«Un altro tassello contro un modello di società basata sull’energia fossile è stato messo a segno dal governo Conte. Riguarda la Basilicata e, pertanto, in tema di petrolio riguarda l’intera nazione».
Lo ha dichiarato la deputata lucana Mirella Liuzzi, riferendosi alla decisione maturata nelle riunioni del 15 e del 20 maggio del Cipe, il Comitato interministeriale per la programmazione economica, con la quale è stata rifiutata al giacimento di Tempa Rossa, la richiesta di proroga della dichiarazione di pubblica utilità presentata dalla Total E&P Italia.
Il provvedimento è in linea con la decisione già presa a dicembre scorso dal governo di non ritenere il petrolio di interesse strategico nazionale e va in contrasto con quanto deciso dal contestato “Sblocca Italia” di Renzi della passata legislatura, che ha invece considerato di pubblica utilità, urgenti e indifferibili, tutti gli interventi per ricerca di petrolio e metano e per la rigassificazione e lo stoccaggio e il trasporto del gas.
«La condizione di opera di pubblica utilità persa dal progetto Tempa Rossa – ricorda Liuzzi – non la fa più ritenere opera idonea a soddisfare i bisogni della collettività assegnatele dal governo più fossile mai avuto, quello di Matteo Renzi, il cui scopo era facilitare i collegamenti per il trasporto del petrolio estratto da Corleto a Taranto. Non per raffinarlo nel capoluogo pugliese, ma per consentire alla società francese il “Franco Frontiera”». Cioè esportare il petrolio lucano verso Paesi mediterranei con tassazione più bassa: come dire che al danno, per l’estrazione, anche la beffa di mancate entrate economiche.
«È uno dei tanti paradossi legati al petrolio, a partire dall’energia che si spreca prima di diventare esso stesso energia utilizzabile, mentre assistiamo non solo a una riduzione del picco della produzione, ma anche a una discesa del picco della domanda di consumo di petrolio», dichiara ancora la parlamentare lucana, che ha ricordato come il rifiuto del Cipe segua anche l’azione del governo che ha aumentato di 35 volte i costi dei permessi di coltivazione e che ha emesso una moratoria al fine di descrivere gli ambiti dove non sarà più permesso perforare.
Il tutto anche grazie all’impegno dei parlamentari lucani M5S, forti dell’esperienza maturata dove si estrae l’80% del petrolio italiano, pari però ad appena il 7% del fabbisogno nazionale.
«Alla luce delle ultime vicende giudiziarie per l’inquinamento di 26 mila mq di reticolo idrografico intorno al Cova di Viggiano, dei nuovi arresti di dirigenti Eni, degli arresti di altri componenti del Comitato tecnico regionale, cercheremo ora di insistere per istituire una nuova Commissione di inchiesta su ciò che accade intorno alla Concessione Val d’Agri Eni/Shell, come già richiesto di recente dai miei colleghi lucani di Camera e Senato».