Quanto è accaduto nel carcere di Matera con l’agente ustionato da olio bollente lanciato da un detenuto, proprio come la dolorosa vicenda del barbaro assassinio del carabiniere Mario Cerciello Rega riapre un’antica ferita mai rimarginata: come si possono difendere i lavoratori che hanno il compito di garantire la sicurezza dei cittadini? E’ l’interrogativo del segretario generale del Sindacato Penitenziari Aldo Di Giacomo. Purtroppo – aggiunge – il personale di Polizia Penitenziaria è diventato ostaggio della “guerra di posizione” tra i firmatari del contratto di programma del Governo M5S-Lega che, non a caso, non dice assolutamente nulla sul carcere. Di Giacomo riferisce della bocciatura di un emendamento presentato dal DAP (Dipartimento Amministrazione Penitenziaria) al decreto sicurezza bis, che raccogliendo le forti e ripetute sollecitazioni del S.PP., prevede tra l’altro, la perdita di benefici per i detenuti autori di aggressioni al personale penitenziario e l’inasprimento di pene nel caso di rinvenimento in cella di telefono cellulare, con pene da infliggere anche ai familiari del detenuto. Un emendamento che è il risultato del nostro impegno assunto in tanti anni con sit-in, tour nelle carceri, manifestazioni per smuovere ritardi ed inadempienze, campagne di informazione e che quindi aveva alimentato attese ed aspettative andate deluse. È il caso di ricordare che gli “eventi critici” vale a dire aggressioni al personale di Polizia Penitenziaria, intimidazioni, atti di violenza tra detenuti hanno avuto un incremento del 700% e ogni giorno 12 poliziotti in media sono costretti a ricorrere alle cure di sanitari. Purtroppo il nuovo sistema carcerario che dà più fiducia ai detenuti con il cosiddetto sistema “celle aperte” si è rilevato un meccanismo di aggravamento dell’emergenza sicurezza dentro e fuori del carcere che si registra da anni nel Paese. Siamo stanchi di contare il numero di aggressioni di uomini e donne della polizia penitenziaria all’interno degli istituti di pena che sono in buona parte in mano ai detenuti. Quanto ai telefonini, secondo i dati più aggiornati al 2017, è di 937 il numero totale di cellulari e sim ritrovati nei 190 istituti italiani. Quasi due per ogni carcere. Con un aumento del 58,22 per cento rispetto al 2016 (quando i cellulari e/o sim rinvenuti furono 426). Numeri che purtroppo non indicano fedelmente la situazione. Questo significa – aggiunge – che per i capi delle organizzazioni criminali è una consuetudine diffusa impartire ordini con i telefonini. Siamo di fronte all’ennesima situazione di totale insicurezza degli istituti penitenziari italiani che continuiamo a denunciare da tempo e che è il risultato dell’assenza di iniziative efficaci. Piuttosto che disquisire se allungare il tempo di colloqui telefonici consentiti ai detenuti è necessario concentrare ogni sforzo su come accrescere la sorveglianza soprattutto dei boss sottoposti al 41 bis e scongiurare il continuo invio di “pizzini” dalle celle, con e senza telefonini, per gli affiliati in libertà. Ma la situazione di emergenza del sistema penitenziario italiano evidenzia un’attenzione esclusiva per le condizioni dei detenuti e non certo per chi lavora in carcere. Si pensi che nel decreto sicurezza bis c’è persino spazio per interventi in ambito sportivo; il decreto prevede un deciso allargamento del Daspo: il divieto di accesso alle manifestazioni sportive si estende a chi è denunciato o condannato per rissa. Tutto ciò senza alcun provvedimento di tutela del personale penitenziario costretto a reagire a mani nude di fronte alle continue aggressioni, rivolte, tentativi di fuga, liti tra clan e gruppi etnici stranieri, tanto più – continua – che sono sempre più numerosi gli episodi di tentativi di introduzione in carcere di oggetti contundenti se non proprio di armi improprie.
Non siamo più disponibili a fare gli ostaggi e pertanto chiediamo ai partiti di Governo di farsi la guerra altrove e alla politica di abbandonare l’atteggiamento dello “struzzo”.
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Si pensi che nel decreto sicurezza bis c’è persino spazio per interventi in ambito sportivo; il decreto prevede un deciso allargamento del Daspo: il divieto di accesso alle manifestazioni sportive si estende a chi è denunciato o condannato per rissa. Tutto ciò senza alcun provvedimento di tutela del personale penitenziario costretto a reagire a mani nude di fronte alle continue aggressioni, rivolte, tentativi di fuga, liti tra clan e gruppi etnici stranieri, tanto più – continua – che sono sempre più numerosi gli episodi di tentativi di introduzione in carcere di oggetti contundenti se non proprio di armi improprie.
Non siamo più disponibili a fare gli ostaggi e pertanto chiediamo ai partiti di Governo di farsi la guerra altrove e alla politica di abbandonare l’atteggiamento dello “struzzo”.