Deposito scorie radioattive, intervento dell’astronomo materano Franco Vespe. Di seguito la nota integrale.
Ci risiamo! A distanza di 18 anni (quasi) torna l’incubo della scelta del sito nazionale per lo stoccaggio delle scorie radioattive. La Sogin ha reso pubblico l’elenco dei siti papabili per ospitare il deposito. Sono 67 di cui più della metà sono collocati nel Sud Italia. Poi vedremo come, su basi scientifiche, sia assolutamente folle pensare a stoccare nel Sud peninsulare le scorie radioattive. 18 anni fa fu decisivo l’intervento di Rubbia al parlamento per scongiurare la minaccia di trasportarle fra le foci dei fiumi Agri-Cavone. Rubbia disinnescò la scelta dimostrando che il sito di Scanzano non soddisfava nessuno dei criteri ed i protocolli che l’IAEA (l’agenzia internazionale per l’energia atomica, ndr) aveva fissato per scegliere detti siti.Dobbiamo ora capire perché queste scorie sono molto delicate da gestire.Esse altro non sono che materiale di scarto della fissione di elementi pesanti (Plutonio od Uranio che sia) , instabile dal punto di vista nucleare.Per questa instabilità i nuclei iniziano a frantumarsi lentamente, producendo raggi alfa. Sono nuclei di elio che si staccano dall’atomo in decadimento (p.es. lo Stronzio). Essi hanno poca capacità di penetrazione. Poi ci sono iraggi beta:sostanzialmente elettroni e protoni con altissima capacità di penetrazione. Infine ci sono i raggi gamma che è radiazione elettromagnetica ancora più energetica dei raggi X, con capacità penetrativa ancora più elevata. L’esposizione a detto irraggiamento può aumentare l’incidenza di tumori e leucemie. Ne sa qualcosa Enrico Fermi. Proprio per questa loro capacità penetrativa in natura esistono pochi materiali in grado di isolare da detto irraggiamento (oltre al piombo): profondi strati di argilla o granito. Queste scorie si inertizzano in un range di tempo che va da pochi decenni, fino a scale di qualche secolo. Quindi la scelta non pone grossi problemi a noi contemporanei, quanto piuttosto ai nostri pro-nipoti. I requisiti fissati dall’IAEA sono:
1. -stabilità geologica, geomorfologica ed idraulica dell’area al fine di garantire la sicurezza e la funzionalità delle strutture ingegneristiche da realizzare secondo barriere artificiali multiple;
2. confinamento dei rifiuti radioattivi mediante barriere naturali offerte dalle caratteristiche idrogeologiche e chimiche del terreno, atte a contrastare il possibile trasferimento di radionuclidi nella biosfera;
3. compatibilità della realizzazione del deposito con i vincoli normativi, non derogabili, di tutela del territorio e di conservazione del patrimonio naturale e culturale;
4. isolamento del deposito da infrastrutture antropiche ed attività umane, tenendo conto dell’impatto reciproco derivante dalla presenza del deposito e dalle attività di trasporto dei rifiuti;
5. isolamento del deposito da risorse naturali del sottosuolo;
6. protezione del deposito da condizioni meteorologiche estreme.
Il solo primo punto dovrebbe far escludere tutta la dorsale appenninica ivi inclusa la Sicilia. E’ una dorsale ad alto tasso sismico, vulcanico e franoso lungo la quale non arrischierei la localizzazione del sito nazionale. La concentrazione al Sud di 17 siti candidati fra Puglia e Basilicata pertanto francamente desta serio sospetto. Alcuni vergognosamente messe sotto il naso della nostra città contravvenendo chiaramente al criterio 4 Sopra elencato.E’ un area molto prossima alla dorsale appenninica (almeno quelli localizzati nel potentino); mentre quelle localizzati tutti nella fossa bradanica, o che lambiscono l’altopiano murgiano, ignorano che è zona di confine fra dorsale appenninica e l’avampaese Appulo. Ovvero un’area che solo alcune decine di migliaia di anni fa, era a quasi un chilometro sotto il livello del mare. Per non parlare del valore naturalistico-culturale di queste zone (punto 3 dei criteri IEAE) .Infine sono aree a cui lo stato ha lesinato, a distanza di 160 anni dalla sua nascita,adeguate e civili infrastrutture di trasporto(punto CA13 fissato dall’ISPRA). Desta ancora più sospetto il criterio di esclusione riguardanti le aree alluvionali formatesi nell’Olocene fissato da ISPRA. Ci si nasconde dietro la lingua del“geologicorum” di fatto per giustificare l’esclusione dell’intera pianura padana ed il Nord per la scelta del sito! I fenomeni di sedimentazione, compattazione e subsidenza che avvengono in pianure alluvionali non sono certo più devastanti di fenomeni sismici o dissesti idrogeologici! Si può capire che la densità antropica di alcune aree della Lombardia od i siti di grande pregio culurale-naturalistico ospitate nel Veneto, escludono l’ipotesi di localizzare ivi il sito.Ma non sono tutte così! Altrimenti non si giustificherebbero neanche alcuni siti selezionati in Piemonte. Rimangono i siti localizzati in Sardegna e quelli in Etruria. Non dimentichiamoci che l’Etruria è area vetero Vulcanica soggetta a fenomeni secondari, comunque da mettere sotto investigazione (punto CA1 di ISPRA) . Rimane la Sardegna. L’Unica area non scossa da attività tettonica, sismica e vulcanica ed il cui sottosuolo roccioso è fatto di granito capace di schermare efficacemente le emissioni radioattive. Rimangono per la Sardegna le ovvie problematicità riguardanti le vie di comunicazione non proprio agevoli. La mia è una prima preliminare disanima dei siti che evidenzia di fatto l’estrema problematicità della scelta del sito unico in un Italia che dal punto di vista geologico non è proprio tranquilla. Da parte di chi scrive preme solo scongiurare che la scelta non venga fatta sulla base di pregiudizi e discriminazioni geografiche (non vado oltre!), se non proprio politiche; ma su robuste motivazioni tecnico-scientifiche.La cosa importante è che si possa avviare un franco e pacato dialogo con i territori e che si possano esigere e concedere compensi realmente efficaci per il loro sviluppo. Mi sembra che la “roadmap” segnata dal governo vada questa volta nella giusta direzione.