Basilio Gavazzeni ha inviato una nota alla nostra redazione che riportiamo di seguito.
La chiaroveggenza del Direttore
Caro Direttore di SassiLive, ti ringrazio di aver rifiutato l’articolo che ti ho inviato la settimana scorsa. Nonostante vi fossero ragioni per riflettere sul problema che ponevo, v’erano due punti deboli. Prima di tutto il mio intervento giungeva fuori tempo, a cose già decise. In secondo luogo, avendo aderito a una cordata concorrente, per quanto in maniera tangenziale, poteva sembrare che nutrissi interessi che non ho. Lode alla tua chiaroveggenza e al tuo mestiere. Lasciami, tuttavia, esprimere il desiderio che Matera non si adagi nel cliché della città inorgoglita dalla raggiunta notorietà, ma, come gli storici raccontano di Atene sotto il governo di Pericle, o come Giovanni descrive la Gerusalemme celeste nel libro dell’«Apocalisse», sia qualche volta la Città.
Fuga e ritorno di figlio
A François Cheng, cinese in esilio, «poète français», membro dell’ «Académie», più che nonagenario, le Éditions Albin Michel hanno pubblicato «Une longue route pour m’unir au chant français», il libro della sua vita. Sulla fascetta che lo cinge, la foto a mezzo busto dello scrittore: un volto sensibile, capelli e alti sopraccigli appena sfiorati dalla cenere. Della giovinezza Cheng narra che nel 1947 fuggì di casa. Allora la Cina era a soqquadro. Per mesi i genitori non ricevettero sue notizie. Il diciottenne in fuga si curò solo di sopravvivere giorno per giorno, raggiunse Hong Kong e affrontò per la prima volta la brutalità e la sordidezza della vita. Quando smagrito e malato si ripresentò a casa, i genitori lo accolsero con sorprendente semplicità, senza un rimprovero. Settant’anni, dopo al culmine della gloria e dei giorni, lo scrittore si rifà a quell’episodio in una poesia rivolta a Dio. Da tanto tempo, in condizioni strazianti, i genitori hanno lasciato il mondo. Il figlio confessa di aver ricevuto tutto da loro contraccambiandoli solo con preoccupazioni irrimediabili. Da figliol prodigo così prega: «Mi alzerò e verrò da Te […]/Verrò da Te, sicuro di ritrovarti,/Perché non dimentico affatto una scena di tanto tempo fa:/Dopo una lunga fuga, tornai a casa,/L’ombra materna si voltò, disse: /”Eccoti!”, io risposi: ”Eccomi!”/ E mi sciolsi in lacrime.»
Rimedio per molti
Come facciamo a non accorgerci che perennemente dobbiamo percorrere le vie della riconciliazione con Dio? Un’omelia di san Giovanni Crisostomo, cioè Boccadoro, proposta qualche tempo fa nell’Ufficio delle Letture dalla «Liturgia delle Ore», ne elencava cinque: 1. la confessione e la condanna delle nostre colpe; 2. il perdono a coloro che ci hanno offeso come il Padre nostro perdona anche a noi; 3. la preghiera ben fatta che proviene dal cuore; 4. l’esercizio dell’elemosina, fosse pure di un nonnulla come quella della piccola vedovella al Tesoro del Tempio; 5. l’umiltà, come quella del pubblicano in preghiera in fondo al Tempio. Così suggerisce il Boccadoro. Sono rimedi che guariscono le inevitabili ferite dell’esistenza, ci rendono degni dell’Eucaristia e ci sostengono nel cammino verso il traguardo estremo. È terapia che potrebbe essere adottata proficuamente anche dagli spiriti laici in sofferenza, per trovare pace, per evitare il restringimento dell’essere e l’insensata castrazione della vita.
Libero arbitrio e necessità
Quando ci gonfiamo nell’esaltazione del cosiddetto libero arbitrio, dimentichiamo che in realtà siamo stretti dal cerchio, anzi dai cerchi d’acciaio della necessità. Per esempio possiamo soggiacere a determinismi psicologici. Quelli che sentiamo richiamare da avvocati alle prese con protagonisti di vicende abiette. Ma già quando nasciamo riportiamo l’impronta di una cultura che non dipende in nulla dal nostro volere. Ancora: la libertà di scelta è sempre circoscritta dagli altri che Jean-Paul Sartre nel dramma «Huis-clos» marchia con la battuta: «L’Enfer, c’est les autres.» Poi l’economia e la politica insieme ci trattengono dentro le recinzioni delle loro regole. E, ora, la fittissima ragnatela degli strumenti del comunicare. Sembrano piuttosto strumenti del controllare, sono «ladri di attenzione» ma anche «ladri di decisione». Dotati di algoritmi, intercettano e condizionano ogni nostro movimento, ogni nostro fiato. Bisogna riconoscere che le forme della necessità sovrastano le nostre responsabilità individuali e collettive. Chi libererà il libero arbitrio dal giogo della necessità, quale alchimia lo trasmuterà in libertà libertà?
Centenario di Italo Calvino
Ricorre il centenario della nascita di Italo Calvino. Ecco per i lettori più fini alcune sue parole. Da «La giornata di uno scrutatore»: «L’umano arriva dove arriva l’amore; non ha confini se non quelli che gli diamo.»; «Anche l’ultima città dell’imperfezione ha la sua ora perfetta […], l’ora, l’attimo, in cui in ogni città c’è la Città.» Da «Le città invisibili»: «Cercare e sapere riconoscere chi e cosa, in mezzo all’inferno, non è inferno, e farlo durare e dargli spazio.» Italo Calvino ha definito il suo lavoro «una sottrazione di peso». Per lui la scrittura è stata «ricerca di un’espressione necessaria, unica, densa, concisa, memorabile» (cfr «Lezioni americane»). Lui pensa alle «Operette morali» di Leopardi. Si può pensare che nelle sue pagine di agnostico sia penetrato felicemente anche il Verbo per eccellenza.