Accusati di “reiterati episodi di violenza, minaccia e resistenza a pubblico ufficiale” all’interno del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Palazzo San Gervasio, due cittadini extracomunitari sono stati arrestati due giorni fa dalla Polizia. Ad annunciarlo in mattinata la Questura di Potenza.
I due extracomunitari, un cittadino di El Salvador di 35 anni e un cittadino marocchino di 26 anni, in segno di protesta, lo scorso 8 agosto sono saliti sui tetti dei moduli abitativi del Centro, danneggiando la copertura degli stessi tetti e una telecamera, spostando i fari verso l’alto lasciando quindi al buio il piazzale del Cpr e minacciando di morte i poliziotti e i dipendenti della ditta che gestisce il Centro.
Proteste e violenza nel Centro di permanenza per il rimpatrio di Palazzo San Gervasio, Aldo Di Giacomo (SPP): nuovi arresti nel Cpr di Palazzo San Gervasio confermano gravità nostra denuncia”.
“L’arresto all’interno del Centro di permanenza per il rimpatrio (Cpr) di Palazzo San Gervasio di due extracomunitari che fa seguito a quello dell’11 luglio scorso del terrorista macedone, nel recente passato ospitato sempre al CPR di Palazzo, conferma la fondatezza e la gravità della nostra denuncia sulla situazione di emergenza che si registra in questo come in altri Centri che sono presenti sul territorio nazionale”.
A sostenerlo è Aldo Di Giacomo, segretario generale del S.PP. (Sindacato Polizia Penitenziaria), per il quale i due arrestati, tra i quali un cittadino marocchino, sono accusati di aver minacciato di morte i poliziotti e il personale addetto ai servizi destando ulteriore preoccupazione per le condizioni sempre più difficili di lavoro del personale tutto. E tra l’altro è proprio sul comportamento del marocchino che si concentra l’allarme che abbiamo lanciato in merito al rischio “radicalizzazione islamica” e pertanto terrorismo che incombe nei CPR come nelle carceri italiane.
Ad oggi negli istituti penitenziari italiani ci sono tra i 10 e i 15 mila detenuti islamici, mentre il numero degli ospiti provenienti dai Paesi di fede islamica nei CPR è di gran lunga superiore e va costantemente aggiornato.
Secondo i dati più aggiornati i detenuti sui quali si concentrano timori di radicalizzazione sarebbero circa 500 suddivisi in tre categorie: ”segnalati”, ”attenzionati” e ”monitorati” . Una cinquantina le persone sono incarcerate con l’accusa di terrorismo internazionale nelle sezioni di alta sicurezza loro riservate (Rossano, Sassari e Nuoro). Per gli altri, che sono ritenuti soggetti a rischio, vengono condotte attività di monitoraggio che puntano a rilevare atteggiamenti di sfida verso le autorità, rifiuto di condividere gli spazi con detenuti di altre fedi religiose, segni di gioia di fronte a catastrofi o attentati in Occidente, esposizione di simboli legati al jihad.
Gli ultimi dati forniti dal Ministero alla Giustizia con il precedente Ministro Orlando – sottolinea Di Giacomo – sono sicuramente superati da una situazione in forte evoluzione per il continuo e costante ingresso di cittadini extracomunitari di fede islamica (e non) nei nostri istituti penitenziari. Ma se è assolutamente chiaro chi sono i terroristi, in quanto sono in carcere perché imputati o arrestati per una specifica fattispecie di reato, non è così chiara la costruzione delle altre tre categorie entro cui sono collocati i detenuti ritenuti ‘radicalizzati’.
Per questo è indispensabile sviluppare nei CPR e nelle carceri programmi mirati alla formazione di personale che sappia individuare i processi di radicalizzazione per aiutarli a distinguere la pratica religiosa, o il riferimento a una particolare concezione dell’islam, dai possibili indicatori di radicalizzazione.
Altra nostra richiesta è quella di rafforzare il personale di polizia penitenziaria specie negli istituti dove il numero di detenuti extracomunitari ed islamici è più alto e dove si continuano a verificare episodi di aggressione al personale.
Ovviamente – conclude – non rinunciamo alla sollecitazione rivolta al Governo a chiudere tutti i CPR attraverso l’immediata espulsione dall’Italia di tutti gli extracomunitari sospettati di crimini compiuti nei Paesi d’origine e che potrebbero commetterne da noi.