima avevano solo carattere amministrativo e dal ’97, grazie alla Bassanini, cominciarono a occuparsi dello sviluppo dei loro territori – e parzialmente complementari con lo Stato che avrebbero avuto poteri autonomi. Con la modifica costituzionale del 2001, anch’essa preceduta da dibattiti e polemiche nei luoghi istituzionali e sui media, si ebbe la certezza che l’indipendenza non era solo nell’organizzazione politica ma soprattutto nella possibilità di legiferare, avendo le regioni ottenuto la Potestà legislativa sulle materie di loro competenza, oltre alla possibilità di regolamentare quella concorrente (che tante contestazioni tra Stato e Regioni istruisce in sede di Consulta) e di acquisire de facto quella residuale che non spetta dichiaratamente allo Stato.
Ma già all’epoca si sapeva bene che il motivo recondito di questa riforma era consegnare anche alle seconde file dei partiti, quelle attive sul territorio locale e che non potevano trovare posto tra le candidature parlamentari, fette di potere e spoglie carnose su cui stendere la propria influenza ricavandone i relativi benefici. i poteri, quei poteri, quelle prerogative, sono stati concessi per tenere a freno le ribellioni interne ai partiti da parte di coloro che a digiuno pretendevano anch’essi “pezzi di carne da spolpare”.
Le regole sui poteri concessi alle regioni, infatti, avrebbero potuto essere diverse: prevedere una gerarchia tra i vari livelli legislativi per dare un ordine di priorità agli interventi approvati dalle istituzioni, in modo da determinare una modulazione del grado di autonomia e prevenire i contrasti istituzionali e la confusione delle attribuzioni, costruendo un sistema uniforme e armonico tra tutte le regioni; imporre l’approvazione degli statuti da parte del Parlamento; definire criteri per determinare i tetti di spesa per le varie materie e i vari territori, assoggettare gli istituti retributivi dei consiglieri a quelli dei Parlamentari introducendo fattori di proporzionalità, ma anche di differenziazione secondo la diversa importanza dei ruoli; abolire le regioni e province autonome, ormai svuotate di senso e significato, prevedendo un unico statuto regionale e una legge elettorale uguale per tutte.
Le nostre Regioni non sono entità territoriali differenziatesi storicamente, con lingua e identità proprie, come le Comunità autonome spagnole, o entità politiche con 1500 anni di storia e di autonomia come i Länder tedeschi: quali sono le basi storico–culturali dei poteri autonomi attribuiti alle nostre istituzioni regionali? Eppure secondo l’incipit dell’articolo 114 della costituzione la Repubblica è costituita, nell’ordine, da Comuni, Province, Città Metropolitane, Regioni e Stato, sottolineando che le prime quattro istituzioni sono enti autonomi con propri statuti, poteri e funzioni.
In questo modo abbiamo concesso ai consigli regioni la possibilità di cambiare anche la legge elettorale, se lo vogliono, omettendo di considerare che se vengono eletti con criteri differenti un Presidente di Regione e i membri del consiglio possono avere legittimità e rappresentatività diverse e i meccanismi per ottenere la stabilità delle loro Giunte possono divergere da regione a regione. Al contrario il potere conferito a questi organismi e la relativa responsabilità rispetto ai cittadini sono i medesimi in ogni territorio. Inoltre, abbiamo dato ai consiglieri e ai Gruppi consiliari la possibilità di approvarsi autonomamente indennità, finanziamenti e prebende varie (oltre alla potestà legislativa di cui sopra), così oggi non solo abbiamo 20 politiche regionali diverse nelle varie materie – il coordinamento tra le regioni è previsto esclusivamente per le tre materie: immigrazione, polizia locale e beni culturali, come da art. 118, comma ter – ma anche 20 livelli diversi di costo delle strutture regionali (non solo gli eletti e i relativi Gruppi, ma anche i consulenti, dirigenti e via dicendo).
A parte le responsabilità personali nel caso di comportamenti illeciti, è chiaro che questi signori non hanno fatto altro che prendersi quello che gli è stato concesso. Le Regole erano chiare sin dall’inizio, per cui mi stupisce che ora tutti gridino allo scandalo per quanto sta venendo allo scoperto sui benefici/privilegi che giunte e consigli regionali si sono concessi! Se non si voleva dar loro questa possibilità si doveva prevedere almeno quanto ho specificato sopra. Ora non possiamo stupirci che consiglieri e consigli si comportino in conformità con quanto hanno sempre fatto i nostri Parlamentari e che nei consigli regionali accada quanto sempre accaduto in Parlamento.
Anche dimostrare la fondatezza delle accuse riguardo ai reati di appropriazione indebita e malversazione dei fondi assegnati ai Gruppi – e quindi anche ai partiti – commessi da consiglieri scaltri non sarà così semplice, perché i Gruppi consiliari non erano tenuti a dar conto a nessuno dell’utilizzo che facevano delle somme ricevute, così come avveniva per i Gruppi parlamentari prima che Fini – è storia di questi giorni – riuscisse a far approvare alla Camera l’obbligo di certificazione del bilancio dei Gruppi (attenzione, la certificazione prevede l’accertamento della veridicità di tutte le voci di spesa riportate a bilancio, ma ciò non impedisce eventuali utilizzi impropri delle risorse rispetto alle esigenze parlamentari). Se si vuole impedire che i Gruppi utilizzino i fondi a loro piacimento bisogna riformare la Costituzione e porre limiti ai criteri di autonomia dell’autogoverno delle Camere, per lo meno riguardo agli aspetti economici, e poi regolamentare adeguatamente anche i consigli regionali (sempre supponendo la eliminazione degli statuti speciali).
Detto questo, continuo a reputare maggiore il danno fatto dai nostri rappresentanti istituzionali – e qui associo regioni, province, comuni e Parlamento – attraverso la corruzione, la concussione, il voto di scambio e l’interesse privato in atti pubblici, con cui sono stati favoriti soggetti singoli, associati o determinate categorie, che non avrebbero avuto alcun diritto di ottenere tali benefici. Sono stati elargiti finanziamenti e sovvenzioni, predisposte forme d’incentivazione, assegnato indebitamente concessioni (specie edilizie) e approvate regole bizantine per facilitare l’evasione e l’elusione fiscale, come i condoni, che hanno comportato discriminazioni, arricchimenti di segrete consorterie in cui i nostri politici avevano e hanno un ruolo di primordine. In questo modo i territori e le loro risorse sono stati svenduti, come il petrolio e l’acqua lucani, con ripetute distrazioni dei fondi destinati allo sviluppo delle aree arretrate.
I nostri partiti sono sempre stati a livello locale, specie nel sud, contenitori di clientele attraverso cui gestire il territorio in modo militaresco, ce lo siamo detti tante volte. Questo controllo, profondo ed esteso, ha bloccato – e continua a farlo – ogni iniziativa di sviluppo nata da singoli e da gruppi di veri imprenditori; ogni impresa produttiva creativa ed originale nasce e resta in piedi soltanto se origina dalla “politica” o si muove sotto la sua egida.
L’insieme di tutte queste situazioni ha procurato, globalmente alla nazione, molti più danni economici che non le spese per la politica messe tutte insieme: basti pensare al fallimento, almeno negli esiti finali, della Cassa del Mezzogiorno e ai finanziamenti a pioggia distribuiti da tutte le Giunte regionali succedutesi dal 1999 ad oggi, con la regia dei Parlamentari locali. Se poi a queste si associano tutte le leggi non predisposte e non approvate dai vari Governi per contrastare il fenomeno dell’evasione fiscale – da sola supera oggi i 255 miliardi annui – del sommerso (elusione più lavoro nero) e del lavoro irregolare (contratti atipici non regolari), aggiungendo gli ammanchi dovuti alla corruzione, che secondo le stime della Corte dei Conti ammonta a circa 60 miliardi, si arriva sui 350 / 360 miliardi all’anno mancanti dalle casse dello Stato (non ho considerato tutto ciò che finisce nei conti delle organizzazioni mafiose e di cui non si conoscono completamente voci e valore del giro d’affari). Se grazie a leggi appropriate si fosse riusciti ad evitare anche solo la metà di queste “introiti ineluttabilmente assenti” dal bilancio dello Stato, non si sarebbe mai neppure parlato di manovre correttive, di finanziarie “lacrime e sangue” e avremmo prevenuto l’esplosione del debito pubblico ( e tutto quello che ne è conseguito).
Il rapporto tra i costi della politica e i danni della politica è di 1 a 100.
Tagliare le teste non serve, oltre a non essere in linea con le regole dell’ordine democratico, come non lo è rottamare. La democrazia si basa sulle regole e fallisce solo se le regole non sono adeguate o adeguatamente applicate e fatte rispettare. E’ vero che per fare regole idonee e più giuste abbiamo bisogno di Uomini nuovi, non per età ma per mentalità, per rigore morale, capacità di realizzazione e lungimiranza politica, ma per far entrare questi soggetti in Parlamento ci vuole una legge elettorale che consenta ai Cittadini di sceglierli liberamente e responsabilmente, da Sovrani democratici quali sono, in modo tale che gli eletti abbiano la giusta rappresentatività, i partiti la corretta autorità e sia possibile sostenere maggioranze stabili che producano la necessaria governabilità.
La bozza di legge che ho scritto va esattamente in questo senso.
Agli Uomini Nuovi candidati a divenire nostri Rappresentanti bisognerebbe chiedere di impegnarsi ad approvare una legge sui partiti, com’è in Germania: abbiamo bisogno di partiti pubblici (aperti e regolati dai crismi del diritto pubblico), democratici con regole democratiche a tutti i livelli, locale e nazionale, che diano realmente spazio al confronto delle visioni e delle posizioni per definire una linea politica condivisa da mantenere anche nei momenti di costruzione delle coalizioni – le attuali primarie, che ammettono la molteplicità dei candidati di uno stesso partito, ognuno con la propria linea politica, sconfessano le decisioni congressuali del PD e tolgono autorevolezza agli attuali organi direttivi. Una democrazia retta da partiti non democratici non funziona bene. Infine, questi partiti devono essere trasparenti, per dar modo a tutti di verificare la correttezza dei comportamenti interni al partito e garantire che le risorse loro conferite vengano utilizzate per svolgere solo l’attività politica.
Successivamente, nell’ipotesi di adozione della legge elettorale di cui sopra, bisognerebbe modificare la normativa riguardo ai Gruppi parlamentari (possono farlo solo le Camere, ognuna per suo conto): in ogni Camera dovrebbero essere presenti come Gruppi autonomi solo i partiti iscritti alle elezioni che hanno ottenuto un numero di preferenze superiori al valore della soglia di sbarramento. I partiti sotto soglia dovrebbero andare a comporre il Gruppo misto. Chi viene eletto dovrebbe iscriversi al Gruppo del Partito che lo ha candidato e non dovrebbe essere possibile cambiare Gruppo.
Quindi, bisognerebbe modificare l’articolo 67 della Costituzione specificando che la libertà dal vincolo di mandato attribuita ai Parlamentari si riferisce alla libertà d’iniziativa riguardo alle attività parlamentari e alla libertà di coscienza nel conferimento del voto in occasione delle votazioni in Aula: la libertà dal vincolo di mandato non può più essere interpretata come possibilità arbitraria ed estemporanea di rinunciare alle appartenenze politiche e agli impegni programmatici. Presentarsi ai cittadini nelle file di un partito significa sposarne i principi, la visione, la linea politica e i programmi, fattori che in un partito regolato in modo democratico non vengono imposti a nessuno ma votati e accettati responsabilmente. Una scelta fatta in questo modo va confermata per l’intera legislatura: qualora un Parlamentare dovesse entrare in conflitto insanabile col suo partito, esso potrebbe continuare a rimanere nel Gruppo parlamentare di quel partito (da cui non può essere cacciato), votando sempre secondo coscienza; potrebbe così continuare a svolgere la sua attività di rappresentante della nazione, facendo rifermento al suo territorio e ai cittadini che gli hanno assegnato la loro fiducia. In casi estremi potrebbe dimettersi dalla carica.
Ancora, bisognerebbe inserire in Costituzione una norma che vieta ai Parlamentari di svolgere qualsiasi attività lavorativa, che non sia quella di Parlamentare per dare dignità al mandato e migliorare l’efficienza delle Camere; inoltre ci vorrebbe una norma che vieti espressamente di praticare il voto di scambio, inserendo tale divieto nell’articolo 54 della Carta – quello che impone lo svolgimento delle funzioni pubbliche con disciplina e onore – con riferimento alle cariche elettive e disponendo che la pena prevista per chi infrange il divieto sia la decadenza dalla carica.
Poi ci vorrebbe una legge che regoli adeguatamente il conflitto d’interessi e un’idonea legge sulla corruzione, più rigorosa di quella attualmente in discussione in Parlamento (un iter parlamentare di due anni e mezzo per partorire un provvedimento blando e pallido imposto dal PDL).
E per ora mi fermo qui (ma di proposte importanti e necessarie ce ne sono molte altre): già questo basterebbe rendere la nostre istituzioni più rispondenti al compito di guidare efficacemente una democrazia moderna come la nostra.
Le rivoluzioni non costruiscono la democrazia, bisogna avere idee che si trasformino in progetti (questo sicuramente non ci difetta), organizzare il consenso politico che le condivida e le porti nei luoghi ove si prendono le decisioni perché vengano approvate. Questa seconda parte è quella che non riusciamo a compiere ma è tempo di rimettersi in pista per rimettersi ad agire politicamente, senza commettere gli errori del passato.
Saverio Paolicelli