Il dottore forestale materano Enrico Luigi de Capua in una nota fa chiarezza e esprime alcune precisazioni ritenute doverose sullo stato in cui versa la riserva naturale del Bosco Pantano di Policoro.
A cadenze regolari ci imbattiamo in articoli relativi al Bosco di Policoro che sembra ormai rappresentare un “argomento di riserva” per chi, molto estemporaneamente, vuole diffondere contenuti e notizie, condite, sia con argomenti e reminiscenze trite e ritrite che rievocano, in modo, quasi calendarizzato, arcaici ed improbabili scenari; sia cercando di cavalcare l’onda emozionale con titoli e vocaboli ad “effetto”; sia proponendo soluzioni gestionali rivoluzionarie, alle quali i poveri operatori che da anni lottano per la tutela del biotopo non avevano mai pensato. Siffatte notizie, dai toni intransigenti e catoniani lasciano attoniti e sconfortati (soprattutto gli addetti ai lavori), per le distorsioni che causano sul piano culturale e della vera comunicazione.
Io non conosco verità assolute, ma cerco di conoscere, per propensione, verità scientifiche, cioè provvisorie, e quindi senza alcuna pretesa mi considero, come tanti altri, un modesto servitore di tutti coloro che si occupano di tematiche legate al territorio ed alla sua gestione.
Ho grande rispetto per il lavoro degli altri, mi riservo sempre di intavolare un serio, franco e corretto dibattito nel quale mi auguro si possano analizzare e chiarire le emergenze di taluni problemi di ordine scientifico, tecnico e culturale. Come mi hanno insegnato i miei illustri Maestri Universitari, con alcuni dei quali ho avuto la fortuna di lavorare e dai quali ho acquisito quelle preziose basi culturali e scientifiche che mi hanno consentito di intraprendere interessanti percorsi nel campo della ricerca scientifica, nella didattica universitaria e più in generale nella mia professione.
Questa volta però, dopo ennesimi articoli apparsi sul web su argomenti di mio (e di molti altri) diretto interesse, ho deciso, anche se obtorto collo, di intervenire, esclusivamente in qualità di Forestale e studioso del territorio, nonché cittadino di Policoro, spogliandomi di altre appartenenze ad istituzioni che ho l’onore di occupare, ma, soprattutto, per ciò che per me ha rappresentato e rappresenta il bosco di Policoro sotto il profilo dei miei studi Universitari, post Universitari e professionali.
Di certo, mi ha spinto a scrivere anche la desolazione di questi anni di notizie web (luogo che frequento pochissimo) in cui abbiamo osservato, esterrefatti, tanti utenti discendere la china morale a velocità allarmanti; l’arrivo dei Social network, peraltro, ha aperto nuovi e sorprendenti sbocchi agli sfoghi umani, ad esibizioni di essere ciò che non siamo e, spesso, a dire ciò che non è.
Dopo decenni di genuine, caserecce e schiette discussioni al bar, condite da toni e modi scoordinati e spesso amplificati dall’alcool, abbiamo scoperto di poter urlare il nostro disagio, plasmare un nemico comune o regalarci un motivo per provare avversione ed ostilità verso qualcosa o qualcuno.
La “ruminazione rabbiosa” che, secondo gli studiosi, è uno “stato cognitivo in cui si fallisce nella gestione dell’emozione di rabbia” sembra avere ormai assunto un ruolo centrale nel mondo del web, ciò sta creando una vera e propria rete (nella Rete) dove, ci si aggroviglia tra le fila dell’ignoranza, dell’intolleranza, della superficialità, sfociante in un palese livellamento culturale – e relativo decadimento lessicale – che sempre più spesso miete vittime, anche illustri.
Purtroppo, la capacità di amplificazione del messaggio, la persistenza, la viralità, che caratterizzano la Rete, rende necessari interventi di chiarezza e verità, anche per difendere la onorabilità di un territorio e dei suoi abitanti e dei tanti che, spesso, senza risorse, lavorano per gestire attività complesse e delicate e che hanno contribuito alla costruzione di una coscienza della tutela del territorio. Soprattutto oggi, in cui la Rete ci può trascinare nell’infido regno in cui le informazioni possono danneggiare i concetti di attendibilità e competenza in cui, paradossalmente, succede che venga attribuito più valore ad un messaggio scritto senza adeguate conoscenze rispetto a un’analisi approfondita condotta da esperti.
Proprio per questo, sembra quasi che gli opinionisti, i commentatori, gli esegeti e chiosatori dell’ultima ora (indigeni e non), dall’alto dei loro scranni, tribune, pulpiti, sacre cattedre ed amboni siano gli unici detentori delle verità assolute: “quelli bravi”; mentre coloro che effettivamente lavorano, studiano, operano, agiscono, proponendo e realizzando in concreto gli interventi ed i programmi nel territorio, tra una miriade di difficoltà e problematiche, siano i “cattivi”. Capisco che risulta difficile scardinare tali distorsioni del pensiero dominante ma abbiamo il dovere di denunciarle e stigmatizzarle, anche perchè è oggettivamente più “comodo” soffiare nel vento della polemica, o fare i censori, che analizzare costruttivamente e conoscere la vera realtà delle cose (non quella virtuale).
In ogni caso, prima di scrivere ed avventurarsi in cinici ritornelli denigratori bisognerebbe leggere, documentarsi o, se non altro, informarsi, prerogativa che, a quanto pare, è sempre più estranea a certa informazione, ed a taluni.
Difatti, uno tra gli ultimi articoli pubblicato sul web, ma non ci riferiamo solo a quello, circa la Riserva, ha descritto scenari disastrosi in base ai quali l’ignaro lettore/utente è portato ad immaginare che all’interno di una idilliaca cornice bucolica, rappresentata dalla Riserva Bosco Pantano di Policoro il tempo si sia fermato agli anni 70 – 80 del secolo scorso. Si riesumano archeo – dichiarazioni di ex sindaci ed amministratori (di quasi cinquanta anni fa), si descrive l’area come una grande discarica abusiva (come in effetti era negli anni 70/80, in alcuni punti), quasi un luogo di perdizione per anime dannate in cui il fiume Sinni può benissimo essere assimilato all’Acheronte che ci separa dall’inferno vero e proprio: il Bosco Pantano.
Tutti sappiamo che fortunatamente non è più così, il tempo è passato, dall’epoca della istituzione della Riserva sono state fatte tante cose molte buone, altre forse meno buone, ma sono state fatte, e quel pezzo di natura è stato salvaguardato ed ancora esiste conservando quasi tutti i suoi aspetti di naturalità botanica e faunistica in un contesto di estrema, continua e radicale trasformazione del territorio.
Premettendo che non possiamo che esprimere il nostro apprezzamento per tutti coloro che hanno dato un contributo di studi e conoscenza su questo sito naturalistico, cosa che è stata sempre ribadita in ogni circostanza, vorrei comunque ricordare che il sottoscritto, insieme ad altri che si sono adoperati per la tutela del biotopo, abita e vive a Policoro da più di mezzo secolo ed è stato tra i primi, insieme a tanti altri, a portare avanti le battaglie per la sua salvaguardia.
Ma, parlando di azioni concrete e di storia passata, ci chiediamo questo.
Dove erano tutti gli acuti e sagaci opinionisti quando abbiamo posto le prime concrete basi per la tutela del Bosco, ossia i primi picchetti per la delimitazione dell’area di bosco di proprietà comunale in epoca pre – istituzione della Riserva?
Dove erano gli opinionisti quando abbiamo tirato fuori dal bosco quintali di rifiuti?
Dov’erano gli opinionisti quando abbiamo collaborato all’ampliamento, con la Regione Basilicata, del perimetro della Riserva anche all’area di Pineta adiacente?
Dove erano gli opinionisti quando si interveniva a spegnere gli incendi, anche in ciabatte?
Chi pontifica e lancia gli strali su presunte mancate gestioni dov’era quando abbiamo scongiurato la realizzazione di uno stabilimento balneare nella Riserva?
Forse ad alcuni opinionisti sfugge che vi è stato un Sindaco di Policoro che ha posto le basi concrete per la tutela del Bosco, dando in gestione, ad una associazione ambientalista, l’area di proprietà comunale prima dell’istituzione della Riserva?
L’elenco anche dei nomi di persone che hanno contribuito a ciò potrebbe essere lungo ma ho voluto limitarmi a citare solo alcuni punti essenziali.
Ma torniamo sui vari contenuti di certi articoli del web sui quali vogliamo doverosamente fare alcune precisazioni. In uno dei più recenti, in cui si sentenzia la presunta circostanza che siano stati “disattesi” gli obiettivi della Legge Istitutiva della nostra amata Riserva, non si può non identificare un vero e proprio pot-pourri di argomentazioni (seppur racchiuso in un titolo che invece si riferisce alla Riserva Naturale) che spaziano dai problemi del sito nucleare, alle problematiche urbanistiche della città, ai trialometani, ai veleni agricoli, al crollo del mercato immobiliare (?), alle necessità di “ombra per i bagnanti”, sino a disquisizioni in materia di giardinaggio, con giudizio finale a dir poco negativo (per usare un eufemismo) sulla nostra cittadina e sulla sua “nuova fama”.
Cercherò con ordine di districarmi in questa complessa miscellanea.
Innanzitutto, la Riserva Naturale Orientata è stata istituita nel 1999, quindi, esattamente quasi venti anni fa e non da “oltre trent’anni fa” e, fortunatamente, molti di noi sanno cosa significa “Orientata” avendo negli anni masticato la materia, non foss’altro in virtù del percorso di studi, ma in ogni caso, esprimiamo gratitudine per la succinta lectio brevis; giusto per informazione il termine “orientata” è riportato anche sulle tabelle perimetrali della Riserva.
Parlare, poi, di bosco come “laboratorio” quale valore aggiunto, come se fosse una novità assoluta, oggi fa abbastanza sorridere, chi ci invita a farlo, come se non ne conoscessimo e capissimo il significato, forse non sa che da quasi due decenni sono state condotte, e sono in corso, molte tesi di laurea, tirocini universitari, sono stati fatti corsi di formazione in campo ambientale, ricerche universitarie in campo faunistico e vegetazionale, laboratori didattici realizzati da associazioni ambientaliste, laboratori didattici con scuole di vario ordine e grado. Una delle ultime tesi è stata discussa presso l’Università degli Studi di Firenze, Laurea Magistrale Facoltà di Scienze Forestali, e si potrebbe continuare a lungo nel rammentare le varie attività di “laboratorio” fatte ed in corso.
Si usano poi, con disarmante nonchalance, termini quali “scempio” (gia l’inclemenza e l’inadeguatezza della parola la dice lunga = atto di violenza crudele e raccapricciante, strazio) e “degrado” del bosco di Policoro in altri recenti articoli del Web riguardo alla fascia costiera prospiciente il bosco, come se il problema della costa sia riconducibile a quattro tavole e ad un ponticello in legno bisognoso di manutenzione.
Innanzitutto il progetto cui si fa riferimento nell’articolo non è stato realizzato dalla Provincia di Matera ma da altro Ente quindi sarebbe necessario informarsi bene prima di emanare notizie e soprattutto sapere di cosa si parli.
E’ abbastanza affascinante la teoria secondo la quale un antico argine di un paio di metri di altezza, realizzato a dir poco empiricamente, all’epoca senza alcuna cognizione delle dinamiche dei litorali ed alcun presupposto tecnico – scientifico, evidentemente realizzato negli anni 50-60, avesse la funzione di “evitare che l’acqua del mare durante le mareggiate invadesse il bosco”, se bastasse questo avremmo risolto ogni problema di arretramento della costa e di intrusione della salinità, ammesso che l’acqua del mare entri nella falda tramite le “mareggiate”, cosa che sconvolgerebbe ogni teoria idro geo pedologica sulla intrusione dell’acqua marina nelle aree costiere.
Secondo alcuni esperti che studiano le dinamiche del litorali da decenni, a livello universitario, tali manufatti, fatti secondo una concezione prettamente “bonificatoria” sono assolutamente controproducenti alle dinamiche di interfaccia terra – mare ed agli scambi ecologici di tale particolare area di transizione. Si decise di lasciarne un piccolo tratto proprio per testimoniare ciò che non si deve fare in questi casi, ma, evidentemente, tali luminari dell’ecologia dei litorali non avevano capito nulla.
Come altrettanto affascinante è la teoria secondo la quale il progetto realizzato, allora, con il supporto di uno dei massimi cattedratici in tema di ecologia dei litorali sabbiosi, avesse dovuto avere i risvolti che vengono citati da, evidentemente, maggiori esperti e conoscitori di ecologia delle dune sabbiose, e cioè” “i risultati deludenti del progetto non solo erano abbastanza prevedibili, ma si sono rilevati dannosi in quanto essendo stato demolito una parte consistente del vecchio argine, a breve l’acqua del mare invaderà il bosco con le conseguenze che tutti possiamo immaginare”.
Ci faremo parte attiva nel trasferire tale innovativa e rivoluzionaria metodologia di recupero anche agli esperti di dinamiche costiere dell’Università di Cagliari, dotati di Istituti di Ricerca leader in campo internazionale, che hanno collaborato con la Provincia di Matera al miglioramento della funzionalità del sistema psammofilo del Bosco di Policoro e giacchè ci siamo anche agli esperti di vegetazione costiera del CNR. Ricordo di aver partecipato ad un interessante convegno internazionale a Sassari, organizzato dal’Accademia dei Georgofili e dal CNR, sulle problematiche e dinamiche costiere, presentando un mio lavoro sulla vegetazione psammofila del bosco di Policoro, ma in nessuno dei lavori dei vari illustri ricercatori nazionali ed internazionali veniva riportata la metodologia, geniale nella sua semplicità, della costruzione di “argini” di sabbia per la difesa dai litorali.
Forse non tutti sanno che in quel progetto, ribadiamo, realizzato da altro Ente, su autorizzazione regionale e provinciale, è stato effettuato un particolare intervento di rinaturalizzazione e ricomposizione dell’andamento originario naturale delle dune, con messa a dimora di piante autoctone e ricostituzione di aree umide; aree trasformate, semplificate e rimaneggiate proprio da quell’intervento irrazionale della realizzazione di un argine artificiale, anche esteticamente fuori luogo ed innaturale, di totale alterazione di un contesto naturalistico ecologico di grande delicatezza.
Ma quando si parla di scempio e degrado di un’area naturalistica a cosa ci si riferisce: a qualche manufatto, che giustamente andrebbe risistemato, e ci auguriamo sia fatto al più presto, o alle condizioni generali di un ecosistema?
Proprio riferendoci al sistema psammofilo dunale forse non tutti sanno che la Provincia di Matera ha realizzato uno dei più importanti progetti di recupero degli habitat dunari a livello europeo, per chi volesse può accedere al sito LIFE PROVIDUNE e rendersi conto dell’enorme lavoro realizzato e che ha permesso la conservazione e la riproduzione delle tante specie vegetali psammofile rare.
Giova menzionare che il Ministero dell’Ambiente ha individuato tali interventi di tutela degli habitat costieri, vero grande problema del biotopo, realizzati nella Riserva, come tra i più significativi a livello internazionale.
A chi parla di scempio, per alcune tavole divelte, vorremmo partecipare che il sistema dunale incluso nella Riserva è stato bonificato dalle specie alloctone, ovvero eliminando di gran parte delle specie aliene invasive, che avrebbero, quelle si, causato un degrado irreversibile del litorale. Come altrettanto sommessamente ricordiamo, per chi non lo sapesse, che esiste una importantissima banca del germoplasma realizzata dall’Ente Gestore (Provincia) con l’Università di Cagliari ed il CNR dove sono immagazzinati i semi di tutte le rare specie che compongono la vegetazione psammofila del litorale della Riserva, ai fini di azioni di restauro ambientale. Parlando di “lotta al degrado” ricordiamo altrettanto sottovoce che esiste un vivaio di specie arboree ed arbustive autoctone, direttamente raccolte in situ, e riprodotte per interventi di rinaturalizzazione del biotopo e per una corretta diffusione delle specie anche a livello territoriale; sul tema sono stati pubblicati articoli e monografie.
Ricordiamo, infine, poiché le argomentazioni sarebbero innumerevoli, che il Bosco di Policoro conserva oggi una delle più ricche ed interessanti formazioni di vegetazione psammofila d’Italia grazie proprio a questi interventi. Chi parla di scempio e degrado, nel camminare lungo il litorale non si è forse accorto della notevole quantità di specie vegetali rare e della fioritura del famoso Pancrazio di mare delle sabbie che non ha eguali in Italia, e questo non è certo un caso, ma il risultato di un enorme lavoro tecnico, intellettuale ed anche politico e crediamo sia un indice molto significativo di naturalità.
Se volessimo parlare di tutta la produzione scientifica e delle indagini effettuate a livello territoriale nella Riserva dovremmo dilungarci molto, basti pensare alle indagini sulla dinamica dei sedimenti marini, della vegetazione psammofila, della macchia mediterranea, della foresta planiziale, della mappatura degli habitat, alla carta forestale, ai piani di gestione, alla storia, per non parlare degli aspetti faunistici. Nella Riserva è nato uno dei primi (ante litteram) centri di recupero della fauna selvatica che oggi rappresenta uno dei punti di riferimento per la Regione, grazie a chi lavora con grande sacrificio in tale ambito. Tanto per citare una singolarità faunistica nella riserva è stato reintrodotto il capriolo che era un elemento faunistico caratterizzante il biotopo sin dal medioevo.
Qualcuno forse non sa che abbiamo portato avanti, e ci siamo riusciti, ad estendere il perimetro dell’area protetta anche in area marina dal momento che il gravissimo fenomeno dell’arretramento delle coste a livello globale è uno dei problemi più urgenti a livello nazionale, non certo due tavole divelte ed un inutile ed innaturale argine artificiale.
Nella consapevolezza che molto c’è ancora da fare e da realizzare, anche sul piano dell’educazione dei cittadini al rispetto dell’ambiente, come è insito nella attività che riguardano il territorio, la critica – sia ben chiaro – è sempre ben accetta se costruttiva, se ben argomentata, se rispettosa e, soprattutto, se prospetta altra teoria in grado di confutare quella sottoposta a critica.
Ma un dubbio in generale ci pervade: perchè mai i vari opinionisti, commentatori, censori, così attenti, puntigliosi e meticolosi, non intervengono mai ad evidenziare le cose positive che si realizzano? Scientificamente è riconosciuto che questa tendenza, definita dagli specialisti “astrazione selettiva”, è una distorsione cognitiva che ci porta a considerare le cose negative più rilevanti e presenti di quelle positive. Tuttavia, lasciando tali affascinanti ed utili speculazioni sulla psiche, agli addetti ai lavori, restiamo dell’idea che la conoscenza, l’informazione non può essere ridotta a mera “opinione”, una dannosa attitudine che lascia spazio a quella sterile ed infeconda orizzontalità del sapere nella quale i giudizi, spesso estemporanei, tendono a sopraffare i fatti concreti.
Concludo con la certezza che importanti Istituzioni, tra cui il Ministero dell’Ambiente, Università, Studiosi, tra cui ritengo doveroso citare, per tutti, l’illustre professore Franco Tassi che in varie occasioni ha elogiato le condizioni di conservazione di un sito diversamente destinato alla distruzione, di Cittadini ed Associazioni, la cui storia dovrebbe essere di esempio a tutti, hanno apprezzato quanto sinora fatto, e che speriamo si continui a fare con quell’impegno che ha connotato i tanti volontari, studiosi, docenti, operai e personale di vari enti pubblici nonché personalità politiche ai vari livelli che hanno sostenuto i programmi sin qui realizzati e futuri senza chiassosi e scomposti proclami.