23 Novembre 1980, ore 19:34. Per non dimenticare.
Trent’anni fa. Domenica 23 novembre 1980, ore 19:34. Due scosse sismiche devastanti, a distanza di pochi attimi l’una dall’altra, vicine al settimo grado della scala Richter, sconvolsero per novanta interminabili secondi una vasta zona dell’Appennino meridionale, cambiando per sempre la fisionomia di quella parte del territorio italiano compresa tra l’Irpinia e la Basilicata, in una area di circa 17.000 Kmq.
Il terremoto, che sempre colpisce in maniera indiscriminata tutto il ‘costruito’, città e villaggi, edilizia civile, scuole, ospedali, polverizzandone soprattutto la parte più vulnerabile, rappresentata dal patrimonio culturale (centri storici, edifici monumentali e chiese), devastò buona parte del tessuto urbanistico e architettonico della Basilicata, specialmente nel Vulture.
Tutti i 131 comuni della nostra regione riportarono danni. Fra questi, 63 furono ‘gravemente danneggiati’ e 9 inseriti negli elenchi dei comuni disastrati: Balvano, Bella, Brienza, Castelgrande, Muro Lucano, Pescopagano, Potenza, Ruvo del Monte e Vietri di Potenza.
Le vittime del terremoto nelle due regioni furono circa tremila. Più di ottomila i feriti e circa 280 mila gli sfollati.
In Basilicata, nella provincia di Potenza, persero la vita 146 persone. Solo a Balvano si contarono 77 morti, che rimasero sepolti sotto il crollo della facciata della chiesa di Santa Maria Assunta, dove si stava celebrando la Messa. Era domenica e la funzione era dedicata ai ragazzi: ne morirono 66, tra bambini ed adolescenti.
Ci furono 27 vittime a Muro Lucano, 20 a Pescopagano, 10 a Castelgrande e 7 a Potenza.
Dell’entità del tremendo terremoto, il più grave dell’Italia del dopoguerra, che oltre a distruggere un territorio intero ebbe effetti sconvolgenti sulla politica nazionale, non si ebbe subito un’esatta percezione, anche perché i sistemi di comunicazione, l’energia e, soprattutto, i collegamenti, furono interrotti. La dimensione dell’immane tragedia fu comprensibile solo alcuni giorni dopo le tremende scosse. Anche per questo, la macchina degli interventi pubblici stentò a mettersi in moto e gli aiuti nazionali cominciarono ad arrivare più di quarantotto ore dopo il sisma.
Lo Stato fu assente per giorni. Ancora in questi giorni, il commissario straordinario Zamberletti ricorda a Potenza il ritardo dei soccorsi e la mancanza di organizzazione. La Protezione civile nascerà dopo il terremoto, proprio a partire da questa terribile esperienza.
Fortissima e immediata fu, invece, la mobilitazione volontaria individuale, segno di solidarietà e generosità che non ebbero pari.
Indimenticabile anche l’intervento del Presidente della Repubblica Sandro Pertini, che si recò nella zona colpita poche ore dopo il terremoto e denunciò l’inefficienza della classe dirigente e degli apparati governativi.
‘Fate presto’, titolava a caratteri cubitali il Mattino di Napoli del 26 novembre, tre giorni dopo.
Noi abbiamo fatto presto.
La gestione dell’emergenza sismica, sotto il profilo del patrimonio culturale, è stata infatti tempestiva ed efficace. Forte e sistematico fu l’impegno delle strutture ministeriali presenti sul territorio lucano (ma anche campano) che seppero svolgere, nell’immediato e nei mesi ed anni successivi, un concreto e continuo lavoro di salvataggio, schedatura, restauro e conservazione delle opere d’arte e degli oggetti scampati alla catastrofe, che modificò per sempre il volto del paesaggio storico delle nostre regioni.
Già alle prime ore del giorno dopo, lunedì 24 novembre, gli uffici territoriali lucani del nostro Ministero, diretti da Michele D’Elia e Corrado Bucci Morichi (Beni artistici e storici e Beni monumentali), si mossero senza indugio, coinvolgendo e mobilitando tutto il personale in servizio, anche i più giovani appena assunti grazie alla Legge 285/1980. Vennero organizzati, con grande lungimiranza e tempestività, gruppi di ricognizione misti ed interdisciplinari, che furono subito operativi, prima nella zona del ‘cratere’ e successivamente in tutto il territorio regionale.
Nonostante le caratteristiche fortemente sismiche del nostro territorio nazionale e la ferita non ancora rimarginata del terremoto del Friuli di quattro anni prima, allora si era ancora agli albori di una metodologia sistematica di rilevazione dei danni, mancavano gli strumenti di rilievo e valutazione oggi a disposizione (che sono cresciuti anche sulla base di quella pionieristica esperienza)
Anche per questo, è veramente importante sottolineare la scelta dei soprintendenti, specialmente quella dello storico dell’arte Michele D’Elia, che da soli due anni guidava il giovane Ufficio di Matera, e il conseguente operato dei gruppi misti delle Soprintendenze lucane, che furono impegnati, forti di un prezioso confronto interdisciplinare, nel rilevamento dei danni, spesso aggravati dalla mancanza di manutenzione o addirittura dallo stato di abbandono di molti edifici, in particolare quelli religiosi, attraverso la compilazione di semplici schede, che permettevano di valutare in maniera ordinata ed omogenea la situazione del patrimonio storico coinvolto.
Come sempre, tra gli edifici più colpiti vi furono le chiese, di cui, tramite le schede, fu possibile registrare il crollo, lo stato di pericolo, i gravi danni o le semplici lesioni, che spesso seguono un quadro fessurativo già manifestato nel corso dei terremoti più antichi.
Già alla fine di dicembre il lavoro indefesso delle squadre operative miste aveva permesso di censire 1980 457 edifici storici danneggiati, di cui 130 con lesioni lievi, 153 con lesioni gravi, 89 pericolanti, 82 parzialmente o completamente crollati.
Tramite le schede fu anche possibile riconoscere e poi inventariare il patrimonio mobile conservato in questi ‘contenitori’ disastrati, che doveva essere urgentemente recuperato e messo in sicurezza.
Questa fu la principale azione della nostra Soprintendenza, che subito predispose a tal fine, a Palazzo Lanfranchi, uno speciale Deposito per il ricovero immediato delle opere d’arte.
Il deposito fu allestito inizialmente negli spazi attigui all’attuale sala Levi per poi essere spostato nella Chiesa del Carmine annessa al Museo, dove venne realizzata una razionale struttura a più piani per contenere tutte le opere provenienti dall’area più colpita del Vulture. Un’altra struttura venne montata su terrazzo di Palazzo Lanfranchi.
Dopo la prima settimana, durante la quale si scavò tra le macerie e la Soprintendenza fece ricognizioni, messe in sicurezza e pronti interventi, venne dichiarata aperta la fase dell’emergenza guidata dal Commissario straordinario Giuseppe Zamberletti. In questo lasso di tempo, che va dal 1 dicembre 1980 al 25 febbraio 1981, i gruppi operativi riuscirono a trasferire a Matera moltissime opere d’arte provenienti dalle zone del cratere: furono registrati ben 737 ‘numeri di carico’, che non corrispondevano però ad altrettante opere bensì a molte di più perché, per non disperderli, i gruppi omogenei (ad esempio busti reliquiari o paramenti e arredi sacri provenienti dalla stessa chiesa) furono immagazzinati insieme.
Ogni opera o gruppo di oggetti, se necessario veniva identificato attraverso il confronto con le fotografie presenti nell’Archivio fotografico o tramite gli inventari, già esistenti nell’Ufficio Catalogo, che permettevano di accertarne la provenienza.
Fu necessario predisporre uno studio di posa, per ottenere un ulteriore riscontro fotografico delle opere d’arte al loro arrivo.
Di 737 numeri di carico presenti nei nostri Inventari del Terremoto, va ricordato che sono state già riconsegnate ben 493 opere restaurate.
Sono ancora ‘attivi’ 244 numeri di carico, di cui 86 riguardano opere già restaurate che non è stato possibile ancora restituire anche perché le chiese di provenienza non sono ancora state restaurate o non lo saranno mai più. Più di 100 oggetti provengono da Muro Lucano, dove il restauro della cattedrale crollata, a cui afferisce la maggior parte degli oggetti, è ancora in fase di completamento.
Anche il dipinto simbolo del terremoto, la tavola di Cornelis De Smet, raffigurante la Madonna del Rosario ed eseguita nel 1590, proveniva dal transetto della monumentale cattedrale di Muro. Il dipinto, restaurato dalla Soprintendenza alla fine degli anni Settanta e appena riconsegnato alla comunità locale, venne trafitto da una delle travi del tetto distrutto.
Dal 25 febbraio 1981 al 3 marzo 1982, momento in cui si avviò, attraverso la legge 219/81, la Gestione programmata del post terremoto, nessuna opera d’arte venne consegnata alla Soprintendenza di Matera.
Dal marzo 1982 invece, le opere d’arte ritirate furono 718, delle quali già 571 sono state restaurate nei nostri laboratori o sotto la nostra sorveglianza e riconsegnate.
Rimangono ancora in deposito 147 opere, di cui circa metà già restaurate.
Lo specchietto riassuntivo riguardante i numeri delle opere d’arte transitate dai depositi della Soprintendenza di Matera permette di evidenziare due distinte fasi di lavoro.
L’emergenza dei primi 3 mesi, in cui si trasferì nei nostri depositi, senza alcuna possibilità di selezionare e in condizioni operative estremamente precarie, una enorme quantità di opere.
La successiva fase della gestione programmata, che si prolungò fino ai primi anni Novanta, fu consentita dall’attuazione della legge 219/81, che rese possibile la redazione di piani e progetti.
Non tutti gli interventi vennero eseguiti in amministrazione diretta, moltissimi restauri furono realizzati in loco o facendo trasferire le opere direttamente nei Laboratori di ditte esterne.
La fotogallery sulla mostra dedicata al terremoto del 23 novembre 1980 in Basilicata
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Sisma ’80, Folino: ancora grazie a chi ci aiutò
Il saluto del presidente del Consiglio regionale al convegno organizzato dall’Anci, dall’Upi e dalla Regione
“Riteniamo di dover esprimere ancora oggi la nostra gratitudine alle persone, alle associazioni, all’esercito, alle istituzioni regionali, agli enti locali alle organizzazioni sindacali che furono protagonisti di quello straordinario moto di solidarietà. Siamo lieti ed orgogliosi di vedere che oggi, a trent’anni di distanza, la macchina della solidarietà è progredita anche in Basilicata, dove la Protezione civile è una moderna ed efficiente rete di istituzioni ed associazioni che con il contributo di centinaia di cittadini portano aiuto ovunque ce ne sia bisogno. Come, appunto, tanti anni fa altri hanno fatto con noi”. Lo ha detto il presidente del Consiglio regionale, Vincenzo Folino, aprendo i lavori del convegno in corso a Potenza su iniziativa dell’Anci, dell’Upi e della Regione per ricordare i 30 anni del terremoto del 23 novembre 1980.
“Il ricordo, la memoria, sono parte dell’identità dei lucani – ha aggiunto Folino -. Noi non abbiamo dimenticato un grande Pontefice, Giovanni Paolo II, ed un grande presidente della Repubblica, Sandro Pertini, che nelle ore più drammatiche dell’emergenza si recarono nell’area del cratere e svolsero un ruolo determinante per promuovere gli aiuti alle popolazioni colpite dal terremoto. In Italia non c’era ancora la Protezione civile, che è nata molto probabilmente proprio come risposta a quell’evento tanto drammatico, mentre da tutto il mondo veniva un moto di solidarietà che forse non ha avuto eguali nella storia recente”.
Folino ha poi parlato brevemente degli anni della ricostruzione, “un percorso nel quale lentamente, sia pure fra tante difficoltà e con tanti problemi, i Comuni lucani hanno lavorato per la ricostruzione ed hanno saputo riprendere nelle proprie mani il futuro delle comunità”. Ed ha fatto poi riferimento all’Università, “nata con lo scopo di offrire una riposta in termini di sviluppo e di crescita complessiva della società lucana dopo la tragedia del terremoto”, e che attraverso l’attività del Dipartimento di Ingegneria e Fisica dell’Ambiente si è specializzata proprio nello studio e nella ricerca sugli eventi sismici.
“Il terremoto ha prodotto anche ritardi e sprechi – ha concluso Folino – da ascrivere soprattutto ad una gestione estremamente centralizzata e burocratica degli interventi da parte dello Stato, soprattutto in materia di grandi infrastrutture e di industrializzazione. Ed anche sprechi e ritardi non vanno dimenticati. Anzi, dobbiamo trarne le giuste indicazioni per strutturare meglio la nostra attività politica e amministrativa. L’esperienza del terremoto ha messo in luce l’identità profonda di un popolo, la sua serietà e compostezza, il suo spirito di coesione, che costituiscono da sempre il carattere distintivo della nostra realtà regionale. Abbiamo dimostrato a noi stessi e agli altri che una tragedia come quella del 23 novembre 1980 si può superare. Abbiamo imparato insomma tante cose, che continueranno ad alimentare la memoria del popolo lucano e di cui la realtà amministrativa e politica regionale farà certamente tesoro”.
Terremoto, trent’anni dopo: l’intervento del presidente dell’Anci Sergio Chiamparino
Conosco la forza dei lucani perché questa comunità tanto ha dato per la crescita economica e civile della città di Torino. Come uomo pubblico del Nord, per il vostro tramite, rivolgo un sentito ringraziamento a tutte le genti del Mezzogiorno per la loro abnegazione e per il solo spirito di sacrificio. Loro, come noi, hanno lavorato e lavorano per un’Italia unita. Non esiste una tecnica per evitare i disastri, ma gli amministratori hanno invece il dovere di lavorare per ridurne le conseguenze. Al cospetto dei cittadini di Balvano voglio prendere un impegno solenne, a nome di tutti i sindaci, ad affrontare con la massima cura tutte le azioni di cura del territorio nelle prevenzione delle catastrofi. Questa è una priorità morale, prima ancora che politica. La Basilicata è un esempio per la ricostruzione. Se c’è stata ricostruzione virtuosa è grazie all’impegno delle comunità locali. I cittadini devono mostrare la loro vicinanza ai sindaci, criticandoli quando è necessario, ma supportando la loro azione quando questa è improntata alla salvaguardia della comunità. Una comunità è forte quando si resta uniti.
Terremoto, trent’anni dopo: l’intervento del senatore Emilio Colombo
Occorre che tutti, a cominciare da me (che pure nutro un nitido ricordo di quella drammatica vicenda) siano convinti che è necessario recuperare lo spirito giusto e riprendere il percorso virtuoso della ricostruzione e dello sviluppo della Basilicata.
Il mio ricordo di quell’evento è forse il più forte dell’intera mia lunga vita politica e umana. Memorabile il momento in cui mi giunse la notizia telefonicamente. Mi trovavo a Roma, come ministro degli Esteri, impegnato in una riunione importante della Comunità Economica Europea. Trattavamo con la signora Thatcher dei problemi europei e dell’Inghilterra. Alla prima telefonata non afferrai immediatamente le proporzioni della tragedia e continuai per un pezzo. Poi altre telefonate angosciate mi fecero percepire l’incredibile portata del disastro e nottetempo mi precipitai verso Balvano. Il dolore e l’impressione di quei luoghi anche a trent’anni di distanza sono indelebili.
Da quel momento ha avuto inizio una prova umana, civile e politica della regione che resterà nella sua storia ma che entra anche nella storia dell’intero Paese. Una straordinaria storia umana per il coraggio e la forza che caratterizzarono il comportamento della popolazione. Una straordinaria storia politica per il senso di responsabilità e di capacità, non solo dei sindaci dei paesi terremotatati, ma di tutta la classe dirigente della regione.
Quella dell‘80 fu una occasione particolare anche per l’Italia perché proprio in Basilicata – si può dire – è nata la Protezione Civile, un’organizzazione che ci invidiano in tutti i Paesi occidentali. Ma quello che resta punto fermo è a mio avviso l’unità politica che facilitò la risposta adeguata all’emergenza. Oggi occorre tornare a quella risposta, ricreare quello spirito unitario e dare una prova di eguale sintonia nella sfera istituzionale.
La soluzione della ricostruzione non è tanto nelle leggi, quanto nella capacità di affrontare con la stessa serietà ricostruzione e sviluppo. Non tutto è stato fatto rispetto a quanto ci eravamo proposto, ma moltissimo è stato realizzato con serietà e con azione trasparente. La Regione non ha avuto tutti mezzi tecnici e finanziari proporzionati al progetto. Ma sono certo che la nuova classe politica possa riprendere efficacemente quel percorso con la serietà e quella credibilità che caratterizzano il modello lucano.
Terremoto, trent’anni dopo: l’intervento di Guido Viceconte
Il sottosegretario: completare la ricostruzione e investire sulla prevenzione
Onorato di portare il saluto del governo a 30 anni dal terremoto. Non è facile trovare le parole giuste per commemorare quel triste giorno. Credo di dover partire commemorando le vittime, poi di proseguire ricordando lo slancio del Paese a partire dal presidente Pertini e dal Papa, di portare soccorso e aiuti. Quella pagina tragica portò alla legge 219 che dichiarava di interesse nazionale la ricostruzione. Dobbiamo ora chiederci se lo Stato è riuscito a corrispondere a quella ricostruzione e a quell’auspicato sviluppo. Ci sono state luci e ombre. Ombre come quella della ricostruzione industriale, luci come la ricostruzione e la salvaguardia dei beni artistici. Penso a sindaci, tecnici che hanno complessivamente superato la prova della trasparenza. Penso che più che commentare errori dovremmo pensare al futuro, completando la ricostruzione abitativa e investendo sulla prevenzione. Certo non posso sottacere le difficoltà finanziarie, determinate anche da calamità naturali in altre zone. Non abbiamo interrotto il flusso finanziario, ripartendo negli ultimi due esercizi 60 milioni di euro e accingendoci a ripartirne altri. Ma dobbiamo guardare i limiti che la situazione nazionale e internazionale ci impone per trovare soluzioni possibili.
Terremoto, trent’anni dopo: l’intervento del presidente Vito De Filippo
Terremoto ’80, De Filippo: è una storia da raccontare
La sofferenza della nostra gente rapprenta per noi amministratori un impegno verso la prevenzione
“La Regione per il mio tramite consegna il conforto istituzionale per le vicende tragiche che questa terra ha vissuto. L’itinerario che stiamo compiendo di memoria, giudizio, valutazione e analisi di uno degli eventi più tragici della nostra storia ci serve a capire e rileggere la storia della ricostruzione che è una storia fatta di tanta tenacia e passione”. E’ quanto ha dichiarato questa mattina a Balvano il presidente della Regione Basilicata Vito De Filippo.
“Il punto più alto di questo nostro percorso – ha aggiunto De Filippo – è stato la celebrazione di oggi nella chiesa di Balvano. Certe morti sembrano piaghe insanabili nella vita di una comunità, i molti bambini deceduti sono il simbolo del dolore – ha osservato il presidente della Regione – ma oggi viviamo con forza e partecipazione questo evento perché siamo riusciti rileggere in quel sacrificio una storia civile, umana e di fede che ci ha consegnato una Basilicata forte e forse poco conosciuta. Abbiamo capito che abbiamo il dovere di far conoscere a tutti questa nostra storia. L’esempio della ricostruzione con i sindaci del cratere, riconosciuti dal presidente Ciampi eroi civili, ci fa togliere dopo trent’anni le ombre che sono cadute su questi fatti. In conclusione – ha detto De Filippo – voglio consegnarvi l’autorevole saluto del Presidente della Repubblica, Giorgio Napolitano. Napolitano nella sua lettera ci esorta e ci incoraggia – ha affermato De Filippo – a lavorare sulla prevenzione. Ci richiama ad impegni fondamentali – ha concluso De Filippo – che dobbiamo saper realizzare nei prossimi anni rafforzano e qualificando sempre più la Protezione Civile”.
“Ci lasciamo oggi trent’anni di storia difficile alle spalle. Ma un po’ la Basilicata è abituata alle sfide ardue e a volte impossibili. Perché lì dove c’è il pericolo finiscono per emergere anche le condizioni per conquistare la salvezza.
Il sisma distrusse vite, alterò la geografia dei luoghi, stravolse modelli sociali, suscitò grandi speranze e produsse, in qualche circostanza, laceranti delusioni.
Eppure quelli furono i giorni del volontariato e della solidarietà. Migliaia di giovani accorsero dal Nord nel profondo Sud per sostituirsi in quei primi giorni del dopo terremoto ad una macchina dei soccorsi impacciata, se non addirittura impotente, come riconobbe in un accorato appello televisivo lo stesso Presidente della Repubblica, Sandro Pertini. Li chiamarono gli angeli del terremoto.
In un Paese ormai diventato poli-anarchico, dove sempre più incalzanti sono i tentativi di dividere l’Italia, quella fu l’ultima mobilitazione popolare nel nome dell’unità nazionale.
Ogni centro raso al suolo ha avuto il suo villaggio trentino, la sua piazza lombarda o veneta, la mensa emiliana: tutti segni concreti di una solidarietà operativa.
Ha un alto valore civile l’invito che oggi rivolgiamo ai volontari dell’80 a ritornare nei centri del cratere per vedere di persona quello che sono oggi quei paesi. Perché 30 anni dopo abbiamo provato almeno a cambiare sanando antichi svantaggi, mostrando dignità, restando Italia, senza mai contrapporci ai luoghi meglio sviluppati del Paese”.
Terremoto, trent’anni dopo: l’intervento del presidente della Provincia di Potenza, Piero Lacorazza
Sono trascorsi trenta anni da quando il terribile sisma del 1980 ha colpito nel profondo la comunità lucana, lasciandole ferite non ancora completamente rimarginate. Un dolore incancellabile che il popolo lucano ha rivissuto nelle tragiche ore del sisma in Abruzzo, un anno e mezzo fa, trasformando la solidarietà e la vicinanza in un aiuto concreto che ha visto mobilitarsi centinaia di volontari e volontarie della Protezione Civile, impegnati senza sosta nelle operazioni di soccorso e nella gestione dei campi.
La ricorrenza sia indispensabile rinsaldare la memoria di un dramma, che in 90 secondi ha cambiato completamente il volto della Regione, ma sia anche un’occasione preziosa per richiamare l’attenzione sul completamento della ricostruzione e per rimarcare l’importanza del tema della prevenzione e della gestione del rischio sismico.
Rinnovo il ringraziamento a quanti, all’indomani del terremoto, espressero la propria solidarietà alla gente lucana, con gesti e atti concreti. Un ruolo di primo piano è da assegnare alla Protezione Civile, che in questi 30 anni ha acquisito sempre maggiori competenze e professionalità, così come dimostrato all’Aquila.
Si tratta di una realtà indispensabile per affrontare al meglio le fasi di prevenzione, previsione e gestione del rischio a beneficio dell’incolumità dei cittadini, e che dunque va valorizzata e implementata sempre più da parte delle istituzioni e di chiunque abbia a cuore la sicurezza delle nostre comunità.
Terremoto, trent’anni dopo: l’intervento del sindaco Vito Santarsiero
Abbiamo certamente colto l’obiettivo della ricostruzione. Laddove la responsabilità è stata locale, laddove hanno operato in maniera diretta i sindaci e le amministrazioni comunali l’utilizzo delle risorse è avvenuto in maniera trasparente, senza imbrogli e utilmente finalizzato per costruire case antisismiche e per diffondere una nuova cultura della sicurezza abitativa.
Non a caso i sindaci del cratere hanno ricevuto la medaglia d’oro al valore civile dall’allora presidente della Repubblica Ciampi. E’ purtroppo venuto meno ciò che doveva accompagnare la ricostruzione abitativa, vale a dire lo sviluppo.
La gestione centrale di tali processi e dei tantissimi fondi è purtroppo avvenuta con poca chiarezza, poca trasparenza, e non ha prodotto né i posti di lavoro promessi né nuove aziende sui territori.
Il tutto con grave danno di immagine per le nostre genti e i nostri territori. Per fortuna per la nostra regione è arrivata l’Università della Basilicata, vera risorsa e ricchezza per il nostro futuro.