In questi mesi si stanno moltiplicando le iniziative per celebrare i 150 anni di unità d’Italia. Anniversario che si tinge di colori politici vista la presenza nel nostro panorama politico nazionale una forza che questa unità la sta mettendo ripetutamente in discussione. Una forza che applica la regola del: più si grida e si recrimina e maggiori sono le quote di “ragione” che si sottraggono agli “umili” silenti. Purtroppo vedo che si risponde a queste forze ostili all’inno di Mameli con la solita retorica risorgimentale: Un Risorgimento che, al contrario di ciò racconta questa retorica, ha avuto risvolti poco nobili. Esso ha realizzato l’unità d’Italia con la vecchia logica delle annessioni espansionistiche abilmente orchestrate con la diplomazia dal grande Cavour. Il giornalista Pino Aprile con il suo libro “Terroni” mette a nudo gli sgradevoli aspetti della conquista che sta dietro il nostro Risorgimento. Aprile con una prosa non brillante, a volte ripetitiva, ci spiega che la conquista fu brutale. Chi scrive ha poi cercato conferme rileggendo il bellissimo romanzo storico del “Gattopardo” puntualmente trovate. Il regno del Nord annientò quello borbonico, tutt’altro che in smobilitazione ma che addirittura competeva negli indici di modernizzazione con Inghilterra e Francia e possedeva una burocrazia tutt’altro che inefficiente come erroneamente si favoleggia. Era al contrario uno stato molto più ricco di quello montanaro ed arretrato dei Savoia. Un secondo aspetto che i nostri libri di storia non spiegano bene è il fenomeno del brigantaggio. Esso non fu fenomeno delinquenziale comune, ma lotta di resistenza, a tratti epica, contro l’invasore sabaudo. Una guerriglia che durò una decina di anni e fece quasi un milione di morti. Interi paesi furono sterminati con metodi “eugenetici”tanto da far passare per dilettanti i nazisti di Marzabotto o delle Fosse Ardeatine. Una terza bugia riguarda il divario economico-culturale Nord-Sud. Sempre i libri di storia ci hanno fatto credere che il divario fosse pre-esistente all’unità d’Italia. Niente di più falso! In verità mentre Roma era una media città popolata da burini ignoranti e Milano una città, ancor più piccola, della gretta provincia padana; Napoli con un’area urbana che sfiorava il milione di abitanti, competeva in bellezza, grandezza e cultura con le maggiori capitali Europee. Nessuno sa, ed Aprile con il suo libro ce lo svela, che in Calabria vi era uno degli insediamenti siderurgici più grandi d’Europa che impiegava più di mille operai. I contadini appulo-lucani vendevano i loro prodotti agricoli in tutta Europa e Matera era zeppa di banche. La Campania per lungo tempo rimase nel gruppo delle regioni italiane più ricche nonostante i Savoia.Tutto questo potenziale economico fu smantellato in pochi anni dal regno sabaudo. Gran parte delle ricchezze prodotte con i beni ed i terreni di proprietà ecclesiastica avevano poi una destinazione pubblica. Con l’unità d’Italia essi furono in gran parte confiscati e distribuiti alla ricca borghesia terriera che invece strozzò e sfruttò i contadini fino a spingerli oltre quella triste soglia che rese l’emigrazione via obbligata per la sopravvivenza. L’inasprimento dei dazi doganali sui prodotti agricoli di fine 800 poi fecero il resto. Nel periodo fascista l’opera fu completa: le regioni del Sud si ritrovarono ad occupare tutti gli ultimi posti del “ranking” economico dell’Italia. Ma questa colossale operazione di repressione e saccheggio ebbe un corollario che ancora oggi martirizza il Sud. I Savoia dovettero metter su una sponda di governo al Sud che assecondasse i loro piani predatori. Non è irragionevole pensare che il malgoverno al Sud non fu casuale e non sia, ancor oggi, un fattore genetico-antropologico come qualche leghista camuffato da “materano” predica dai pulpiti delle nostre chiese.
Il problema non è a distanza di 150 anni di riprendersi la rivincita rispetto ai “Savoia-Bossi, rivendicando a nostra volta una secessione. Una secessione in Italia si ispirerebbe certamente a quella Serbo-Croata piuttosto che a quella Ceco-Slovacca. La posizione di Aprile da questo punto di vista sarebbe impraticabile e dolorosa. Il vero problema è quello di rompere in modo irreversibile e salutare con l’assistenzialismo ed il malgoverno al Sud, e, specularmente, il dirottamento di investimenti produttivi solo al Nord. Una divisione questa che sta condannando il nostro paese ad un futuro grigio e malinconico. Per uscire da questo circolo vizioso occorre che il nostro paese consideri il Sud non una palla al piede ma un serbatoio di energie e risorse ancora inespresse che invece vanno trafficate e finalizzare per promuovere sviluppo. Non esagero che con un Sud con livelli di sviluppo del Nord, l’Italia giocherebbe alla pari con la Germania che attualmente, nonostante i freni a mano tirati nel nostro paese, vanta un PIL solo una volta e mezzo superiore al nostro. Una sfida da raccogliere è quella de decentramento fiscale ed economico (non federalismo, termine improprio ed infausto perché esso esige un processo di frantumazione dell’unità nazionale per essere attuato!). Se deve essere il cavallo di Troia per preparare la secessione che quei poveri scalmanati e mentecatti con la camicia verde, la cui arroganza viene oscurata solo dalla loro ignoranza, segretamente perseguono, esso va contrastato energicamente. Si badi bene non si trascura il valore e la forza politica delle camicie verdi. Al contrario! Quelle brune di Adolfo e le nere di Benito stanno lì a testimoniare la pericolosità di coloro che indossano solo camicie! Se invece il decentramento nella testa di Tremonti ed in quella della Lega quando è“sobria” ha come obiettivo quello di ridurre la distanza fra i centri di spesa e quelli del “drenaggio fiscale”, allora essa può aiutarci nel favorire la nascita di una classe dirigente e politica maggiormente responsabile. Una seconda leva è quella di far variare direzione agli investimenti facendo puntare la bussola verso Sud. Ma di quali investimenti c’è bisogno?. Sostanzialmente la carta vincente è quella di promuovere incentivi territoriali ed a-selettivi che rendono appetibile e favorevole pilotare investimenti al Sud senza la mediazione della classe politica. Realizzazione di infrastrutture, agevolazioni fiscali e del credito, puntare sul patrimonio immateriale e sulle reti del sapere sono tutte carte che hanno funzionato altrove e stranamente mai applicate al Sud. Ultimo ma non ultimo la scarsa qualità della classe politica meridionale voluta dai Savoia, sul quale ha costruito le sue fortune il dominio piemontese e sulla quale ebbe buon gioco il trasformismo Giolittiano. Ancora oggi esso rappresenta un freno per lo sviluppo del Sud. Le soluzioni per cambiarla sono tantissime –una possibile è quello del decentramento di cui si parlava prima-; ma tutte convergono ed esigono che il popolo torni realmente a riappropriarsi della sfera politica e riscopra il suo vitale protagonismo.
Francesco Vespe