Anche nella ristorazione regionale non manca la voglia di mescolare con gli ingredienti più classici tradizione e rinnovamento a tavola. E tra le nuove tendenze registrate nel settore food per il nuovo anno comincia a prendere piede anche la cucina molecolare. Definita pure gastronomia molecolare, racchiude un insieme di tecniche di cucina e di ricette, unendo alla cucina tradizionale le conoscenze scientifiche anche estranee al mondo del cibo. La disciplina si è sviluppata alla fine degli anni ottanta presso l’INRA (Institut National de la Recherche Agronomique) ad opera di Hervè This (fisico e gastronomo) e di Pierre Gilles de Gennes (Premio Nobel per la Fisica nel 1991). Studi similari sono stati poi condotti anche in Regno Unito e Stati Uniti. In Italia, lo studioso di maggior spicco è Davide Cassi del dipartimento di Fisica dell’Università di Parma. Per evitare equivoci è stato definito un vero e proprio Manifesto della Cucina Molecolare Italiana: Ogni novità deve ampliare, non distruggere, la tradizione gastronomica italiana;le nuove tecniche e i nuovi piatti devono valorizzare gli ingredienti naturali e le materie prime di qualità; sarà una cucina attenta ai valori nutrizionali e al benessere di chi mangia, non solo agli aspetti estetici e organolettici.
Essendo una disciplina in continua crescita, la cucina molecolare tende a rinnovarsi. Nell’ultimo decennio un approccio scientifico tra i fornelli ha prodotto un numero enorme di nuovi tecniche e ricette più che in ogni altro periodo della storia.
L’attenzione è concentrata sugli strumenti. La regola numero uno è abolire il microonde. Parola di Antonino Cannavacciuolo, lo chef di origine napoletana che crea i piatti tra i fornelli di Villa Crespi sul Lago d’Orta, diventato anche una star televisiva grazie al programma tv «Cucine da incubo». Ed è da limitare anche l’utilizzo della pentola a pressione perché, spiega il cuoco, «l’alta temperatura con cui si cuociono i cibi non permette di preservare al meglio le qualità e la consistenza», soprattutto di carne e verdure. Meglio quindi cotture più lunghe e meno «invasive», ovvero a temperature più basse.
Una cosa e’ sicura, ci sono ricette, di grandi piatti della tradizione, che non ammettono rivisitazioni. E la polemica alimentata dallo chef stellare Carlo Crocco sulla pasta alla amatriciana e’ uno di questi esempi.”Gli unici ingredienti di questa pasta, di antica tradizione pastorizia, sono guanciale, pecorino, vino bianco, pomodoro, pepe e peperoncino”: e’ stata l’intera amministrazione di Amatrice a scendere in campo per il rispetto della sua storia gastronomica. Ma che e’ successo? E’ bastato che lo chef Crocco sugli schermi tv riferisse che nel sugo della amatriciana ci mette pure l’aglio, anche se in camicia. Roba per i puristi da masterchoc più che masterchef. Dunque anche se da noi non mancano ristoratori-innovatori almeno sulla tradizione nessuno transige. Per Antonio Sabia, uno degli imprenditori di ristorazione più innovativi, coproprietario di risto-pub Black Pepper di Potenza, via Verrastro 5 (di fronte il Palazzo della Giunta Regionale), che con pochi mesi di vita, sta riscuotendo consenso di pubblico per la qualità, la varietà giornaliera dei piatti e, soprattutto, per quello che il Centro Studi Thalia ha definito “buon rapporto qualità-prezzo” – “la creatività in cucina è solo uno degli elementi. Ma senza prodotti di qualità e la consapevolezza che c’è un punto limite di innovazione che è invalicabile non si soddisfano tutti palati e i differenti gusti. Anche perchè il target medio dei ristoranti lucani è composto principalmente da chi ha una spesa non certo da ristorante stellato da guida e però non per questo rinuncia all’innovazione. La nostra sfida è, cucina molecolare o no, riuscire sempre ad emozionare l’ospite con il servizio di piatti differenziati e le tecniche di porzionamento. Ben venga la scienza se può aiutare a conoscere le strutture del cibo e a crearne di nuove con “trucchi” altrimenti noti solo agli scienziati. Nascono così piatti più leggeri. Si può innovare senza l’uso di sostanze chimicamente dubbiose, ma rimanendo fedele al manifesto di semplicità naturale, e sfatando il clichè di pietanze ridotte e piatti belli solo da vedere secondo l’autentica essenza dell’invisibile».