Il Vice Ministro di Montescaglioso, Filippo Bubbico, è stato condannato dalla Corte dei Conti a risarcire alla Regione Basilicata la somma di 4.500 euro e a pagare 897 euro di spese di giudizio per una consulenza affidata all’avvocato Paolo Abano di 23.869 euro ritenuta superflua. I fatti risalgono all’epoca in cui Bubbico era presidente del Consiglio regionale di Basilicata. Per la stessa vicenda, sul piano penale, era stato assolto nel dicembre dal Tribunale “perché il fatto non sussiste”. Ricordiamo che la stessa vicenda il 27 ottobre 2014 la Corte dei Conti aveva condannato a risarcire 4.500 euro ciascuno in favore della Regione Basilicata gli altri componenti dell’ufficio di presidenza del Consiglio: Rosa Mastrosimone, Egidio Digilio, Giacomo Nardiello e Antonio Flovilla e in un altro rinvio a giudizio era stato condannato per altri 4.500 euro l’ex dirigente generale del Consiglio, Francesco Ricciardi.
La condanna, chiesta dal sostituto procuratore Ernesto Gargano, è intervenuta per l’adozione della delibera n. 248 del 20/12/2005, con la quale si disponeva di affidare ad un soggetto esterno alla Regione, appunto l’avvocato Paolo Albano, l’incarico di redigere un progetto di organizzazione del Consiglio regionale per una spesa di 23.869 euro.
Le norme all’epoca vigenti prevedevano che incarichi esterni potessero essere affidati solo “per esigenze cui non possono far fronte con personale in servizio” e che l’affidamento di «consulenze a soggetti estranei all’amministrazione in materie e per oggetti rientranti nelle competenze della struttura burocratica dell’ente, deve essere adeguatamente motivato”. Di contro, per i giudici, la delibera contestata “appare sorretta da motivazione meramente tautologica (ossia limitata ad asserire il bisogno stesso, ndr) ed apparente, quando afferma: “Rilevata l’assenza di strutture organizzative e professionali interne in grado di assicurare, data la complessità, peculiarità e novità della materia, lo sviluppo del nuovo progetto organizzativo del Consiglio Regionale”».
E anche il fatto che in precedenza fosse stato dato un termine di 10 giorni ai dirigenti interni al fine di formulare proposte sulla materia in questione (e che uno solo rispose) per la corte non è sufficiente a dimostrare l’indisponibilità di personale interno: “La mera inerzia dei Dirigenti – si legge in sentenza – seguita all’invito a formulare proposte, non può essere intesa come accertata impossibilità di provvedere con risorse interne, anche perché lo svolgimento di un importante compito istituzionale (l’organizzazione degli uffici demandata alla struttura burocratica dalle norme innanzi richiamate) non poteva essere lasciata all’adesione “volontaria” dei Dirigenti, ai quali era stato anche fissato un tempo palesemente breve”.