Mediterraneo no triv, Cova Contro e Medici per l’Ambiente hanno inviato una nota congiunta al Ministero dell’Ambiente, alla Regione Basilicata, ad Arpab, alla Provincia di Potenza e all’ISPRA nonché al consorzio Asi e ad Eni per esprimere dubbi e perplessità sugli impianti mobili di trattamento delle acque emunte dal sottosuolo e recupero del petrolio disperso dal Cova. Di seguito la nota integrale inviata alla nostra redazione
Nel documento le associazioni puntano il dito contro le operazioni di recupero del petrolio disperso dal Cova e ai numerosi incidenti verificatisi, situazione così grave che anche durante la Conferenza di Servizi istruttoria/decisoria in merito alla “Fuoriuscita greggio area COVA di Viggiano (pratica 586)”-Piano di Caratterizzazione e Interventi di messa in sicurezza d’emergenza, Arpa Basilicata ha stigmatizzato la situazione precisando “che nella documentazione descrittiva degli eventi di sversamento trasmessa non sono sufficientemente descritte le motivazioni che li hanno determinati e che in qualche caso non viene fornita la documentazione relativa allo smaltimento dei rifiuti” e che “ i suddetti eventi destano preoccupazione per la loro frequenza”, augurandosi poi l’adozione di più incisive azioni operativo-impiantistiche messe in atto scongiurare il ripetersi di simili eventi.
Le associazioni rilevano però che il il verificarsi di tali incidenti e la mancanza di azioni correttive adottate da ENI in ossequio alle procedure del Sistema Qualità ISO 9001 e di Certificazione Ambientale ISO 14001, indicano la totale assenza di interesse nei confronti della salvaguardia ambientale.
Altro aspetto che desta grande preoccupazione è quando Eni Spa dichiara di non poter quantificare gli idrocarburi recuperati a causa dell’entrata in funzione degli impianti di trattamento interno Cova e Cuozzo.
Sostenere che non sarà più possibile quantificare il petrolio recuperato è inaccettabile in quanto al COVA è in atto un intervento di messa in sicurezza d’emergenza e che quanto accaduto al centro Oil è stato classificato “incidente rilevante”, circostanza che impone la rivisitazione di tutte le metodiche suggerite da Eni e l’intero approccio alla questione.
Inoltre, le associazioni hanno anche sollevato la questione degli impianti di trattamento delle acque recuperate, impianti che si intende allocare su alcuni lotti Asi, destinazione che appare però non essere supportata da un documento di deroga rispetto alla loro destinazione d’uso.
Sussiste così il timore che si sia consentito l’uso di tali lotti per finalità diverse da quelle per cui erano stati assegnati e senza peraltro indicare un limite temporale di deroga all’uso iniziale.
Inoltre, si intende consentire la realizzazione di impianti denominati “temporanei e di trattamento” che temporanei però non sono in quanto non è stato possibile individuare un periodo ben preciso in cui essi opereranno.
Inoltre, secondo le associazioni ambientaliste si tratta di veri e propri impianti chimici in quanto effettuano sulla miscela acqua-petrolio un trattamento fisico e chimico con utilizzo di sostanze nocive e tossiche per l’ambiente quali acido solforico, acido cloridrico,soda caustica ,ammoniaca, sostanze estremamente pericolose e purtroppo destinate ad essere utilizzate nei lotti del consorzio ASI.
Inoltre, la Conferenza di servizio del Maggio 2018 ha autorizzato lo scarico dell’acqua “depurata” proveniente da tali impianti nel Depuratore Consortile dell’Area Industriale di Viggiano e da esso nel fiume Agri e nel Bacino del Lago Pertusillo.
E’ stato anche dichiarato che tali scarichi rispettano la tabella per gli scarichi civili ed industriali della legge Merli 10 Maggio 1976 n. 39 e che saranno effettuati dei campionamenti periodici da parte di Arpab sull’acqua scaricata dagli impianti mobili.
Tuttavia, secondo le associazioni ambientaliste Mediterraneo no triv, Cova Contro e Medici per l’Ambiente il depuratore consortile non è idoneo al trattamento delle acque trattate e provenienti da impianti chimici e anche se le analisi periodiche dell’Arpa Basilicata daranno risultati di presenza di metalli pesanti ed idrocarburi residui nelle acque trattate in percentuali molto basse e al di sotto dei limiti fissati, le enormi quantità che saranno sversate da tali impianti ( circa 5000 mc./giorno) e il lungo periodo di tempo in cui ciò accadrà porteranno, a causa dell’effetto accumulo, ad un inevitabile e grave inquinamento del Bacino del Pertusillo.
La questione poi appare in tutta la sua rilevanza se si considerano i risultati delle acque sotterrane e relativi ai campionamenti ARPPAB del periodo dal 9.3.2017 e sino al 15.3.2017, tabella che si produce al presente atto in virtù dell’importanza dei dati ivi contenuti (allegato n. 1), e da cui risulta il rinvenimento di sostanze estremamente pericolose in peziometri ubicati all’esterno e all’interno del Cova.
Nello specifico si rileva la presenza di ferro pari a 3427 ug/l S11- peziometro area interna Cova
3578 ug/l S16 “ “ “
1507 ug/l S30 “ “ “
e addirittura
13239ug/l SEST16- peziometro area esterna Cova
Preoccupanti anche i valori degli idrocarburi policiclici aromatici e nello specifico
benzo(a) Antracene
Benzo(a) Pirene
Benzo (g,h,i)Perilene
Dibenzo (a,h)Antracene
Superiori ai valori consentiti per legge anche
i composti organici volatili quali il
Benzene ug/l 2220,0 peziometro Sest1 – Area esterna Cova
Benzene ug/l 247,0 peziometro Sest6- Area esterna Cova
Toulene “ 360 e 17 rispettivamente nel peziomentro Sest 1 e Sest 6.
Si tratta di sostanze tutte estremamente pericolose e che, appunto, sono state rinvenute in quelle acque che dovranno essere emunte e quindi trattate con gli impianti mobili e poi, dopo il trattamento, smaltite nel depuratore del Consorzio ASI, depuratore che, ripetiamo, è configurato e autorizzato per gli scarichi civili e industriali ma non certo per scarichi di acque trattate con impianti chimici e che, pertanto, non garantiscono la totale assenza di residui di sostanze pericolose.
A questo punto è opportuno chiedersi se tutti gli enti coinvolti in tale procedura hanno considerato l’intero ciclo delle acque e dopo l’ingresso nel depuratore e quindi, se hanno considerato che tali acque faranno poi ingresso nel fiume Agri e nel Lago del Pertusillo.
Al riguardo si sollecita l’applicazione del principio di precauzione previsto per legge inibendo la messa in esecuzione degli impianti mobili di trattamento delle acque recuperate e in assenza di studi scientifici imparziali, terzi e obbiettivi in grado di escluderne la pericolosità.
Per tutti questi motivi con la nota formale si è chiesto che gli enti preposti e che hanno già impropriamente espresso consenso all’ubicazione dell’impianto mobile di trattamento delle acque emunte con conseguente impossibilità, secondo ENI, stimino le quantità di idrocarburi recuperati dal sottosuolo, che non vengano autorizzati gli impianti di trattamento mobili in quanto si tratta di veri e propri impianti di trattamento chimico della miscela acqua-petrolio e in ragione del fatto che l’organizzazione ENI non sarà in grado di evitare ben più gravi e importanti incidenti che si possono verificare in tali impianti di trattamento e anche perchè non esistono studi scientifici imparziali, terzi e obbiettivi in grado di escludere la presenza di tracce di tutte le sostanze pericolose rinvenute nelle acque emunte poi trattate, sostanze indubbiamente pericolose per la salute umana.
Inoltre, è stata chiesta una nuova e urgente Conferenza di Servizi per la modifica del progetto degli impianti mobili sopra indicati imponendo a ENI Spa di realizzare e eseguire, in maniera rigorosa, la stima degli idrocarburi recuperati adeguando gli impianti e la rete di collettamento delle acque emunte in modo da porre misuratori adeguati e conformi a legge per la quantificazione e stima delle acque recuperate, misuratori/contatori che dovranno essere adeguatamente certificati, sigillati e prevedendo la realizzazioni di report settimanali per la certificazione delle quantità delle acque emunte in entrata e di quelle in uscita, prevedendo altresì che i misuratori/ contatori debbano essere accessibili alle autorità preposte alla vigilanza delle operazioni nonché la revoca, in via di autotutela, di ogni atto amministrativo di consenso per l’utilizzo degli impianti mobili di trattamento delle acque reflue disperse e poi recuperate.
La questione è di estrema importanza atteso che non quantificare le acque emunte significa non poter, in futuro, stimare le quantità di idrocarburi dispersi nel territorio con conseguente gravissimo danno per il territorio.