“Attendiamo, ovviamente, di leggere la sentenza della Corte Costituzionale nella sua interezza, ma se le indiscrezioni dovessero essere confermate non riterrei mutata la sostanza della questione.”
Così il presidente della Regione Baislicata Vito De Filippo in riferimento alla notizia di una bocciatura della legge regionale contro le installazioni nucleari in regione. “Tecnicamente – spiega De Filippo – può darsi che la Basilicata abbia percorso una strada non conforme alle norme, ma praticamente la posizione resta immutata. Innanzitutto quella legge della Regione Basilicata è l’espressione di una forte volontà politica della Basilicata sulla indisponibilità a ospitare tanto il sito di stoccaggio delle scorie radioattive, o parco tecnologico che dir si voglia, quanto una centrale nucleare e oggi io ribadisco la volontà di far valere in ogni modo questa scelta. E poi la stessa sentenza non escluderebbe il diritto delle Regioni a una concertazione preventiva, indicando una diversa via per affermarlo e cioè non una legge propria ma l’impugnazione della legge dello Stato. Ed è chiaro che, all’occorrenza, siamo pronti a percorrere anche questa, come qualsiasi altra strada utile a riaffermare le volontà della nostra gente”.
LA CORTE COSTITUZIONALE DICHIARA ILLEGITTIME LE LEGGI REGIONALI DI PUGLIA, BASILICATA E CAMPANIA ANTI-NUCLEARE
La Corte Costituzionale ha dichiarato illegittime le leggi regionali con cui Puglia, Basilicata e Campania avevano vietato l’installazione sul loro territorio di impianti di produzione di energia nucleare, di fabbricazione di combustibile nucleare e di stoccaggio dei siti radioattivi. La decisione è stata presa in una delle ultime camere di consiglio dei giudici costituzionali e le motivazioni saranno depositate nei prossimi giorni.
Secondo la Consulta le tre leggi regionali che in assenza di un’intesa tra Stato e Regioni precludono il proprio territorio all’installazione di impianti nucleari violano specifiche competenze statali. In particolare, le norme di Puglia, Basilicata e Campania sono state bocciate perchè, in riferimento ai depositi di materiali e rifiuti radioattivi, avrebbero invaso la competenza esclusiva dello Stato in materia di tutela dell’ambiente (art.117, secondo comma, lettera s). Mentre per quanto riguarda l’installazione di impianti di energia nucleare – si è inoltre appreso – sarebbe stata lesa la competenza esclusiva dello Stato in materia di sicurezza (art.117, secondo comma, lettere d e h). In base al ragionamento dei giudici costituzionali, se le Regioni ritengono giustamente necessaria un’intesa con lo Stato per l’installazione degli impianti allora possono impugnare le leggi statali dinanzi alla Consulta e non, come invece hanno fatto Puglia, Basilicata e Campania, riprodurre con legge regionale le situazioni che considerano più corrette.
Le indiscrezioni finora circolate sui possibili siti che ospiteranno le centrali e i depositi delle scorie nucleari vedono interessate, tra le Regioni di cui oggi la Consulta ha respinto i ricorsi, soprattutto Basilicata e Puglia, sia per la possibile installazione di un impianto (Scanzano Jonico, già in passato al centro di polemiche come destinatario delle scorie) che per lo stoccaggio dei rifiuti radioattivi (l’area a cavallo tra le due Regioni). La Campania, dove più alto è il rischio sismico, non ricorre invece mai nelle liste di cui sono finora circolate notizie ufficiose. Per quanto riguarda le centrali, i luoghi candidati dovranno rispondere infatti a precisi requisiti: in primo luogo dovrà trattarsi di zone poco sismiche, in prossimità di grandi bacini d’acqua senza però il pericolo di inondazioni e, preferibilmente, lontane da aree densamente popolate.
Fra i nomi che puntualmente ritornano, ci sono quelli già scelti per i precedenti impianti poi chiusi in seguito al referendum del 1987, anche se, come spiegano esperti di settore, da una vecchia struttura non è possibile ricavarne una nuova, visto il progredire della tecnologia che ha reso totalmente inutilizzabili le centrali dismesse. Ricorrono spesso Caorso, nel Piacentino, e Trino Vercellese (Vercelli), entrambi collocati nella Pianura Padana e quindi con basso rischio sismico e alta disponibilità di acqua di fiume. Fra i luoghi più papabili anche Montalto di Castro, in provincia di Viterbo, che unisce alla scarsa sismicità la presenza dell’acqua di mare. Secondo altri, fra cui i Verdi e Legambiente, il quarto candidato ideale è Termoli, in provincia di Campobasso, mentre in altre circostanze si sono fatti i nomi di Porto Tolle, a Rovigo, Monfalcone (in provincia di Gorizia) Scanzano Jonico (Matera), Palma (Agrigento), Oristano e Chioggia (Venezia). Sulla scelta peserà comunque anche l’atteggiamento dei governatori regionali, finora in gran parte contrari all’installazione di impianti sul proprio territorio.
L’ultimo esempio è quello della Lombardia, proposta dal ministro dello Sviluppo economico, Paolo Romani, come probabile sede. Indicazione respinta al mittente da Roberto Formigoni, secondo il quale la Regione è autosufficiente. Per decidere invece dove collocare lo stoccaggio delle scorie occorre una sorta di ‘autocandidaturà da parte degli enti locali individuati dalla mappa, con oltre 50 possibili siti, messa a punto dalla Sogin. Solo laddove non dovesse esserci un accordo con l’ente locale la decisione spetterebbe al Consiglio dei ministri. Le indiscrezioni sulla mappa hanno già sollevato un polverone di polemiche. Tra le zone interessate il viterbese, la Maremma, l’area tra Puglia e Basilicata, quella tra Puglia e Molise, le colline emiliane, il piacentino e il Monferrato.