Pietro Sanchirico, segretario regionale Italia Unica: “Altro che la “paura” del referendum. dietro decisione Shell c’e’ il crollo del prezzo del barile”.
Il Presidente Lacorazza, scavalcando persino gli ambientalisti e i più radicali anti-trivelle, si dice convinto che dietro l’annuncio della Shell di abbandonare i giacimenti nel golfo di Taranto c’è la paura dell’esito del referendum. Basterebbe leggere i pareri di economisti internazionali, come pure quelli di alcuni cittadini postati sui social, senza per questo avere la laurea o essere esperti-analisti di petrolio, per capire che il motivo dell’attuale rinuncia è sopratutto il prezzo basso del greggio. Le compagnie petrolifere – spiega il Sole 24 Ore – decidono gli investimenti sulla base delle disponibilità finanziarie, ovviamente, e i valori attuali del petrolio rendono più magra la borsa cui attingere,ma programmano gli investimenti con una visione di molti anni, anche di decenni. C’è poi una verità tutta politica: il programma di investimento viene reso inaffidabile dall’indecisione della politica italiana, la cui visione non ha una prospettiva da tempo, in quanto non c’è una strategia energetica, come testimoniano le scelte ondivaghe del Governo Renzi, nonostante lo Sblocca Italia. Al Presidente e a chi fosse sfuggito è il caso di ricordare che la Shell nel settembre scorso per lo stesso motivo ha messo fine alle operazioni di trivellazione condotte al largo dell’Alaska dopo aver speso in un decennio circa 7 miliardi di dollari per acquisire licenze di esplorazione. Il crollo del prezzo del petrolio, sceso stabilmente sotto i 40 dollari, mette in cirisi i progetti per la ricerca dei nuovi giacimenti dei grandi colossi del petrolio. Figuriamoci quelli dei piccoli operatori indipendenti. Molto semplicemente è questa la ragione che progetto dell’esplorazione lungo la costa ionica e in Adriatico. Nell’avvio di campagna referendaria non mi pare che Lacorazza, che pensa di avere già in tasca il quorum per il referendum e la vittoria, sia partito con il piede giusto. Piuttosto il Consiglio e la Giunta della Regione concentrino ogni sforzo ed impegno su come gestire questa nuova fase per il petrolio lucano in terraferma. Le prime lettere di interruzione del rapporto di lavoro per 25 dipendenti di impresa dell’indotto Eni in Val d’Agri sono solo una spia preoccupante.