Michele Morelli (Legambiente): “La vicenda della Liquichimica nel Metapontino, il pericolo scampato”. Di seguito la nota integrale.
La proiezione del documentario Toxicily di Alfonso Pinto e François-Xavier Destors, a cui Legambiente Italia ha dato il patrocinio, prevista per il 3 maggio al cinema Guerrieri, ci riporta alla memoria la vicenda della Liquichimica nel Metapontino. Riportiamo di seguito una sintesi curata da Michele Morelli del racconto breve dal titolo “Prima di Scanzano – Nel Metapontino negli anni Settanta del ‘900 la vicenda Liquichimica” di Alfonso Pontrandolfi pubblicato sul bollettino di Deputazione di Storia Patria.
Come ricorda Alfonso Pontrandolfi in un efficace resoconto sulla vicenda della Liquichimica, pubblicato sul Bollettino di Deputazione di Storia Patria, il Metapontino si trovò, alla metà degli Anni Settanta, al centro di un emblematico caso riguardante il suo futuro. Un gruppo industriale “corsaro”, la società Liquichimica, filiazione del gruppo Esso-Liquigas, dopo aver ottenuto importanti finanziamenti pubblici per una iniziativa industriale nella pianura metapontina, provò “ad imporre le sue scelte localizzative e produttive alle autorità locali, istituzionali e politico-sociali, prospettando cospicui vantaggi occupazionali”.
Nel testo l’autore, dopo aver ricordato in una breve ed efficace sintetica la storia della rinascita del Metapontino negli anni del secondo dopoguerra, racconta la vicenda della grande battaglia democratica vissuta, in primis da un gruppo di cittadini ben organizzati del Materano e successivamente condivisa, se pure a fatica, dall’intera classe dirigente. L’obiettivo era salvaguardare il Metapontino dal tentativo di insediamento di un stabilimento industriale della Liquichimica, per la produzione di bioproteine con annesso porto-isola, da insediare lungo la costa ionica.
All’inizio degli Anni Settanta, in coincidenza con l’istituzione della Regione, il Metapontino poteva essere considerato come l’area forte della Basilicata.
Nel secondo dopoguerra, grazie alle grandi opere di bonifica e di trasformazione fondiaria realizzate, il Metapontino si proiettava verso una naturale vocazione ad intenso sviluppo agricolo e turistico.
La rinascita del territorio metapontino inizia timidamente all’epoca dei primi interventi attuativi della legge speciale per la Basilicata, varata nel febbraio 1904, la cosiddetta legge
Zanardelli, e prosegue durante il ventennio fascista con la costituzione del Consorzio di Bonifica di Metaponto e la realizzazione delle prime opere infrastrutturali di bonifica e di viabilità. Ma è a partire dal secondo dopoguerra l’impulso decisivo, facendo finalmente rientrare questo territorio nella storia delle vicende economiche e territoriali nazionali.
Dal “Piano Marshall” alle leggi di Riforma Fondiaria e, infine, all’istituzione della Cassa per il Mezzogiorno. Alla fine degli anni Cinquanta, il Metapontino risultava già chiaramente segnato dai cambiamenti avviati con la Riforma. Si andavano completando anche gli appoderamenti e le assegnazioni. L’ultima di queste operazioni riguardò il bosco di Policoro, che venne abbattuto per un’estensione di circa 1.000 ettari. Nessuno valutò, prima del disboscamento, l’importanza ambientale di quel residuo biotopo naturale, ma questa è un’altra storia.
Nel 1970, in coincidenza con l’istituzione delle Regioni, il bilancio dei cambiamenti intervenuti nell’area metapontina nei vent’anni trascorsi poteva senz’altro definirsi straordinario.
Dallo schema di sviluppo regionale, predisposto in quegli anni dal Comitato Regionale per la Programmazione Economica, emergeva un’immagine della Basilicata diversa da quella storicamente conosciuta di regione priva di risorse. La principale strategia di sviluppo veniva individuata nelle grandi direttrici costituite dalle valli fluviali, lungo le quali si prevedeva altresì che si sarebbero potuti diffondere gli effetti della notevole crescita economica che si stava registrando nella pianura metapontina. Gli strumenti di questa strategia diventavano le strade a scorrimento veloce di fondo valle, che dal Metapontino avrebbero percorso l’intero territorio regionale.
Le naturali vocazioni agro-industriali e turistiche dell’area metapontina trovavano, nello schema, un primo significativo riconoscimento della loro valenza per qualsiasi ipotesi di sviluppo del territorio regionale.
In questo contesto, l’8 marzo del 1973, apparve la notizia sulla Gazzetta del Mezzogiorno di una grossa iniziativa industriale che la società Liquichimica, del gruppo Esso-Liquigas, intendeva insediare nel Metapontino. A distanza di un anno circa, nel 1974, il Cipe (Comitato Interministeriale per la Programmazione Economica) approverà un primo finanziamento per un importo di 122,6 miliardi di lire a sostegno dell’iniziativa.
Negli stessi giorni la Gazzetta del Mezzogiorno così titolava “Con la Liquichimica a Pisticci un altro passo avanti della regione… la gratitudine delle popolazioni della zona per il ministro Colombo”.
Alfonso Pontrandolfi, nella sua puntuale cronaca, riferisce che ci fu una corsa da parte di tutti gli esponenti di spicco della Democrazia Cristiana materana per dimostrare la totale condivisione allo storico evento.
In un dossier illustrativo, predisposto dalla Liquichimica, venivano descritte le principali caratteristiche dell’insediamento industriale programmato. Un investimento che avrebbe garantito un’occupazione diretta di oltre 10.000 persone. Nel documento venivano illustrati i campi di attività della prima fase e della seconda fase realizzativa. E proprio la seconda fase realizzativa dell’intera iniziativa industriale avrebbe riguardato la produzione di bioproteine “che saranno ottenute – si precisava nel documento – per fermentazione e ricavate dalle n-paraffine estratte dallo stabilimento Liquichimica di Augusta …”.
Rispetto alla localizzazione prescelta, dopo quelle già operanti nel Mezzogiorno, ad esempio Augusta, in Sicilia, si confermava quanto già si conosceva, l’area individuata era posta fra la SS. 106 litoranea Jonica e la ferrovia Taranto-Reggio Calabria, tra i fiumi Basento e Cavone. La questione al centro del dibattito fu, inizialmente, quella della localizzazione.
Al centro delle argomentazioni, di quanti si schierarono a favore dell’insediamento, il tema dell’occupazione “non si possono rinunciare a 10.000 posti di lavoro… La Liquichimica significa pane per chi non ne ha. E sono migliaia le famiglie che aspettano pane”.
Per alcuni esisteva una sola area alternativa a quella costiera adeguata all’entità dell’insediamento Liquichimica ed era quella di La Martella in agro di Matera.
Dopo un’ampia analisi sulle varie ipotesi localizzative esaminate, concretamente non ci furono opposizioni al fatto che la Liquichimica potesse insediare in Basilicata la sua iniziativa industriale, il punto focale su cui si concentrò l’intero dibattito fu l’insediamento sulla costa jonica insieme al porto-isola. La decisione del Consiglio regionale chiuse questa prima fase della vicenda con la piena soddisfazione della Liquichimica, che, al di là dell’indicazione localizzativa
dell’intera iniziativa industriale in tre poli, vide confermata la sostanza del suo progetto: l’insediamento dello stabilimento principale nel Metapontino con l’annesso porto-isola.
La questione, però, non si era affatto chiusa, perché al problema della localizzazione si aggiunse ben presto quello sanitario, relativo alla ipotizzata produzione delle bioproteine, da più parti ritenute cancerogene, la cui produzione, già vietata in molti paesi, non aveva ricevuto ancora il nulla osta dell’Istituto Superiore di Sanità.
Bioproteine “che saranno ottenute per fermentazione e che saranno ricavate dalle n-paraffine estratte dallo stabilimento Liquichimica di Augusta”.
La questione “bioproteine” entrò subito nel dibattito regionale, a seguito di un articolo-inchiesta pubblicato dal «Corriere della Sera», nel dicembre 1974. L’articolo riportava una lunga intervista al prof. Romano Zito, capo del laboratorio di biochimica dell’Istituto dei Tumori «Regina Elena» di Roma.
L’articolo-inchiesta conteneva anche una nota del magistrato Gianfranco Amendola del «Gruppo Ambiente» di Roma sul profilo giuridico della questione “bioproteine” e sul commercio di sostanze alimentari pericolose.
La svolta
Nel 1975, l’Ente provinciale per il Turismo, l’associazione nazionale «Italia Nostra», il circolo culturale «La Scaletta» e il «Gruppo Ambiente» di Roma, organizzarono a Matera il convegno sul tema La Liquichimica in Basilicata che ebbe luogo nel pomeriggio del sabato 15 marzo e nella mattinata della domenica 16 marzo nell’allora Cinema Impero.
Lo scopo dichiarato del convegno era offrire alla cittadinanza “una vera e propria controinformazione su tutti gli aspetti della complessa problematica, a fronte del dilagare di notizie contrastanti, della equivocità di talune posizioni, dell’assenza di decisioni di organismi dello Stato”.
Le relazioni di base furono svolte dall’arch. Fabrizio Giovenale, vice presidente nazionale di «Italia Nostra», dal magistrato Gianfranco Amendola, esperto del «Gruppo Ambiente» di Roma, dal prof. Claudio Botrè dell’Istituto di chimica farmaceutica dell’Università di Roma, insieme al prof. Romano Zito.
“Il convegno, affollatissimo, si svolse in un clima di grande tensione civile”.
Il convegno si concluse con un documento esemplare, che, oltre alla questione territoriale e al ricatto occupazionale, centrava la questione più importante: il problema della salute pubblica connesso all’uso delle bioproteine.
Il 19 giugno successivo, agli organizzatori del convegno giunse il seguente telegramma di Gianfranco Amendola: “Lieto comunicare data odierna Consiglio Superiore Sanità habet sospeso decreto bioproteine Anic/Bp pregiudicando gravemente programma Liquichimica in accoglimento conclusioni proposte convegno Matera”.
Pericolo scampato.