Riportiamo di seguto la meditazione dell’Arcivescovo Monsignor Pino Caiazzo della Diocesi di Matera-Irsina per la Quarta Domenica di Quaresima
Si sperimenta la nostalgia di casa quando, per un motivo o per un altro, per decisione personale o se costretti dagli eventi, ci si trova lontano.
L’ho sperimentata anch’io in una situazione che mi ha fatto comprendere cosa significhi vivere lontano dalla propria terra. Ero partito per gli Stati Uniti e il Canada con una cinquantina di giovani per presentare un musical ai nostri emigrati. Un giorno andammo a pranzare in un ristorante vicino alle cascate del Niagara. Ci raggiunse una coppia del mio paese natio. Erano felici perché respiravano aria di casa: sembravano avvolti da una luce intensa che trasmetteva una gioia incontenibile. Parlammo di tutto: erano desiderosi di sapere notizie della nostra comunità. Quando giunse l’ora dei saluti, il loro volto si oscurò, la tristezza prese il posto della gioia, le guance si bagnarono di lacrime. Mi abbracciarono forte e la donna si allontanò singhiozzando.
Scene come queste si ripetono. La nostalgia dei propri luoghi, affetti, del comunicare nel proprio dialetto, del profumo di casa come il profumo del pane, si avverte in certi momenti, soprattutto quando si vive una situazione di solitudine.
Nel brano del vangelo di questa quarta Domenica di Quaresima ci troviamo di fronte a persone adulte: un padre e due figli. I giovani fratelli hanno ricevuto gli stessi insegnamenti e sono cresciuti tra gli stessi profumi, gustando i medesimi sapori. Hanno respirato la stessa aria e condiviso lo stesso amore paterno.
L’amore del padre verso il figlio più giovane è messo a dura prova nel momento in cui questi gli chiede di lasciarlo andare libero perché viva la sua vita. Ma il padre non smette di amarlo e riversa su di lui l’amore di sempre. Il figlio gli chiede molto, non ciò che gli potrebbe servire per vivere decentemente, ma tutto ciò che gli spetta: la metà dei beni: il padre accetta.
Il figlio maggiore sembrerebbe quello più bravo, perché obbediente. In realtà è opportunista. Approfitta dell’assenza del fratello per riempire con la sua presenza gli spazi di vita che appartenevano a colui che verrà chiamato “prodigo”. Si sente padrone assoluto ed erede di tutto. Tra le mura di casa, tra i beni, solo suoi, da cui è circondato, non coglie la vera gioia perché non apprezza la vicinanza del padre, il suo affetto, il suo amore. Tutto è scontato. È in casa ma è come se non ci fosse. Possiede ma non sa godere. Condivide ma solo con chi gli può dare altrettanto.
Eppure in quella casa circola più di prima l’amore perché c’è un padre che vive l’attesa del ritorno del figlio minore. Colui che sembra il figlio più bravo, non riesce a condividere il forte desiderio d’amore del padre. Per lui sono importanti i capretti allo spiedo e le feste da vivere con gli amici. Non coglie e non sente nel suo animo la nostalgia di quel vuoto che ha lasciato il fratello più piccolo. Sta bene senza di lui. Il ritorno a casa del fratello minore lo indigna e non coglie la supplica del padre perché si unisca a loro a godere dell’armonia riconquistata per il fratello ritrovato, animo ferito e ora finalmente sanato e a respirare l’alito di vita nuova che riempie la casa.
Mi sono soffermato principalmente sul fratello maggiore che di solito viene preso poco in considerazione per dare una lettura più ampia della nostalgia di casa che diventa nostalgia di Dio.
Il padre è Dio Padre. I due figli siamo noi con le nostre manie, i nostri progetti e i desideri. Figli capaci di dividersi, allontanandosi fisicamente e spiritualmente.
Ciò che la parabola ci insegna si può così sintetizzare: non si può fare a meno del Padre, di Dio. Non si può fare a meno della casa, la Chiesa. Non possiamo pensare di parlare a nome di Dio e gestire gli spazi della Chiesa solo perché preghiamo con le labbra ma non abbiamo la conversione dei cuori. La Chiesa non è nostra proprietà.
Ciò che siamo chiamati a desiderare, sia che siamo prodighi che ritornano o zelanti capricciosi, è di stare accanto al Padre per sentire il calore del suo amore, la gioia del perdono, il respiro del divino. Solo con questo anelito, decolliamo come su ali d’aquila verso spazi infiniti, oltre le cime più alte, navigando, senza paura, oceani in tempesta e planando tra astri pieni di luce che indicano l’unico sole che sorge: Gesù Cristo, colui che illumina ogni vita.
La misericordia di Dio Padre si coglie, ancor prima che nell’abbraccio, nella forza dirompente del correre incontro al giovane figlio che da lontano vede ritornare pieno di paura. Con la stessa forza e lo stesso amore di Padre rincorre il figlio più grande che vede allontanarsi, pieno di sdegno, per l’accoglienza festosa del fratello.
† Don Pino