Un uomo “lucido” e “freddo”, capace di raccontare gli eventi “senza scomporsi, senza un’emozione, senza un minimo di resipiscenza”. Le “sue parole avevano come fine ultimo quello di evidenziare che Sonia ‘se l’era cercata’…non doveva lavorare e non doveva uscire senza di lui e soprattutto non doveva permettersi di rifarsi una vita con un altro uomo”.
Sono alcuni passaggi che compaiono nell’ordinanza con cui il gip di Lecce, Giulia Proto, ieri ha convalidato il fermo disponendo la custodia cautelare in carcere di Salvatore Carfora, il trentanovenne di Torre Annunziata reo confesso dell’omicidio di Sonia Di Maggio, la sua ex fidanzata, uccisa a coltellate lo scorso lunedì sera a Specchia Gallone, frazione di Minervino, in Salento.
Dalle nove pagine del provvedimento, emerge che la loro relazione era basata su “un amore malato”. Il trentanovenne, nell’ordinanza, viene descritto come “un abile mistificatore”.
Per conoscere Sonia e nascondere i suoi guai con la giustizia aveva usato un altro nome, Alessandro. Era stata la stessa ragazza, dopo alcuni mesi, a scoprire la sua vera identità, rovistando in un borsello. Per il gip, se Carfora fosse rimasto in libertà avrebbe potuto uccidere colui che gli aveva portato via quell’amore malato. Inoltre, dal provvedimento emerge che il 39enne picchiava Sonia che aveva una cicatrice sul volto, segno delle violenze subite.