La Corte costituzionale ha dichiarato inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promossi dalle Regioni sulla questione delle trivellazioni. I ricorsi riguardavano il piano delle aree e il regime delle concessioni ed erano proposti nei confronti del Presidente del Consiglio, del Parlamento e dell’Ufficio centrale per il referendum presso la Cassazione. Promossi da sei Consigli Regionali – Basilicata, Puglia, Liguria, Marche, Sardegna, Veneto – i conflitti miravano a far rivivere i referendum su piano aree e proroga delle concessioni, in precedenza ‘bocciati’ dalla Cassazione. La Consulta ha dichiarato i conflitti inammissibili perché non è stata espressa la volontà di sollevarli “da almeno cinque dei Consigli regionali che avevano richiesto il referendum”. Resta in piedi, quindi, un solo referendum sulle trivelle: quello sulla durata delle autorizzazioni per le trivellazioni entro le 12 miglia mare, che si terrà il 17 aprile.
Referendum trivelle, la Consulta boccia i ricorsi delle Regioni. No Triv: “nessun giudizio di merito”
Referendum trivelle, è arrivata la beffa. La Corte costituzionale ha dichiarato oggi l’inammissibilità dei conflitti di attribuzione delle Regioni che puntavano a ripristinare due dei sei quesiti esclusi. Nel caso di parere positivo, si sarebbe riaperta anche la possibilità di accorpare la data del referendum con il primo turno delle elezioni amministrative, che avrebbe consentito di risparmiare circa 370 milioni di euro di soldi pubblici.
Così non è stato. Secondo la Consulta i ricorsi sono inammissibili in quanto non sostenuti da una previa delibera di almeno cinque dei Consigli regionali che avevano promosso il referendum. I ricorsi relativi alle richieste di referendum sulla «pianificazione delle attività estrattive degli idrocarburi» e sulla «prorogabilità dei titoli abilitativi a tali attività» sono stati bocciati per mere cause procedurali. Le sei Regioni promotrici del comitato ufficiale per il SI – Basilicata, Puglia, Liguria, Marche, Sardegna, Veneto avevano proposto il conflitto d’attribuzione tra poteri dello Stato su entrambi i punti: il primo nei confronti della Cassazione; il secondo, quello sul piano aree, anche nei confronti di Camera, Senato e Governo.
“La decisione solleva perplessità, in quanto, mentre a gennaio la Corte ha ammesso la costituzione in giudizio del delegato regionale abruzzese per conto del Consiglio e contro le altre nove regioni senza che alle spalle vi fosse una previa delibera del Consiglio regionale, oggi ritiene che i delegati regionali – che pure costituiscono nell’insieme il comitato promotore del referendum – non possano agire senza che vi sia un previo atto di autorizzazione delle rispettive assemblee regionali”, commenta Enzo di Salvatore, del Comitato nazionale Notriv, costituzionalista ed estensore dei quesiti referendari.
D’altra parte, sottolineano i NoTriv, a nessuno verrebbe in mente di sostenere che, nel caso del referendum promosso da 500.000 elettori, il Comitato referendario debba sollevare conflitto, previa “delibera” di mezzo milione di persone almeno.
“In questo caso, la Corte costituzionale ha sempre ritenuto che fosse sufficiente che almeno tre dei membri del Comitato potessero agire in giudizio. In ogni caso, la decisione di oggi non entra nel merito delle questioni poste dai delegati regionali e gli italiani non sapranno mai se vi sia stata effettivamente elusione dei quesiti referendari concernenti il piano delle aree e la durata dei titoli in terraferma e oltre le dodici miglia marine”, conclude di Salvatore.
Paolo Castelluccio, consigliere regionale Forza Italia: “Decisione Corte Costituzionale sia da lezione”
La decisione della Corte costituzionale che ha dichiarato l’inammissibilità per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato dei ricorsi presentati dalle Regioni sulle trivellazioni in mare dovrebbe servire da lezione a quanti hanno pensato (e forse pensano ancora) che è sufficiente un referendum o magari moltiplicando i quesiti referendari per stoppare le istanze di ricerca petrolifera in mare. Qualcuno in verità solo poco tempo fa si è spinto oltre sino a manifestare con toni entusiastici la “vittoria sulle trivelle” dopo il dietro front di alcune compagnie alle ricerche di cui alcune al largo della costa ionico-metapontina. Ho tentato di convincere ad abbassare i toni, a leggere i fatti accaduti con maggiore attenzione e meno passione ambientalista per concentrarsi ad intensificare l’attività di pressing ad ogni livello politico ed istituzionale nei confronti del Governo perché è questa la strada che può dare risultati più efficaci della consultazione referendaria. E’ impensabile una battaglia solo di carattere costituzionale rinunciando a quella politica. E’ ovvio che si tratta di un percorso lungo. Secondo il recente report Mediterranean Marine Initiative, realizzato dal WWF, oltre il 20% del Mediterraneo è dato in concessione per l’industria petrolifera e del gas e la produzione di gas offshore, entro il 2030, sarà quintuplicata, soprattutto nell’area orientale del bacino. L’Italia (e il mondo) ha una fortissima dipendenza dagli idrocarburi e uno stop immediato è inconcepibile. Ma un distacco graduale è non solo necessario per motivi ambientali, ma auspicabile anche per scelta di modello di sviluppo e collegabile a una forte spinta verso l’innovazione tecnologica. Per questo prima che i Comuni e le comunità del Metapontino possano considerare che il 17 aprile diventi la festa di liberazione dalle trivelle ci vorranno ancora altri provvedimenti del Mise e una forte concertazione con il Governo Renziano alla quale non mi pare siano preparati i Renziani e non Renziani lucani. Il richiamo di Pittella a Lacorazza è solo un’avvisaglia di una divergenza di posizioni non certo su aspetti formali e marginali.
Sanchirico (Italia Unica): decisione Corte Costituzionale dimostra che questione non si risolve a colpi di referendum
Dopo il pronunciamento della Corte costituzionale che ha dichiarato oggi inammissibili i ricorsi per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato promossi dalle Regioni sulla questione delle trivellazioni, il presidente del Consiglio Regionale Lacorazza, capo-fila dei referendari, ammetta la sconfitta e l’isolamento in cui si trova. Infatti alle Regioni Puglia e Veneto che depositeranno domani altri due ricorsi sulle stesse norme su cui oggi la Corte ha deciso l’inammissibilità dei ricorsi per conflitto di attribuzione supportati da 6 Consigli Regionali non mi pare si aggiunga la Basilicata perchè il Presidente Pittella è di tutt’altro avviso. L’unico quesito referendario ammesso è pertanto quello che troveremo nella scheda per la consultazione popolare del 17 aprile. Siamo di fronte all’ennesima dimostrazione che le questioni riferite alla ricerca e all’estrazione del petrolio in mare e come nel sottosuolo non si risolvono a colpi di referendum. Intanto il quorum da raggiungere dopo che il Governo Renzi ha rifiutato l’election day resta una scommessa, e poi non si può moltiplicare i quesiti referendari con l’illusione di stoppare le trivelle a poche miglia dalla costa metapontina. Per aprire da subito la discussione politica sul futuro energetico del nostro Paese occorre che si giunga presto ad una disciplina organica e sistematica del settore e che si favorisca velocemente la transizione energetica. L’energia, infatti, è materia prima indispensabile, il cui costo incide in modo decisivo sullo sviluppo ed il mantenimento delle attività produttive, con un conseguente impatto sulla creazione e conservazione dei posti di lavoro, nonché sul prezzo dei prodotti, compresi quelli di prima necessità. Ridurre la bolletta energetica dei cittadini e delle imprese equivale, dunque, a diminuire la pressione fiscale. Infine votare in un unico giorno, è il caso di ribadirlo, avrebbe consentito un risparmio di 300 milioni di euro, di cui sicuramente il Paese ha bisogno.