Riceviamo e pubblichiamo le riflessioni di Pierluigi Diso sullo sciopero proclamato dagli avvocati penalisti dal 24 al 26 maggio 2016.
Lo sciopero indetto dalle Camere Penali italiane per la prossima settimana non può non indurre una seria riflessione nei cittadini, ma soprattutto negli operatori del diritto.
Il conflitto aperto dalla magistratura associata nei confronti della politica deve far riflettere. Non può abolirsi la tripartizione dei poteri sulla quale si basa il nostro sistema democratico. Tale logica di supremazia è ormai superata e non può mettere radici proprio in un momento di transizione politica quale è quello che il Paese sta attraversando con le riforme che questo Governo vuole porre in atto per rendere la politica e l’amministrazione pubblica più snella e più europea.
Renzi non ha replicato alla magistratura, chiedendole solo di fare il suo dovere, cioè le sentenze, ma il Governo deve ascoltare anche gli altri operatori di giustizia, gli avvocati.
Occorre oggi ridefinire il ruolo del giudice e del processo e di chi nel processo è parte attiva, evitando che si perdano di vista le garanzie e il principio di legalità.
La politica deve quindi ribadire con forza, in questo delicatissimo momento di transizione, non solo la propria indipendenza dalla magistratura e da ogni forma di possibile condizionamento da parte di quest’ultima, ma con autorevolezza ed autonomia non deve ascoltare né il banale populismo né le risoluzioni semplicistiche e forse solo strumentali dei problemi del processo penale.
Se riforma del sistema penale deve esserci questa deve essere condivisa con tutti gli operatori di giustizia e la politica deve rispettare il ruolo di chi difende e di chi deve essere terzo nel giusto processo.
Se il Governo vuole riformare il processo penale allungando il periodo di prescrizione e consentendo così a pochi giudici di poter lavorare serenamente, l’avvocatura penale non può continuare a tacere e deve far sentire la sua voce.
Gli emendamenti governativi in discussione nascondo una migliore garanzia difensiva, attraverso un intervento di decretazioni d’urgenza specie per i reati contro la pubblica amministrazione; prevedono nuove norme in materia di intercettazioni; nonché l’allungamento dei termini prescrizionali. Soprattutto su questo tema vorrei attirare un attimo l’attenzione del lettore, specie dei non professionisti della giustizia.
Il problema della prescrizione non è certo un problema dell’avvocato, né dell’imputato, ma è da addebitarsi a carenze organizzative. Il Governo non può percorrere la strada di una prescrizione più lunga e contemporaneamente di un processo più breve: i due termini si negano a vicenda e né l’uno né l’altro risolveranno mai il problema dei processi in Italia.
Il cittadino per primo e poi gli operatori della giustizia, prima che il Parlamento e il Governo, devono chiedersi quali sono i veri problemi del processo, senza addossare sic et simpliciter responsabilità nei ritardi e nelle inefficienze della macchina giudiziaria italiana, anche se i tempi del processo non li detta certo l’avvocato.
Anche in materia di intercettazioni, oggi in discussione, bisogna fare attenzione affinché la legge delega garantisca effettivamente le prerogative della funzione difensiva. In un Paese democratico non devono essere sacrificati i diritti dei cittadini per una maggiore efficienza repressiva.
Mag 21