Legambiente presenta la road map con le tre priorità per una loro gestione condivisa e sostenibile e quattro vertenze storiche dell’associazione che raccontano la necessità di agire.
Il caso della Val Basento e la bonifica necessaria
In Basilicata il 100% dei corpi idrici sotterranei è sconosciuto dal punto di vista quantitativo e del 50% di essi non si conosce lo stato chimico.
Gravi carenze nel monitoraggio dei corpi idrici
Il dossier
Invisibile ai nostri occhi eppure fondamentale per la vita e gli equilibri sulla terra: parliamo dell’acqua sotterranea, o anche detta acqua di falda, la più grande riserva idrica del pianeta ma anche una delle risorse più dimenticate, quest’anno protagonista della Giornata mondiale dell’acqua 2022 (World Water Day). In questa occasione Legambiente presenta un dossier, lanciando una road map con 3 proposte per tutelare e preservare questi importanti corpi idrici, troppo spesso maltrattati e sovra sfruttati, la cui qualità e quantità è sempre più messa a rischio dall’urbanizzazione, dalla crescita demografica, dall’inquinamento e dai cambiamenti climatici. Il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla Direttiva Quadro Acque (2000/60), che prevedono il conseguimento di un buono stato (qualitativo e quantitativo) dei corpi idrici, la corretta pianificazione degli usi dell’acqua per prevenire il loro deterioramento (qualitativo e quantitativo) e la messa al bando nella produzione e nella commercializzazione di alcune sostanze inquinanti, persistenti e bioaccumulabili, dannose per l’ambiente e la salute: queste le azioni concrete che coincidono con gli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile (SDG6) delle Nazioni Unite di una gestione condivisa e sostenibile delle falde, allo scopo di garantire universalmente l’accesso ad acqua pulita e potabile.
Le 3 priorità di Legambiente: Primo passaggio fondamentale è il raggiungimento degli obiettivi stabiliti dalla Direttiva Quadro Acque (2000/60/CE) che impone agli Stati membri, entro il 2027 (limite prolungato, inizialmente 2015) il conseguimento del buono stato qualitativo e quantitativo dei corpi idrici. I dati ISPRA mostrano una situazione ancora di forte ritardo in Italia: da un punto di vista quantitativo, solo il 75% dei corpi idrici sotterranei risulta classificato e di questi solo il 61% risulta in uno stato chimico “buono”, il 14% “scarso” e ben il 25% ancora non classificato (261 corpi idrici sui 1052 totali). Simile lo stato qualitativo che vede l’83% delle acque sotterranee classificate, di cui il 58% è in stato “buono”, 25% scarso e 18% non ancora classificato.
Seconda priorità è la necessaria pianificazione degli usi dell’acqua, per prevenire il deterioramento qualitativo e quantitativo dei corpi idrici: necessario un monitoraggio costante per riuscire ad avere una visione d’insieme sull’impatto che la “somma” delle singole attività di scarico, prelievo, rilascio genera sulla risorsa idrica di un territorio.
Infine, la messa al bando nella produzione e nella commercializzazione di quelle sostanze inquinanti, persistenti e bioaccumulabili che stanno generando problemi di tipo ambientale e sanitario in alcune parti del Paese. Un caso emblematico è quello dei PFAS, le sostanze perfluoroalchiliche, che hanno contaminato alcune porzioni delle falde del Veneto e del Piemonte, ma che si stanno ritrovando anche in numerose parti d’Italia.
I pericoli e i quattro casi simbolo: Due i principali problemi citati nel dossier: il sovrasfruttamento delle falde, con conseguente riduzione, abbassamento e intrusione salina e l’inquinamento delle falde, dovuto a scarichi o sversamenti che raggiungono anche le acque sotterranee. Le riserve di acqua presenti nel sottosuolo sono per natura rinnovabili e di buona qualità, ma hanno tempi di ricarica molto lunghi e risultano essere sempre di più sotto pressione a causa delle attività antropiche. Una significativa parte delle acque sotterranee è interessata, in misura variabile, da inquinamento attribuibile a metalli pesanti, inquinanti organici persistenti, sostanze nutritive e da un’ampissima varietà di sostanze chimiche potenzialmente tossiche. Legambiente, a tal proposito, cita 4 vertenze storiche dell’associazione, simbolo di falde inquinate in Italia: la contaminazione da PFAS (sostanze perfluoro alchiliche riconosciute come interferenti endocrini e causa di numerose patologie) nelle acque di diversi territori del Veneto e in provincia di Alessandria, il caso del profondo acquifero del Gran Sasso, che fornisce acqua a 700.000 abruzzesi nelle province di Teramo, L’Aquila e Pescara: contaminato di sostanze quali cloroformio e diclorometano a causa dei Laboratori nazionali dell’Istituto di Fisica Nucleare e dal traforo dell’A2.
E infine il caso dell’area industriale della Val Basento, il più noto, tra quelli conosciuti in Basilicata, di inquinamento delle acque sotterranee, contaminate da metalli pesanti, idrocarburi policiclici aromatici e solventi clorurati. Qui le complesse attività di messa in sicurezza e bonifica delle acque di falda, attese da anni, non sono ancora cominciate.
In generale, se è vero, come emerge dai dati contenuti nel dossier, che la Basilicata è la Regione che utilizza meno le proprie acque di falda per usi potabili (il 21% delle acque prelevate a questo scopo sono acque di falda), nondimeno abbiamo la necessità di preservare questa fondamentale risorsa che tuttavia è praticamente sconosciuta dal punto di vista quantitativo e per il 50% non classificata dal punto di vista qualitativo. D’altronde la Basilicata sconta, come denunciamo da anni, una storica carenza di attività di monitoraggio adeguate finalizzate alla caratterizzazione qualitativa e quantitativa dei corpi idrici superficiali e sotterranei. Attività rispetto alle quali ci auguriamo che il nuovo corso di Arpab recuperi un rinnovato protagonismo anche per dotare la Regione del Piano di tutela delle acque atteso dal 2008 quando fu adottato, monco, però, delle necessarie conoscenze che soli i dati di un monitoraggio costante e sistematico possono fornire.