Il Mezzogiorno non è per il Paese un lusso eccessivo che ora non può essere più sostenuto, ma rappresenta un’imprescindibile opportunità per far tornare a crescere l’Italia sia sotto il profilo economico che sociale. È la sintesi del pensiero contenuto nel documento “Una politica di sviluppo del Sud per riprendere a crescere”, messo a punto da 21 associazioni col coordinamento dello Svimez, che è stato presentato questa mattina in un convegno che si è tenuto a Roma, presso la sala “Atti Parlamentari” della biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini” al fine di essere sottoposto alle forze politiche per giungere ad una “Agenda per il Sud” da affrontare nella nascente legislatura.
Nel corso dei lavori è stato evidenziato come l’impatto delle manovre finanziarie del 2012 sia stato devastante per il Sud, colpito in modo quasi doppio da politiche quali il taglio della spesa in conto capitale e come, a fronte dell’obiettivo di mantenere la quota del 45% degli investimenti pubblici destinati al Sud, dal 2001 al 2011 si sia scesi dal 40,4 al 31,1%.
Nel corso dell’incontro il presidente Svimez, Adriano Giannola, ha anche posto il problema delle classi dirigenti, indicando quella della Basilicata (era presente il Presidente della Regione Vito De Filippo che è intervenuto al dibattito) come un esempio da seguire.
Il documento, in particolare, evidenzia la necessità di puntare su riqualificazione urbanistica, infrastrutturazione logistica, produzione e recupero energetici sia da fonte fossile che rinnovabile, sviluppo delle aree interne anche quale bacino turistico e sul ruolo del Mediterraneo per un raccordo con altre aree geografiche in rapida crescita, al fine di sviluppare l’intero Paese utilizzando il Mezzogiorno come risorsa. Questo perché, hanno ripetuto tutti i partecipanti al dibattito (da Umberto Raneri a Giorgio La Malfa e Gerardo Bianco) il Mezzogiorno è l’unica possibilità di riprendere a crescere per il Paese).
Nel suo intervento De Filippo ha ribadito la necessità di scelte serie e responsabili per il Paese e per il Mezzogiorno, evitando la tradizione del pregiudizio verso il Sud e cogliendone appieno le opportunità. L’impegno per il Sud, ha sostenuto, non è questione di solidarietà o di intervento straordinario, ma un’opportunità di ripresa per il Paese che metta in sicurezza anche la prospettiva dell’Europa, perché, ha spiegato, se cade il Sud cade l’Italia. De Filippo ha poi osservato come i contenuti del documento presentato dallo Svimez e dalle associazioni mostri elementi di netta coerenza con le linee guida del novo ciclo di programmazione degli interventi comunitari, sottolineando inoltre come una tale convergenza mostri in modo inequivoco la via da seguire mettendo nell’angolo le demagogie e le proposte di chi pensa o afferma che i problemi dell’Italia possano essere affrontati in modo separato dalle diverse aree del Paese.Svimez: Mezzogiorno non è lusso ma opportunità
Energia, aree urbane ed interne, infrastrutture e logistica i temi chiave.
Sottolineata la questione delle classi dirigenti: “Basilicata sia di esempio”
Il Mezzogiorno non è per il Paese un lusso eccessivo che ora non può essere più sostenuto, ma rappresenta un’imprescindibile opportunità per far tornare a crescere l’Italia sia sotto il profilo economico che sociale. È la sintesi del pensiero contenuto nel documento “Una politica di sviluppo del Sud per riprendere a crescere”, messo a punto da 21 associazioni col coordinamento dello Svimez, che è stato presentato questa mattina in un convegno che si è tenuto a Roma, presso la sala “Atti Parlamentari” della biblioteca del Senato “Giovanni Spadolini” al fine di essere sottoposto alle forze politiche per giungere ad una “Agenda per il Sud” da affrontare nella nascente legislatura.
Nel corso dei lavori è stato evidenziato come l’impatto delle manovre finanziarie del 2012 sia stato devastante per il Sud, colpito in modo quasi doppio da politiche quali il taglio della spesa in conto capitale e come, a fronte dell’obiettivo di mantenere la quota del 45% degli investimenti pubblici destinati al Sud, dal 2001 al 2011 si sia scesi dal 40,4 al 31,1%.
Nel corso dell’incontro il presidente Svimez, Adriano Giannola, ha anche posto il problema delle classi dirigenti, indicando quella della Basilicata (era presente il Presidente della Regione Vito De Filippo che è intervenuto al dibattito) come un esempio da seguire.
Il documento, in particolare, evidenzia la necessità di puntare su riqualificazione urbanistica, infrastrutturazione logistica, produzione e recupero energetici sia da fonte fossile che rinnovabile, sviluppo delle aree interne anche quale bacino turistico e sul ruolo del Mediterraneo per un raccordo con altre aree geografiche in rapida crescita, al fine di sviluppare l’intero Paese utilizzando il Mezzogiorno come risorsa. Questo perché, hanno ripetuto tutti i partecipanti al dibattito (da Umberto Raneri a Giorgio La Malfa e Gerardo Bianco) il Mezzogiorno è l’unica possibilità di riprendere a crescere per il Paese).
Nel suo intervento De Filippo ha ribadito la necessità di scelte serie e responsabili per il Paese e per il Mezzogiorno, evitando la tradizione del pregiudizio verso il Sud e cogliendone appieno le opportunità. L’impegno per il Sud, ha sostenuto, non è questione di solidarietà o di intervento straordinario, ma un’opportunità di ripresa per il Paese che metta in sicurezza anche la prospettiva dell’Europa, perché, ha spiegato, se cade il Sud cade l’Italia. De Filippo ha poi osservato come i contenuti del documento presentato dallo Svimez e dalle associazioni mostri elementi di netta coerenza con le linee guida del novo ciclo di programmazione degli interventi comunitari, sottolineando inoltre come una tale convergenza mostri in modo inequivoco la via da seguire mettendo nell’angolo le demagogie e le proposte di chi pensa o afferma che i problemi dell’Italia possano essere affrontati in modo separato dalle diverse aree del Paese.
Forse la mia ignoranza ma questa parte dell’articolo non riesco a trovarlo nel documento conclusivo della svimez
e (corso dell’incontro il presidente Svimez, Adriano Giannola, ha anche posto il problema delle classi dirigenti, indicando quella della Basilicata (era presente il Presidente della Regione Vito De Filippo che è intervenuto al dibattito) come un esempio da seguire.
7. Classi dirigenti e governance
La piena ed effettiva attivazione di un progetto di sviluppo che oggi
trova al Sud la sua base naturale è condizionata certamente dalla necessità
di alimentarlo nel tempo con un flusso di risorse pubbliche, aggiuntive
oltre che ordinarie; per il suo effettivo decollo, è necessario anche
realizzare le convenienze per attrarre risorse private nazionali ed estere, da
canalizzare sulla direttrice mediterranea di sviluppo. A questo fine, un
condizionamento altrettanto decisivo di quello delle risorse rinvia alla
capacità delle classi dirigenti meridionali (amministratori pubblici e
politici, ma anche quadri guida di sindacato e mondo del lavoro, impresa,
servizi, associazionismo, Chiesa, etc.) di adottare comportamenti coerenti
ed adeguati alle urgenze di oggi e innovativi rispetto alle tanto deludenti
esperienze del passato, spesso fallite a fronte dell’esigenza di coniugare
autonomia e responsabilità.
L’efficacia dell’azione pubblica nel Mezzogiorno è fortemente
condizionata dai ritardi strutturali della società, delle Istituzioni e del
sistema produttivo meridionale, imputabili alla debolezza della intera
azione della PA, centrale e soprattutto locale. Nel Mezzogiorno è assai
inferiore la qualità di beni pubblici essenziali, come giustizia, sanità,
istruzione, trasporti, lavori pubblici, servizi locali, con ricadute rilevanti
sulle condizioni di vita dei cittadini e sul funzionamento dell’economia.
Questi “nuovi contenuti del divario” – non solo strettamente economici –
svelano una condizione in cui ancora oggi per il cittadino meridionale sono
a rischio, o gravemente carenti, alcuni diritti fondamentali. Un limite grave
al corretto svolgimento della vita civile e dell’attività economica è tuttora
rappresentato in molte zone del Sud da una condizione di legalità debole,
in cui l’autorità pubblica non è in grado di contrastare efficacemente i
fenomeni che corrodono quel primario “bene pubblico” rappresentato dalla
sicurezza e dal regolare dispiegarsi della concorrenza sui mercati. Nel
quadro della crisi generale dell’economia italiana ed europea è aumentata,
in particolare, la compenetrazione tra la criminalità e l’attività economica,
divenendo un nodo di estrema rilevanza per il Mezzogiorno. Il ripristino
del controllo della legalità è dunque più che mai una priorità per il
Mezzogiorno e per tutto il Paese.
L’esperienza evidenzia che ogni politica di promozione dello
sviluppo, ogni euro di investimento pubblico, a partire dagli anni ’80, si è 11
scontrato con l’ostacolo di un deficit di cittadinanza particolarmente forte
(per intensità più che per qualità rispetto agli standard nazionali) e con la
fragilità delle classi dirigenti del Sud. Proprio la carenza di strategia ha
segnato il deludente esito di politiche che sono state risucchiate nei gorghi
di un malinteso localismo che ha magnificato nel Sud quella che è stata
definita una “intermediazione impropria”. Buona parte delle risorse
pubbliche sono divenute beni particolari, non beni collettivi. Una deriva
che ha a sua volta rafforzato il circolo vizioso e ha depotenziato la capacità
di visione complessiva, finendo per alimentare il proliferare di azioni che,
anche con le migliori intenzioni, si sono risolte nella parcellizzazione in
“tante” strategie di sviluppo. Per promuovere la qualità di classi dirigenti
all’altezza dei compiti è necessario recuperare anzitutto una visione
condivisa di un disegno complessivo che coinvolga Istituzioni locali e
centrali con responsabilità chiare e ben definiti spazi per azionare le dosi di
sussidiarietà che si rendessero necessarie a conseguire gli obiettivi
prefissati.
Il miglioramento dell’efficienza delle politiche ordinarie e di quelle
speciali per lo sviluppo dipende dunque inestricabilmente anche dalla loro
capacità di realizzare beni e servizi collettivi in grado di concorrere a
riqualificare l’ambiente economico e sociale e di promuoverne la
competitività del territorio. Un obiettivo da realizzare con un processo
fortemente interattivo tra le Regioni meridionali ed il Governo centrale tale
da assicurare l’unitarietà e la natura strategica della necessaria
programmazione.
La proposta è, cioè, quella di una governance multilivello,
nell’ambito di una cooperazione istituzionale basata su uno stretto
coordinamento tra tutti i livelli di governo in grado di intervenire e
garantire efficacia anche nella fase di progettazione e di realizzazione.
Il problema degli assetti istituzionali rappresenta un aspetto cruciale
da affrontare per favorire l’esigenza più complessiva di perseguire con
efficacia un organico reinserimento del Sud nel circuito dello sviluppo; un
aspetto cruciale certo arduo da conseguire ma che non deve e non può
rappresentare un alibi per liquidare nello scetticismo il tema dello
sviluppo, sprecando le opportunità che la globalizzazione – senza credibili
alternative – propone al Paese.