Processo Petrolgate 1, condannata ENI per traffico illecito di rifiuti, intervento Coordinamento No Triv Basilicata e CNNT. Di seguito la nota integrale.
Sentenza Petrolgate 1. Il Moloch non piange.
Con la lettura del dispositivo della sentenza, ad esito dell’udienza del 10 Marzo, la sezione Penale del Tribunale ordinario di Potenza, dopo oltre tre anni dall’inizio del c.d. processo “Petrolgate 1”, ha condannato in primo grado a due anni di reclusione Ruggero Gheller (ex responsabile del Distretto Meridionale dell’Eni), Nicola Allegro (responsabile operativo del Centro oli di Viggiano), Luca Bagatti (responsabile produzione del Distretto Meridionale di Eni), ad un anno e quattro mesi di reclusione Enrico Trovato (ex responsabile del Distretto Meridionale dell’Eni), Roberta Angelini (responsabile dell’Unità di Sicurezza, Salute e Ambiente del Distretto Meridionale Eni), Vincenzo Lisandrelli (coordinatore ambiente del reparto sicurezza e salute all’Eni di Viggiano); ad un anno e sei mesi di reclusione l’ex dipendente della Regione Basilicata, Salvatore Lambiase (storicamente conosciuto come signor sì dei desiderata delle Companies in Basilicata), per smaltimento e traffico illecito di rifiuti.
Oltre all’interdizione per un anno dai pubblici uffici (pena sospesa a termini e condizioni di legge) e da uffici direttivi e delle persone giuridiche ed imprese, il Tribunale ha condannato i 7 imputati ed Eni Spa al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, da liquidare a 278 parti civili, tra cui Minambiente, Regione Basilicata, 4 Comuni delle aree estrattive e di trattamento reflui, 5 Associazioni ambientaliste lucane, oltre 260 persone lese nelle proprie attività aziendali e/o nei propri diritti alla salute.
Eni Spa è stata inoltre condannata al pagamento di una sanzione amministrativa di 700mila Euro ed alla confisca di 44,2 milioni di Euro, da cui vanno sottratti i costi già sostenuti per l’adeguamento degli impianti.
L’enorme mole di indagini e di lavoro istruttorio si era avviata ben 4 anni prima della primavera del 2016, quando a poche settimane dalla celebrazione del referendum No Triv, l’intera compagine filo fossile nazionale subì un terremoto.
La mattina del 31 Marzo vennero sequestrate le vasche del ciclo di raffinazione del Cova di Viggiano e del pozzo di reiniezione “Costa Molina 2” in agro di Montemurro e, fatto senza precedenti nella storia della Repubblica, a stretto giro rassegnò le dimissioni il Ministro del MISE Guidi, mentre lo stesso vice ministro della Sanità (ed ex presidente della Regine Basilicata) De Filippo rischiava di essere formalmente indagato per traffico di influenze.
Tra dirigenti di Eni e di altre 9 Società si trattava di un totale di 70 indagati, che al termine delle indagini preliminari avevano ottenuto dalla squadra mobile di Potenza e dai Carabinieri del Noe l’avviso di conclusione delle indagini relative ad alcune parti dell’inchiesta sulla filiera petrolifera in Basilicata, con l’esclusione del filone siciliano e del traffico di influenze illecite addebitato dalla Procura di Potenza alla cricca capeggiata dall’ex compagno della ministra Guidi, Gianluca Gemelli.
Il 16 Aprile dello stesso anno il Tribunale del Riesame di Potenza rigettava la richiesta di revoca del sequestro di due vasche di stoccaggio rifiuti e del pozzo di reiniezione, ritenendo che la continuità del loro utilizzo avrebbe costituito “aggravio alle conseguenze dannose del delitto, protraendo, attraverso l’illecito smaltimento di rifiuti, la diffusione nell’ambiente di sostanze pericolose”, così confermando “fondata” l’accusa contro Eni di aver smaltito illecitamente nel Centro Oli di Viggiano i rifiuti prodotti dall’estrazione del petrolio, con procedure che avrebbero fatto conseguire all’azienda un “ingiusto profitto”.
Conseguenza fu, dopo 4 mesi di stop, la ripresa delle lavorazioni al Cova, ma col divieto temporaneo di reiniezione, con l’utilizzo di nuove procedure tecniche di separazione delle acque di strato e di lavorazione in tempi brevi proposte da Eni con l’avallo della Procura. Per molto tempo Eni trasporterà carovane di autobotti a Pisticci Scalo presso gli impianti di Tecnoparco Spa e presso altri centri di trattamento reflui, in un interminabile “tour della monnezza petrolifera”.
Nel frattempo, i 70 indagati si riducevano a 59, tra ex responsabili del Distretto meridionale di Eni, quali Ruggero Gheller ed Enrico Trovato; l’ex responsabile Sime (Sicurezza, salute e ambiente) di Viggiano, Roberta Angelini; l’ex responsabile operativo dello stabilimento Cova, Nicola Allegro, che tra l’altro si sarebbero accordati per non far emergere i problemi legati alle emissioni di agenti inquinati, omettendo di avvertire le autorità. Anche l’Arpab avrebbe compiuto controlli approssimativi. Il Tribunale del Riesame faceva rilevare che dagli atti dell’indagine sarebbe emersa una “totale sudditanza” verso Eni, col risultato di probabili “controlli approssimativi e carenti” dei tecnici regionali, che sarebbero stati “coscienti” del fatto che i valori delle analisi sui terreni “superavano quelli previsti dalla legge”.
Già allora, pur impossibilitati a costituirci parte civile, in quanto non muniti di necessario statuto ed atto costitutivo, mettevamo in evidenza il paradosso dell’assenza dell’ipotesi del reato di disastro ambientale, mentre grande rilievo veniva dato al combinato disposto di capi di accusa quali reati di corruzione e contraffazione, sottolineando che qualora i giudici competenti non avessero accolto le logiche e giustificate richieste di allargamento dei capi di imputazione al reato di disastro ambientale, le conseguenze per il destino dei nostri territori e della stessa democrazia, in Basilicata come in Italia, si sarebbero rivelate nefaste.
Ora, basta mettere a confronto il numero residuale dei 35 imputati, le richieste di condanna a 114 anni e due mesi avanzate dalla PM Triassi; le richieste di confisca a 10 Società, da multare fino a 114 milioni di Euro, per comprendere come la platea degli indagati si sia andata svuotando e sfilacciando, di fronte ad un impianto accusatorio pur largo e complesso. A fronte di 35 soggetti indagati, sono 27 le assoluzioni, tra cui i dirigenti provinciali e di ARPAB.
Esclusi per le Società gli illeciti amministrativi. Numerose le assoluzioni per insussistenza di altri reati, per estinzione di reato per intervenuta prescrizione; esclusione di responsabilità per le Società Ecosistem Srl, Ireos Spa, Tecnoparco Valbasento, Criscuolo Ecoproject Service Srl, De Cristofaro Srl, IAM Spa, Consuleco Srl, Solvic Srl, Uniproject Srl, “per mancanza di prova dell’illecito amministrativo dipendente dal reato di cui al Capo A 4”.
La condanna degli imputati, in solido tra loro, al risarcimento dei danni, patrimoniali e non, da liquidarsi in separata sede, ed alla “refusione delle spese di costituzione e di rappresentanza sostenute dalle parti civili”, con relativo rigetto delle richieste di provvisionale, seppur in attesa delle motivazioni della sentenza, va letta a nostro avviso nella sua duplice valenza.
Da un lato, l’esito della derubricazione degli aspetti penali è fortemente sbilanciato sul versante della monetizzazione di comportamenti illeciti e continuativi. Dato che era ampiamente previsto in partenza.
D’altro canto, pur nell’evidente dismetria tra premesse, attese e sentenza, sarebbe ingeneroso non cercare di interpretate e valorizzare l’intreccio di energia, di rabbia, di offese subite e mai risarcite (o non più risarcibili!) da cittadini e lavoratori travolti da una storia ventennale di soprusi, di espropri, di inquinamento.
C’è in tutto questo un valore che travalica la dimensione del simbolico, proprio perché la condanna riguarda la rottura del silenzio, la possibilità di restituire visibilità e dignità agli “anonimi” e silenti, abituati magari a ringraziare i potenti se lasciano in famiglia le briciole di qualche mese di lavoro a termine nella filiera degli appalti e dei servizi petroliferi.
L’opposizione ai petrolieri in Basilicata ha avuto pochi momenti di partecipazione di massa. Le associazioni “ambientaliste” vengono guardate allo stesso tempo con sospetto e silenziosa ammirazione, ma si sa che è sempre meglio “non farsi vedere in giro, non si sa mai …”.
Vista dalle terre offese della Basilicata petrolifera, questa sentenza è comunque un colpo al Moloch, alla sua aura di intangibile strapotere.
E’ per questo che si leggono ringraziamenti pubblici agli avvocati, come chi si rivolge a “tutti coloro che non ci credevano, che pensavano fosse un processo farsa “, ricordando che “oggi, però, è un nuovo giorno … Lo dobbiamo ai nostri figli, perché loro meritano un paese migliore”.
Nelle parole di soddisfazione dell’avvocato Di Pisa per gli esiti del processo, dove ha difeso 300 cittadini di Pisticci Scalo danneggiati dai miasmi da idrogeno solforato delle vasche di Tecnoparco Spa, si coglie orgoglio ed amarezza, anche paura e solitudine, quando dice che “con la sentenza ho visto premiato un impegno professionale durato 5 anni, faticoso, complesso e dalla notevole difficoltà tecnica … ho dovuto affrontare insieme all’eccellente dottoressa Triassi della Dda di Potenza, oltre che i numerosi e valorosi avvocati di controparte, anche consulenti Eni di spessore tecnico mondiale: è stata necessaria una lunga preparazione anche a livello scientifico e tecnologico”.
Intanto, mentre roboticamente Eni precisa che “durante il corso dell’istruttoria dibattimentale ritiene di aver dimostrato la rispondenza del COVA alle Best Available Technologies e alle Best Practices internazionali” e che“non condivide il riconoscimento di responsabilità per la grave ipotesi di reato di traffico illecito di rifiuti”, preparandosi a fare subito appello, la stessa Spa annuncia la nascita di “GreenIT”, joint venture per lo sviluppo, costruzione e gestione di impianti per la produzione di energia elettrica da fonti rinnovabili in Italia . GreenIT, partecipata al 51% da Eni e al 49% da Cassa Depositi e Prestiti Equity, produrrà energia principalmente da impianti fotovoltaici ed eolici con l’obiettivo di raggiungere una capacità installata al 2025 di circa 1.000 MW, con investimenti cumulati nel quinquennio per oltre 800 milioni di Euro.
Dal mefitico cono d’ombra coloniale lucano le dichiarazioni del direttore generale di Energy Evolution di Eni Spa, Giuseppe Ricci: “Questa nuova joint venture si inserisce nella strategia di Eni per la transizione energetica e contribuisce all’accelerazione del nostro percorso di trasformazione verso l’energia verde e le rinnovabili. In quest’ottica, grazie alla partnership con Cassa depositi e prestiti, il nostro impegno nella decarbonizzazione diventa sempre più concreto: per centrare gli obiettivi dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite è essenziale fare sistema a livello Paese e mettere a fattor comune possibilità di investimento e know how” suonano come il rombo dei motori della nave corazzata, che indica sicura la rotta dei destini e degli investimenti pubblici. E pensare che CDP avrebbe potuto svolgere un ruolo ben diverso in una transizione energetica più attenta ai bisogni dei territori e della salute, che non delle multinazionali pigliatutto!
Il Coordinamento Nazionale No Triv si è costituito ed è stato riconosciuto parte civile nel processo denominato “Petrolgate 2”, relativo allo sversamento di oltre 400 tonnellate di petrolio al Centro Oli di Viggiano (sversamento certificato dalla stessa Eni a fine Gennaio 2019, dovuto alle perdite dai 4 serbatoi del COVA), che ha portato all’iscrizione nel registro degli indagati di 13 persone tra dirigenti ENI e membri del CTR (Comitato Tecnico Regionale), nonché all’arresto di un dirigente ENI con le accuse, fra le altre, di disastro ambientale, abuso d’ufficio, falso ideologico commesso da pubblico ufficiale (vedi Ordinanza n° 44/2019 RMC del 14 Aprile 2019 del GIP di Potenza, con misura degli arresti domiciliari nei confronti dei dirigenti Eni e misura interdittiva della sospensione dall’Ufficio Pubblico ricoperto da funzionari regionali).
Il CNNT invita a non demordere, anche perché è la prima volta che, con elementi probatori inoppugnabili e messa all’angolo dal memoriale del defunto ing. Griffa, in Basilicata una multinazionale dell’Oil&Gas viene apertamente ed esplicitamente incriminata di disastro ambientale.
Già pronto alla costituzione di parte civile all’eventuale avvio del “Petrolgate3”, il CNNT si dice pienamente disponibile ad eventuale ricorso in appello alla sentenza di primo grado del 10 Marzo scorso, laddove, alla lettura delle motivazioni, dovessero risultare elementi concreti a sanare le vistose apparenti contraddizioni, come ad esempio quella tra il riconoscimento del diritto al risarcimento danni, refusione delle spese di costituzione e rappresentanza delle parti civili del Comune e dei cittadini di Pisticci, ed esclusione di responsabilità da parte di Tecnoparco Spa, tenuto a vigilare sui codici CER.
Con la premessa che solo attraversando le mobilitazioni previste da larghe soggettività e coordinamenti di associazioni, sindacati non svenduti, movimenti, a partire dallo sciopero per il clima del 19 Marzo indetto da Friday For Future, fino agli appuntamenti del prossimo autunno del G20, sarà possibile consolidare un percorso di coniugazione sociale e politica allargata per contribuire a liberarci delle catene dell’imperante arroganza petrolifera.
Coordinamento No Triv Basilicata
Coordinamento Nazionale No Triv