Il Contrato di Filiera Cerealicola; la costituzione di un distretto cerealicolo del Mezzogiorno (ad esclusione, per la loro specificità, delle regioni insulari); il rafforzamento dei rapporti di filiera, arrivando ad accordi interprofessionali; l’individuazione di una “cabina di regia” per controlli sia nella fase di importazione che in quelle di trasformazione e commercializzazione. Sono questi alcuni dei temi che saranno al centro domani a Lavello, presso la sede della Coop Unità Contadina, della riunione del Gie-Gruppo di interesse economico cereali della Cia, con la partecipazione di Carmelo Gurrieri, responsabile nazionale dei Gie-Cia, Antonio Nisi responsabile nazionale del Gie-Cia cerealicolo e dei referenti delle regioni del Sud.
Il settore cerealicolo nazionale è di primaria importanza economica e sociale, è presente nel made in Italy più tipico dalla pasta al pane ai dolci e coinvolge oltre 600.000 aziende agricole che utilizzano oltre 4 milioni di ettari per produrre circa 20 milioni di tonnellate di prodotto. Il valore della Produzione lorda vendibile è di circa 5 miliardi di euro, a cui si devono aggiungere quasi 20 miliardi di euro di fatturato derivante dalle industrie molitorie, mangimistiche, di panificazione e sementiere. Per la produzione di grano duro, l’Italia resta fra i principali produttori del mondo (la Puglia ha la leadership con oltre il 22% del totale nazionale). Ma – evidenzia Nisi responsabile nazionale Gie-Cia cerealico – malgrado i segnali di ripresa dello scorso anno, l’Italia ha prodotto il 6,5% in meno. Si tratta di una diminuzione di circa 250mila ettari. Occorre dunque arrestare il declino della produzione di grano duro italiano, se vogliamo garantire prospettive produttive e di reddito al sud Italia e soprattutto tutelare il ‘made in Italy’ della pasta, dato che oggi l’industria è arrivata ad approvvigionarsi all’estero per il 50% del proprio fabbisogno ed è necessario salvaguardare l’utilizzo delle sementi certificate, strumento insostituibile per incrementare la produttività e il miglioramento
qualitativo.
Secondo il Gie-Cia cerealicolo nonostante gli aumenti -determinati, peraltro, da fattori contingenti- registrati nelle ultime settimane (ma con quotazioni inferiori a quelle degli altri paesi europei e internazionali), i prezzi pagati ai nostri agricoltori (28-30 euro al quintale) non compensano affatto gli alti costi produttivi, contributivi e burocratici. Costi che hanno subito un’ulteriore impennata sia a causa dei rincari petroliferi, della fiscalizzazione degli oneri sociali. Un settore, quindi, in grave affanno che ha necessità di nuove politiche che diano reali sostegni alle imprese agricole che non possono continuare ad operare nell’incertezza più profonda e in un sistema competitivo che sta fiaccando sempre più i produttori italiani.
Da qui l’esigenza di rendere più saldi e producenti i rapporti di filiera e di lavorare in maniera seria per cercare di raggiungere efficaci accordi interprofessionali che permettano di tutelare e valorizzare il “made in Italy”. Dunque, un chiaro invito all’industria molitoria per avviare un confronto costruttivo. Comunque, vista la complessità delle questioni che pesano attualmente sul grano duro che, pur rappresentando soltanto il 2 per cento della produzione cerealicola, costituisce un comparto fortemente ancorato alla qualità e alla tipicità dei territori, è indispensabile garantire la specificità del comparto nella Pac, sviluppando cosi azioni mirate che consentano di superare le difficoltà e di cercare di risolvere le questioni che condizionano l’attività degli agricoltori.
La Cia in proposito rivendica l’adozione del Piano Cerealicolo Regionale in sinergia con il Piano nazionale; una nuova disciplina regionale che favorisca l’aggregazione delle produzioni; un programma di insediamento agro-industriale; un progetto per il potenziamento della ricerca e dell’innovazione e di sostegno all’introduzione di varietà; la definizione del marchio a tutela del pane e della pasta made in Lucania.
Ed il Gie-Cia cerealicolo rinnova la denuncia che sui mercati della Basilicata è da tempo presente grano proveniente soprattutto dall’Ucraina, dal Kazakhistan, dall’Australia, dal Canada e dal Messico, che viene scaricato al porto di Bari, e dalla Turchia, attraverso l’interporto di Foggia, mentre per la pasta prodotta in Italia vengono impiegati grani duri per il 50-60 per cento di origine estera, con seri problemi di qualità e sanità del prodotto.