Consiglieri regionali Gianni Leggieri e Gianni Perrino del Movimento 5 Stelle: “Cortocircuito al COVA: ammine nelle acque di strato a Costa Molina 2”. Di seguito la nota integrale.
Nuova puntata di quella che ormai può essere considerata una vera e propria rubrica dal titolo “I continui problemi del Centro Oli ENI di Viggiano”. Oggi al capezzale di mamma regione erano presenti Pittella, Pietrantuono, i vertici del dipartimento regionale competente ed ARPAB per illustrare i motivi che hanno portato alla sospensione delle attività di reiniezione in unità geologica profonda delle acque di strato mediante il pozzo Costa Molina 2 in agro di Montemurro, sito presso cui ENI il 26 luglio scorso comunicava di aver ripreso tali attività, dopo tre mesi di stop disposti dalla giunta ad aprile scorso.
Tale decisione sarebbe scaturita a seguito della presa visione dei risultati di analisi effettuate da ARPAB lo scorso 4 settembre, analisi che hanno evidenziato la presenza di ammine filmanti nelle acque destinate alla reiniezione. Tali sostanze si devono considerare come rifiuti speciali e non devono essere assolutamente presenti nelle acque di strato inviate all’impianto di Costa Molina 2.
Ci ha stupito positivamente il fatto che sia stato menzionato il sacrosanto “principio di precauzione”, un concetto troppo spesso bistrattato dagli amministratori nostrani e non. Tuttavia emergono una serie di interrogativi ai quali i vertici regionali e di ARPAB hanno dato risposte inconcludenti. Stando a quanto emerso dalla conferenza stampa, l’ENI avrebbe 90 giorni per comunicare come intende smaltire le acque; “É un problema loro” ha affermato l’assessore Pietrantuono. A nostro avviso è un problema di non poco conto, visto che è stato sospeso solo il processo di reiniezione e quindi le altre attività del centro olio possono proseguire normalmente (si fa per dire!).
Si è preferito glissare su domande scomode relative alla pericolosità e alle possibili conseguenze della presenza di certe sostanze nel sottosuolo. Le evidenze della VIS pesano come macigni e l’opinione pubblica è giustamente preoccupata, ma la Regione ha preferito trattare separatamente l’argomento.
Questo “stop a metà” ci riporta indietro al 31 marzo 2016 quando scoppiò il ciclone “Trivellopoli”. Nel filone sul “traffico e smaltimento illecito di rifiuti”, i magistrati evidenziarono che i vertici dell’impianto Eni “qualificavano in maniera del tutto arbitraria e illecita” rifiuti pericolosi come “non pericolosi”, utilizzando quindi un “trattamento non adeguato” degli stessi scarti, e “notevolmente più economico”, nonché dati sulle emissioni in atmosfera “alterati”.
La domanda sorge spontanea: che cosa è cambiato da allora? La risposta è semplice: niente!
Le attività del COVA hanno avuto un’altra sospensione a Pasqua a seguito della perdita di 400 tonnellate (quantità ipotizzata da Eni) di greggio dai serbatoi colabrodo. Il centro ha poi ricominciato le sue attività a luglio e, nonostante le prescrizioni della Regione, si sono registrati sforamenti anche dopo la “messa a regime” di agosto (ne risultano anche il 10 settembre 2017). Le autobotti continuano ad emungere porcherie dal sottosuolo inzuppato e la VIS ha aggiunto particolari agghiaccianti sullo stato di salute della popolazione dei comuni più interessati dalle estrazioni (Viggiano e Grumento Nova), adombrando criticità anche per il vicino centro abitato di Montemurro.
Le ammine presenti nelle acque destinate a Costa Molina 2 sono l’ultimo elemento che certifica un totale cortocircuito della filiera fossile in Val D’Agri.
Tutto questo è ampiamente sufficiente per dire, ancora una volta, che il petrolio in Basilicata è un esperimento fallito, da archiviare nel più breve tempo possibile con la chiusura del Cova, la bonifica immediata dei territori inquinati a carico dell’Eni e la riconversione delle attività produttive.