Il Gip di Potenza ha fissato l’udienza per discutere sull’opposizione presentata dai familiari di Francesco Carone, il quarantacinquenne di Bari, vittima di un lancio col paracadute, alla richiesta di archiviazione del Pm.
Si deciderà lunedì 14 gennaio, nell’udienza in camera di consiglio avanti il Gip del Tribunale di Potenza, dott. Antonello Amodeo, dalle 9.30, il destino del procedimento penale per la tragica morte del parà Francesco Carone, il 45enne di Bari deceduto il 4 agosto 2019 nell’avio-superficie “Falcone” di Gaudiano di Lavello (Pz), al culmine di un drammatico lancio dall’aereo a causa della parziale e mancata apertura dei paracadute.
Per quel terribile incidente la Procura potentina, tramite il Pubblico Ministero, dott.ssa Maria Cristina Gargiulo, ha iscritto nel registro degli indagati tre persone con l’ipotesi di reato di omicidio colposo in concorso: A. G., 49 anni, di Filottrano (Ancona), fondatore e direttore della scuola di paracadutismo dell’Associazione Fly Zone frequentata dalla vittima e che aveva organizzato l’attività a Lavello, nonché istruttore e pilota del velivolo Cesna da cui si effettuavano i lanci; P. T., 45 anni, di Bisceglie, quel giorno “direttore di lancio”; D. V., 43 anni, di Grottazzolina (Fermo), l’istruttore del corso tenutosi nella stessa avio-superficie dal 13 al 16 giugno 2019, neanche due mesi prima, che aveva rilasciato il brevetto a Carone. Il Sostituto Procuratore, tuttavia, al termine delle indagini preliminari, ha richiesto l’archiviazione del procedimento: una richiesta basatasi sulle conclusioni della consulenza tecnica affidata a Gianluca Gaini, istruttore e direttore di scuola di paracadutismo e di lancio e Presidente della sezione di Firenze dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia.
In buona sostanza il consulente tecnico, che ha potuto analizzare anche alcuni video che riprendono le drammatiche fasi della caduta al suolo, ha ascritto l’incidente unicamente ad una concatenazione di errori umani da parte di Carone, che era sì un paracadutista di lungo corso (era stato parà della Folgore ed era tesserato con la sezione di Barletta dell’Associazione Nazionale Paracadutisti d’Italia), ma che si era avvicinato solo di recente alla “specialità” della cosiddetta “ala vincolata”, che prevede lanci da 1.500 metri con apertura automatica del paracadute tramite una fune di vincolo collegata all’aereo: aveva appunto seguito il corso ad hoc tenutosi a giugno e il lancio del 4 agosto faceva parte dell’addestramento. Il quarantacinquenne, in particolare, a causa di una errata uscita dal Cesna, si è ritrovato con una delle funi del fascio, quella collegata al comando di sinistra, prima impigliata a una caviglia e poi attorcigliata al corpo, il che ha impedito la completa apertura della vela del dispositivo. Carone allora, dopo disperati tentativi di districarsi, ha sganciato il paracadute azionando quello di riserva, che tuttavia non si è aperto perché la velatura di quello principale è rimasta legata alla fune impigliata bloccando anche il dispositivo di emergenza. Il Ct non ha dunque ravvisato responsabilità in capo a terzi.
Una conclusione per nulla condivisa dai familiari della vittima, che ha lasciato la moglie, la madre e la sorella le quali, per essere assistite, attraverso il responsabile della sede di Bari Sabino Da Banedictis, si sono affidate a Studio3A-Valore S.p.A., società specializzata a livello nazionale nel risarcimento danni e nella tutela dei diritti dei cittadini. Studio3A ha a sua volta incaricato un esperto, l’ing. Pietro Pallotti, di esaminare la dinamica dei fatti, e le sue valutazioni sono risultate diametralmente opposte, in primis per quel che concerne la formazione, ossia sull’idoneità del corso seguito da Carone a preparare adeguatamente gli allievi all’attività lancistica. L’uscita non consona dell’aereo, che ha innescato “l’intreccio funicolare fatale”, circostanza confermata da tutti, è solo l’ultimo elemento di una serie di “spie” che avrebbero dovuto mettere in allarme i suoi istruttori: anche il giorno precedente, il 3 agosto, in occasione del suo penultimo lancio, Carone non aveva seguito la corretta procedura, e anche in uno dei lanci effettuati durante il corso di giugno il paracadute gli si era aggrovigliato improvvisamente, anche se allora era riuscito a liberarsi. Eppure Carone era stato ritenuto pronto al lancio già dopo il secondo giorno di corso, il 14 giugno, da quanto emerge dal libretto di attestazione dell’addestramento propedeutico ai lanci della scuola Fly Zone, anche se il questionario di fine corso, altra circostanza sospetta, non risulta firmato dall’esaminatore. Così come, per converso, nel prospetto del corso relativo alla parte teorica, proprio sulla sezione relativa alla posizione di uscita dell’aereo, figura la sola firma dell’istruttore e non quella dell’allievo. Ma anche a voler tralasciare queste “omissioni documentali”, doveva essere evidente che la sua preparazione era ancora lacunosa e che non gli si sarebbe dovuto consentire di lanciarsi.
Considerazioni diffusamente illustrate nell’atto di opposizione alla richiesta di archiviazione presentato per conto dei familiari della vittima al Giudice per le Indagini preliminari, che le ha ritenute meritevoli di discussione e approfondimento fissando per l’appunto l’udienza in camera di consiglio del 14 gennaio. Nella quale il Gip deciderà se archiviare definitivamente il fascicolo o se accordare e disporre il supplemento d’indagine richiesto nell’opposizione circa l’adeguatezza delle pratiche di insegnamento, la verifica della ritualità dell’esito favorevole del corso e del rilascio del brevetto e delle responsabilità di tutti i soggetti coinvolti in tali pratiche, e la valutazione della condotta tenuta dai soggetti che potevano intervenire per impedire a Carone il lancio fatale.