7° Congresso CGIL MATERA – 10 MARZO 2010
RELAZIONE di Manuela Taratufolo
Fare una relazione dopo queste suggestive immagini è un po’ complicato per l’emozione che ci hanno suscitato, ma, proprio per questo abbiamo deciso di iniziare questo 7° congresso con la visione di queste foto.
Queste immagini ci emozionano perché ci rappresentano; rappresentano quello che abbiamo fatto e quello che facciamo a favore dei lavoratori dipendenti e dei pensionati, dei precari e di chi ha un’ occupazione stabile, e quale sia la nostra missione e funzione.
Noi, gruppo dirigente della più grande e rappresentativa organizzazione sociale, non abbiamo poteri ma solo una funzione da svolgere nell’interesse dei più deboli, di chi non è ascoltato, di chi non è visto perché volutamente ignorato, di chi è ultimo, di quelle PERSONE che oggi si mira a svilire e umiliare, ma che noi con sempre più tenacia intendiamo difendere: lavoratori, pensionati, giovani, precari, cassintegrati, disoccupati.
Il congresso della CGIL per noi deve essere questo: una fase necessaria della vita della nostra organizzazione in cui si fa il punto di cosa si è fatto negli ultimi quattro anni e di cosa è necessario continuare a fare.
Ecco, per me, e per il gruppo dirigente della provincia di Matera, la parola d’ordine di questo congresso è “continuità e coerenza” rispetto alle scelte finora fatte e praticate; è dare seguito alle battaglie messe in campo; è non rinnegare tutte le proteste avviate in difesa dei diritti.
In una fase così delicata, non erano necessari due documenti, peraltro globalmente alternativi.
In un momento così difficile, così complicato per la nostra economia e per la gente che rappresentiamo, avere, a tutti costi, due documenti è stato un errore politico che i lavoratori e i pensionati, nelle nostre assemblee di base, ci hanno fatto rilevare poiché non ne hanno compreso e condiviso il senso e la necessità.
Personalmente, fino dall’avvio di questa fase congressuale, ho subito espresso la mia posizione rispetto alla inopportunità ad avere due documenti alternativi, né ho condiviso le affermazioni di quanti asserivano che due documenti avrebbero garantito il principio di democrazia.
Non sono certo due mozioni contrapposte a garantire un congresso democratico.
La democrazia è un valore centenario della nostra organizzazione, è il cuore della CGIL, e d’altronde non potrebbe essere diversamente, visto che la nostra organizzazione ha dato un forte contributo alla formazione della Carta Costituzionale, in un momento storico in cui il popolo italiano, duramente provato dalla II guerra mondiale, reagiva contro il fascismo e si accingeva a scegliere convintamente un sistema di governo fondato sul lavoro e sulla democrazia.
Democrazia intesa come partecipazione, come diritto a conoscere, a decidere, a codecidere, ad autodeterminare, a codeterminare.
Quella democrazia (demos – popolo kratos – potere) che nasce dal potere del popolo, che sceglie liberamente attraverso il voto; una libertà che di fatto viene quotidianamente messa in discussione da questo Governo Nazionale, e che la Cgil, testardamente, continua a difendere nella sua azione quotidiana e mette al centro nel suo congresso.
Presentarsi agli iscritti, con due documenti contrapposti, è stato un grave errore, commesso con un pizzico di egoismo e opportunismo: in un momento in cui c’è bisogno di una forte unità e coesione di tutta la CGIL, un’unità in grado di rassicurare la nostra gente sul ruolo che tutta la CGIL, tutte le sue strutture intendono continuare a svolgere a sostegno e difesa delle persone che rappresentiamo, per la società, per il mondo del lavoro, per i giovani, per gli anziani, la caparbietà, a non condividere di costruire un documento unico, in cui avrebbero trovato albergo tutte le sensibilità e i pluralismi, non ha portato quel valore aggiunto che gli aderenti al secondo documento si erano prefissati.
Anzi, il dibattito aspro interno che ne è conseguito, e che è ancora, purtroppo, in atto (poiché ci si ostina a non volere riconoscere la maggioranza dei voti a chi l’ha conseguita), svilisce chi lo pratica, ma soprattutto offende la nostra organizzazione e la sua secolare storia.
Non possiamo diventare notai o censori di noi stessi. Ciò non significa che dobbiamo essere autocelebrativi o autoreferenzialisti ma nemmeno fare passare che il problema, in questo momento di crisi storica e cronica del Paese, sia la CGIL e l’azione costante finora dispiegata.
Per questo, il senso di appartenenza a questa organizzazione nonché l’elevato senso di responsabilità che ciascuno di noi deve avere nello svolgimento del suo ruolo, dovevano indurre, chi poi però non lo ha fatto, ad evitare di accanirsi ad affermare che il problema siamo noi e l’azione finora dispiegata, ma fare emergere, con la discussione congressuale, che il problema si chiama crisi economica e finanziaria, si chiama crisi del lavoro e dei diritti; il problema è la negazione dell’inclusione sociale e della partecipazione; il problema è combattere le strategie di una destra che governa il Paese negando i diritti di ognuno e di cittadinanza offendendo la dignità delle persone; il problema è volere attentare all’azione di tutela e al ruolo negoziale del sindacato, indebolendolo; il problema è la mancanza di unità sindacale; il problema è il grande sfregio alla democrazia per gli accordi o i contratti sottoscritti senza la CGIL, ignorando il consenso o dissenso dei lavoratori.
Questi sono i problemi di cui la CGIL si è occupata sempre con grande coerenza e coraggio, misurandosi, quotidianamente, seppure con limiti e difficoltà.
In un’epoca in cui sono in crisi le maggiori organizzazioni di rappresentanza sociale, in particolar modo i partiti politici, di fronte al ritorno di una destra sfrontata e prepotente, la nostra organizzazione è stato l’unico soggetto organizzato che, con coerenza, ha continuato ad essere tra la gente comune per difenderla diventandone, un riferimento certo.
Non è un caso, se, proprio da quella gente, viene spesso proferita la frase “meno male che c’è la CGIL”.
Una frase che ci carica di grande responsabilità verso queste persone, deluse da tutti e tutto, che si aggrappa al sindacato come estrema ratio per fare valere le proprie ragioni o per rappresentare le proprie drammatiche necessità.
La nostra forza sta nel conferire, nell’infondere in quella gente la convinzione che non bisogna abbassare la guardia, che di fronte alle terribili e drammatiche difficoltà non bisogna rassegnarsi e arretrare ma rilanciare con coraggio e convinzione per fare prevalere la logica della legalità, dei diritti, delle tutele e non della indifferenza verso i bisogni e le istanze dei più deboli.
Non bisogna fare passare il sentimento dell’impotenza che provoca rassegnazione, quella rassegnazione di cui approfitta questo Governo per compiere scempi a danno dei lavoratori, dei pensionati, dei disoccupati senza prospettive.
Addebitare alla CGIL di non essere stata in grado di cambiare il mondo, significa colpire l’unica forza che, in questa epoca di decadimento di costumi e tutele, ha mantenuto la sua autonomia e che sta dando voce, da sola, ai tanti che subiscono soprusi e politiche liberiste nel nostro Paese.
Tale addebito è davvero ingeneroso.
Ripeto, questo non significa che dobbiamo autocelebrarci o difenderci, ma semplicemente riconoscere, convintamente, che non siamo noi il problema di questo Paese.
Siamo scesi in piazza e abbiamo organizzato manifestazioni tutte le volte, e non sono state poche, che questo irresponsabile Governo ha prodotto leggi e leggine contrarie ai lavoratori, contrarie alla Costituzione, contrarie ai principi di uguaglianza e giustizia.
Il 2008 lo abbiamo chiuso con uno sciopero generale contro le politiche superficiali e scellerate di questo Governo.
IL 2009 è stato, per noi, contrassegnato da una mobilitazione continua e straordinaria a cui ha fatto seguito la sfrontatezza del Governo a procedere, su tutto, a colpi di fiducia, snaturando anche il ruolo principe del Parlamento e licenziando provvedimenti ad personam per il Primo Ministro.
Nel guardare le nostre foto, abbiamo voluto ricordare alcuni di questi momenti: la CGIL di Matera, insieme a tutte le sue categorie e strutture, non ha mai fatto mancare il suo fattivo contributo partecipando alla lotta e alle manifestazioni per la libertà di stampa, contro il razzismo, per la difesa della scuola e dell’istruzione pubbliche (battaglie di grande civiltà), contro l’evasione fiscale, contro le mafie, contro l’illegalità, per l’assenza di politiche a favore del Mezzogiorno e di quel Sud dimenticato da questo Governo, per il diritto alla casa, per l’apprendimento permanente, per la non autosufficienza.
Tutte manifestazioni accomunate da un unico obiettivo: difendere, tutelare, rivendicare nell’interesse dei lavoratori tutti (pubblici e privati, cassintegrati e disoccupati, precari e atipici), dei pensionati, dei giovani, dei cittadini.
E nelle 234 assemblee di base tenutesi in occasione del nostro congresso, ai circa 7000 lavoratori e pensionati incontrati, abbiamo parlato il linguaggio proprio del sindacato: ascoltare, recepire istanze, farsene portatori, partecipare il loro disagio, i loro drammi.
In queste assemblee, quello che personalmente mi ha colpito e che non dimenticherò mai sono gli sguardi, le facce cariche di tensione e preoccupazione, la rabbia, l’incredulità a vivere le contraddizioni dell’economia odierna.
Il congresso è questo: stare tra la gente per confrontarsi, per consentire la partecipazione alle nostre rivendicazioni, per costruire insieme la nostra futura strategia.
E’ il mio primo congresso da segretaria generale, il mio terzo da attivista della CGIL.
Partecipare ad assemblee di diversi settori, a congressi di diverse categorie mi ha arricchito molto ma soprattutto mi ha fatto ancora meglio comprendere il valore della confederalità, un valore fondamentale per agire e fare sindacato, un valore necessario per assicurare tutele in un epoca in cui si mette in discussione tutto il diritto del lavoro.
Ho ancora meglio apprezzato i valori di uguaglianza, solidarietà, unità, partecipazione, su cui si fonda l’organizzazione di cui ho l’onore di fare parte.
Sono riuscita a cogliere, in maniera più piena e pregnante, quello che è il cuore della nostra CGIL, la confederalità, appunto: se dovessi assimilarla ad un organo del corpo umano, oserei dire che essa è l’organo che produce il sangue vitale per la nostra organizzazione.
Con questo congresso credo che dovremmo stabilire un paletto fermo, fisso e deciso: la confederalità NON SI TOCCA!
Va rafforzata, va sostenuta ma non smantellata.
La confederalità è un valore guida profondo della CGIL e che fonda l’identità della nostra centenaria organizzazione.
E’ democrazia della solidarietà e consiste nel sentirsi tutti, rappresentati e rappresentanti, dentro una cultura che lavora su quello che unisce e non su quello che divide in nome del valore del rispetto che si deve, in una categoria, in un territorio, ad una minoranza.
Questo concetto astratto si materializza nel momento in cui incontri gli sguardi dei lavoratori e dei pensionati.
Dagli sguardi ti viene quella forza a volere, costi quel che costi, dare risposte, organizzare battaglie , lotte per fargli riconoscere ciò che loro viene negato, per rivendicare con tenacia ciò che loro compete di diritto.
E ciò vale per tutti gli sguardi: quelli del bracciante o dell’edile, bruciati dal sole e la cui schiena è spaccata dal lavoro, quelli dell’interinale cronico della grande distribuzione, quelli del precario quindicennale della scuola e della pubblica amministrazione.
Sono quegli sguardi ad insegnarti cosa sia nei fatti la confederalità e quanto sia doveroso per te, nel ruolo confederale rivestito, agire per assicurare a tutti questi sguardi disperati, a cui vengono quotidianamente negate tutele e diritti, il riconoscimento di tutto ciò che loro spetta di diritto.
Le assemblee di base, i congressi di categoria e confederali hanno il compito di offrire a tutti i nostri delegati e iscritti una prospettiva intellettuale nella quale riconoscersi e ritrovarsi, una prospettiva che li veda tutti garantiti e proiettati verso tutele recuperate.
Oggi come ieri.
Le parole d’ordine di oggi sono lavoro e diritti, come lo erano ieri pane e libertà.
Con quelle due parole, quel grande cafone che fu Giuseppe Di Vittorio riuscì a tenere insieme le istanze dei braccianti del Sud con quelle degli operai del Nord, riuscì a determinare le basi per il superamento di quelle terribili gabbie salariali che legittimavano salari diversificati tra lavoratori dello stesso settore a seconda del territorio, ricco o povero, in cui essi prestavano la loro opera.
In quell’epoca, il salario dell’edile materano era molto più basso dell’edile milanese, l’edile o il bracciante meridionale aveva meno diritti.
L’unificazione dei salari arrivò con l’affermazione del CCNL e dello Statuto dei lavoratori che quest’anno compie 40 anni.
Nelle assemblee di base abbiamo rispolverato la memoria e il senso di riconoscenza verso chi ci ha preceduto e ci ha consegnato conquiste dal valore inestimabile rispetto alla tutela dei lavoratori.
Sarebbe utile che queste riflessioni le avviassimo coi giovani, in dibattiti pubblici, poiché in questa epoca moderna si sta cercando di smantellare da parte di un Governo poco garantista e molto accentratore, pilastri fondamentali del diritto del lavoro quali sono appunto il CCNL, lo Statuto dei lavoratori e, da ultimo, il processo del lavoro.
La crisi non ci deve distrarre e impedire di comprendere che questo Governo ha abbandonato i lavoratori e i pensionati, utilizzando la crisi per defilarsi dalle responsabilità di cui dovrebbe invece caricarsi.
E questo acuisce le disuguaglianze sociali, rende sempre più vano e vuoto lo stato sociale che non è più un sostegno per la gente.
Il libro Bianco, in effetti, abbatte la responsabilità sociale e afferma il Welfare del singolo, del fai da te “arrangiati se puoi, altrimenti sei solo un peso”.
Non possiamo assistere passivamente al degrado che si sta consumando.
Fanno paura i numeri della crisi, fanno paura le cifre in aumento di CIG e disoccupazione (307 mila posti di lavoro persi, 172 mila gli inattivi), fa paura il crollo del PIL, meno 5%, fa paura il numero delle aziende fallite, 9.225, fa paura il calo dei consumi e delle retribuzioni, fa paura la pressione fiscale al 43% e il debito – PIL al 115,8%.
Tutti numeri questi che sono la rappresentazione di un Paese, l’Italia, in ginocchio.
Nelle assemblee, la crisi non è data dai numeri; i grafici, le percentuali non interessano; per la nostra gente la crisi è il salario basso e le tasse alte, è il lavoro precario e frammentario, è la cassintegrazione che sta per scadere, è il non avere l’ammortizzatore sociale per il tipo di lavoro che si svolge e che si sta per perdere, è la pensione bassa non sufficiente a garantire il minimo di sopravvivenza e a combattere la solitudine della propria assistenza.
La crisi è questo:
è il dramma quotidiano dei nostri lavoratori e pensionati;
è la mortificazione di un padre cassintegrato che non ha più il coraggio di guardarsi allo specchio e di reggere lo sguardo dei propri figli a cui non può più garantire neanche il minimo della sopravvivenza;
è il dramma di un giovane lavoratore, figlio di cassintegrato, che pur auspicando in un futuro migliore per i propri figli rispetto a quello da lui già vissuto, subisce, oggi, i “corsi e ricorsi della storia” che si ripete: oggi è, anche lui, cassintegrato, padre, di figli che vivono questo disagio insieme a lui;
è il dramma di una maestra precaria che dopo 10 anni di pendolarismo e nomine annuali non viene stabilizzata ma mandata a casa;
è il dramma del cancelliere del tribunale che viene chiamato fannullone per il fatto che da solo sopperisce al lavoro da espletare per 4 magistrati anziché, come la regola vorrebbe, per un magistrato.
Di fronte a questo quadro disperato, la risposta del Governo è lo stallo, è l’indifferenza, è l’assenza di misure strutturali che possano dare segnali di ossigeno a tutti quelli che stanno pagando, in perfetta solitudine, gli effetti di questa crisi: i lavoratori e i pensionati.
Anziché avere un progetto per la ripresa economica del Paese, questo Governo assume posizioni rigide verso la gente comune licenziando misure e decisioni che sono contro i più deboli.
Solo spot pubblicitari ingannevoli, fumosi e privi di consistenza, come la social card, come l’abolizione dell’ICI, come la campagna denigratoria dei pubblici dipendenti, come i tagli alla scuola, come il saccheggio dei FAS con cui si tenta di distrarre l’opinione pubblica dai problemi e drammi quotidiani di chi non riesce più a reggere con un salario basso o inconsistente.
Alla richiesta di fisco equo, di lotta all’evasione fiscale, di equità sociale e di diritto di cittadinanza, di lavoro garantito, la risposta è lo scudo fiscale, è il reato di clandestinità, è la controriforma del processo del lavoro.
Alla richiesta di rafforzare lo stato sociale, la risposta è la privatizzazione dei servizi pubblici e della sanità.
Alla richiesta di stabilizzare i precari della scuola, la risposta è la riduzione del personale e la privatizzazione dell’istruzione pubblica.
Ecco l’altra pesante e inaccettabile contraddizione: il sapere, la conoscenza, beni comuni che rappresentano il volano per la ripresa dell’economia e per uno sviluppo di qualità, vengono concepiti come un costo da tagliare in maniera insensata e illogica, attraverso una riduzione senza criterio del personale nella scuola pubblica.
Si vuole smantellare anche l’istruzione pubblica riportandola indietro, ai tempi in cui studiare era un privilegio per pochi e in cui la scuola era caratterizzata da percorsi gerarchici in virtù dei quali, a seconda del ceto di appartenenza, si accedeva al livello di istruzione corrispondente: i licei per i ricchi e per formare le classi dirigenti; gli istituti tecnici, per ceti medi, per formare quadri intermedi; gli istituti professionali, per i ceti bassi, per formare gli operai.
Questa è la riforma Gelmini.
Una riforma classista che non valorizza il sapere, lo mortifica e lo rende un privilegio per pochi.
Non c’è scritto questo nella nostra Costituzione.
I saperi devono essere, parimenti, accessibili a tutti, ad ogni livello e grado, e in maniera libera, senza ostacoli di nessun tipo. Anzi, garantendo chi non ha i mezzi.
La scuola forma i saperi e le coscienze e questo suo ruolo nobile non può essere snaturato da una riforma licenziata senza avere consapevole conoscenza del valore della scuola.
Per questo la CGIL invoca la stabilizzazione dei precari, più ore per l’insegnamento, più ore per il tempo pieno, più ore per il sostegno, una scuola di prospettiva per tutti e non di casta. Dare più soldi alle scuole private, privando di risorse le pubbliche, significa operare una vera “macelleria” sociale e impoverire la cultura.
Tutto ciò ci fa arrivare a dire con amarezza che questo governo sta giocando coi diritti e i bisogni reali della gente, sta agendo contro i bisogni di chi è seriamente e drammaticamente in difficoltà, ma soprattutto prescindendo da principi fondamentali contenuti nella nostra Costituzione.
Questo atteggiamento non è più tollerabile.
Non si può giurare fedeltà alla Costituzione nel momento in cui si assumono ruoli Istituzionali e di Governo del Paese e poi avere comportamenti contrari ai principi che la ispirano.
E’ vergognoso che il Ministro Brunetta possa permettersi di affermare che il primo articolo della Costituzione debba essere modificato o che, per lui, sia incomprensibile tutta l’importanza che gli viene riservata.
Il cuore della nostra Repubblica è il lavoro su cui essa si deve fondare perché il lavoro è realizzazione della persona.
Al centro delle nostre proposte, per uscire dalla crisi, c’è appunto il LAVORO.
Non è accettabile che stiano facendo di tutto per vanificare questo nobile principio, assumendo comportamenti che, al contrario, rafforzano gli ostacoli che impediscono la realizzazione della persona.
Questo Governo accentua gli ostacoli pur di non assicurare il lavoro garantito, il lavoro con i diritti, il lavoro inteso come valore aggiunto e non come mera merce di scambio o come mero fattore della produzione.
E questo ce lo confermano le misure assunte per demolire la legislazione del lavoro e per indebolire il lavoratore.
Intanto il ripristino dello staff leasing e del lavoro a chiamata con cui si frammenta e precarizza il lavoro, facendo diventare la forma normale di lavoro (quella a tempo indeterminato) una chimera; poi il depotenziamento dell’attività ispettiva con cui si è operata una rivisitazione in peius della legislazione del lavoro mettendo al centro le ragioni dell’impresa e non quelle del soggetto debole, il lavoratore o il cittadino.
Gli ispettori diventano consulenti delle aziende verso cui non devono avere l’atteggiamento di censori ma di conciliatori.
A chi il lavoratore deve rivolgersi per assicurarsi che alla sua denuncia faccia seguito un’azione di accertamento che non sia di semplice routine ma di reale controllo? si stravolge anche il ruolo degli ispettori che non hanno più un’esclusiva funzione di garanti dei lavoratori.
Infine la controriforma del processo del lavoro.
Con la approvazione del disegno di legge 1167 – B arriva, da parte di questo governo, l’ennesima MANNAIA contro i lavoratori.
Tale aberrante provvedimento costituisce infatti uno scardinamento sistematico del diritto del lavoro e un indebolimento per i lavoratori a cui si nega di adire, in maniera libera, le vie legali in caso di licenziamento costringendoli, di fatto, all’arbitrato e quindi al giudizio vincolato non alle norme/leggi ma al buon senso e al principio di equità di chi giudica.
Questo significa: lavoratori più deboli e ricattabili, questo significa che a partire da domani, oltre al foglio in bianco per le dimissioni, i lavoratori saranno costretti a firmare anche il foglio in bianco per la rinuncia alla tutela giurisdizionale. Si tenta così di aggirare l’art. 18 che con tanta forza e passione difendemmo nel 2002.
Non crediamo alle parole di chi dice che il lavoratore potrà scegliere quale strada percorrere, se l’arbitrato o le vie legali.
Queste sono pure e autentiche fandonie con cui si offende l’intelligenza di chi, i lavoratori appunto, dobbiamo invece rappresentare e difendere con onestà intellettuale.
Il lavoratore, non ce lo dimentichiamo, è stato, è e rimane la parte più debole in un rapporto di lavoro, stabile o precario che sia, e non può scegliere.
L’art. 18, la tutela giurisdizionale sono per lui una garanzia universale, un mezzo e strumento per superare la sua storica debolezza; col decreto 1167-B si vogliono aggirare questi storici strumenti proprio per avere via libera sulla vita dei lavoratori, via libera sulla riduzione in miseria dei diritti e delle garanzie dei lavoratori.
La CGIL non lo permetterà, come non lo ha permesso nel 2002, raccogliendo tre milioni di firme e portando in piazza 3 milioni di lavoratori per difendere l’art. 18 dello statuto dei lavoratori.
E’ una questione di civiltà. E il nostro sindacato non si sottrarrà dal sostenere l’ennesima battaglia a difesa delle conquiste storiche del diritto del lavoro.
Così come, sempre per una questione di civiltà, non ci stancheremo di sostenere e rivendicare la pari dignità e la comune cittadinanza da assicurare ai migranti presenti nel nostro Paese.
Quei lavoratori, uomini e donne, che producono il 9,7% del PIL nazionale, pari a 122 miliardi di euro, vanno rispettati.
Mai, come in questo momento, c’è bisogno di una battaglia culturale, che la CGIL sostiene, con cui dire ai cittadini stranieri “vi riconosco persone, portatrici di eguale dignità, persone con diritti e doveri, persone che possono dare un contributo a costruire un Paese più forte e più aperto”.
Questa sarebbe una scossa salutare per la nostra democrazia malata, questa sarebbe vera promozione dell’inclusione sociale.
Non può il Governo vincolare queste persone al rispetto della Bossi- Fini e poi negare loro diritti universali come la tutela della salute, l’istruzione, la giustizia, l’uguaglianza, il diritto al voto, la partecipazione attiva alla vita pubblica.
E’ una imbarazzante e palese discriminazione razziale.
Condividiamo l’invito dell’ILO (Organizzazione Internazionale del Lavoro), rivolto al governo Italiano, a modificare il pacchetto sicurezza eliminando il reato di clandestinità che non promuove, per questi uomini e donne, l’integrazione ma ne aggrava l’emarginazione.
Sempre l’ILO invita il Governo Italiano ad impegnarsi a combattere lo sfruttamento dei migranti non solo nel settore del lavoro di cura (badanti) ma anche nel settore edile ed agricolo dove molta manodopera risulta a nero e necessita di regolarizzazione.
In quei settori, spesso, si rasenta la lesione di diritti fondamentali, quali il mancato rispetto della dignità e della persona.
Nelle assemblee congressuali tenutesi nel Metapontino, ho incontrato molti braccianti migranti e anche lì sono stata colpita dai loro sguardi, occhi attenti e vispi da cui trasparivano sentimenti contrastanti, disperazione e speranza, paura e coraggio, sentimenti che in sintesi rivendicano il desiderio ad affermare la loro dignità di persone, la loro voglia di sentirsi cittadini a tutti gli effetti.
Le loro facce, come quelle dei lavoratori italiani, sono facce pulite, oneste e semplici, desiderose di un’unica cosa: vivere in un Paese, l’Italia, migliore di quello attuale.
Sono sentimenti, sguardi e facce che non dimenticherò e che saranno di monito nell’azione che la nostra Camera del Lavoro dispiegherà a difesa di questi lavoratori e lavoratrici, dobbiamo convincerci (cum vincere = vincere insieme) tutti che questa è una battaglia necessaria da vincere insieme! Loro ce lo chiedono!
Nelle assemblee, ho poi incontrato gli anziani, i nostri pensionati, gli sguardi teneri di chi ne ha viste tante, di chi ha la pazienza di raccontare saggi aneddoti da cui trai la forza per dire che, oggi, di fronte alle difficoltà, di fronte agli attacchi continui verso i diritti, non dobbiamo demordere.
Sono i nostri anziani che ci incitano alla riscossa sociale, a scendere nelle piazze, a rispolverare quella coscienza di classe, quella solidarietà tra lavoratori, che ha tenuto uniti, loro, giovani braccianti del nostro territorio, nelle lotte contadine, per rinfrancarsi dal latifondo.
Non avrebbero immaginato di vivere un’epoca così sterile e irrispettosa verso i valori e i diritti che loro hanno affermato con lotte e anche con la morte!
Sono quei pensionati a cui oggi si nega il fondo per la non autosufficienza, quegli anziani a cui si nega la 14.ma, quegli anziani a cui non si è garantita l’aumento delle pensioni, quegli anziani che vivono spesso con difficoltà poiché non possono ricevere assistenza dai loro figli perché non risiedono nel loro stesso comune né dai servizi sociali perché sono carenti o inesistenti né possono permettersi l’assistenza privata perché la pensione bassa non glielo consente.
Ascoltando le loro difficoltà, la loro amara delusione a vivere anche da pensionati, una situazione di difficoltà, quando si sarebbero, legittimamente, aspettati di stare finalmente sereni, si viene ulteriormente stimolati a promuovere con lo Spi, la Flc, la Fp, sinergicamente, la contrattazione sociale da cui molto si può ottenere per le fasce deboli, attive e passive.
La contrattazione sociale nella nostra provincia va promossa con forza, in chiave confederale e universale.
Le Amministrazioni Comunali, la stessa Provincia, devono mettere in conto che non possono esimersi dallo svolgere questa importante funzione di cui il nostro territorio, devastato dalla crisi, avrebbe urgente bisogno.
Il congresso è per noi l’occasione per confermare e rafforzare il nostro impegno a praticare fruttuosamente la contrattazione sociale, strumento utile a fronteggiare la crisi in quanto consente di concertare, per fasce deboli (pensionati al minimo, cassintegrati, precari, disoccupati), tariffe agevolate su acqua, energia, trasporti locali, servizi di assistenza, asili nido.
E il nostro territorio ne ha assoluto e urgente bisogno.
Matera e la sua provincia vive un momento difficile e devastante.
Le nostre assemblee congressuali hanno solo confermato quanto critica sia la condizione delle nostra economia che oggi si connota, prevalentemente, di ammortizzatori sociali.
E’ drammaticamente vero.
E ciò ci richiama tutti alla responsabilità a farci carico della necessità di smuovere l’immobilismo della nostra economia che aveva caratteristiche importanti, via via dismesse, e delle quali oggi restano solo timidi simboli.
Ciò non ci inorgoglisce affatto.
Hanno chiuso i mulini ed abbiamo perso la tradizione della pasta, sta chiudendo Ferrosud e perdiamo un’importante pezzo del settore metalmeccanico, hanno chiuso o dichiarato fallimento importanti marchi del mobile imbottito.
Tutti settori, che insieme alla chimica, hanno dato, a partire dagli anni ‘70 e fino alla fine degli anni 90, grande lustro alla nostra economia.
Un bollettino di guerra a cui abbiamo assistito, contrastandolo con tutte le nostre forze, ma senza potervi, comunque, porre un freno.
Sotto il naso di tutti noi, è avvenuta la fine di importanti settori della nostra economia che sono scomparsi senza grossi clamori, quasi che fosse naturale gestire questa drammatica fine e non opporsi alla stessa.
Cosa si è fatto da parte della politica?cosa da parte delle associazioni datoriali?ben poco se il risultato è il deserto che oggi ci caratterizza.
IL sindacato da solo non poteva farcela.
Lo abbiamo visto e vissuto e subìto con la terribile vertenza Barilla, lo stiamo vedendo con Ferrosud, lo abbiamo vissuto coi lavoratori della Val Basento e, oggi, con quelli del mobile imbottito.
Alla mano tesa del sindacato a concertare per scongiurare chiusure e arginare gli effetti della crisi, c’è quasi sempre, di riscontro, l’indifferenza degli altri a provare, sinergicamente, a combattere, questo disastroso stato di cose.
E’ più facile chiudere che ostacolare le dismissioni.
Il nostro Congresso è anche l’occasione per tendere la mano alla politica, alle associazioni datoriali, alle istituzioni tutte, affinché si faccia quadrato per “rilanciare” la nostra economia, oggi abbruttita da uno scenario di appiattimento totale.
Comprendiamo che la nostra Regione, la nostra Provincia da sole non possono farcela senza risorse stanziate dal Governo centrale, ma bisogna almeno provare a creare nuove prospettive di lavoro e non accontentarsi della “pace sociale” determinata dagli ammortizzatori sociali.
Quella poi, per noi, non è pace sociale; quella è una situazione provvisoria di sostegno dovuto a chi ha perso il lavoro, non per colpa sua; una situazione che non può diventare uno status consolidato e cronico, ma deve restare solo transitorio poiché, a quelle migliaia di cassintegrati, noi dobbiamo dare una prospettiva di lavoro.
Si tratta di giovani lavoratori che non potranno vivere eternamente con un sussidio esiguo di 700 euro.
Quei lavoratori rivendicano un’attenzione che non è legata solo all’ottenimento di proroghe o deroghe degli ammortizzatori sociali ma anche alla ripresa del lavoro, non necessariamente nello stesso settore.
E per questo, nella gestione di questa fase che per noi deve essere transitoria, sosteniamo con forza le proposte della nostra CGIL a rivendicare il raddoppio della durata degli ammortizzatori sociali da 52 a 104 settimane e l’incremento del sussidio di disoccupazione e dei massimali della CIG.
Le risorse a cui si può fare riferimento e su cui si potrebbe puntare, nel nostro territorio materano, per la ripresa dell’economia sono l’ambiente e l’agricoltura.
La valorizzazione e il sostegno delle fonti energetiche rinnovabili e pulite, di cui la nostra provincia è ricca, determinerebbero un duplice risultato: allentare la nostra dipendenza dal petrolio che condiziona quotidianamente le nostre scelte, realizzando così risparmio energetico, e creazione di nuova occupazione, eco-compatibile, attraverso i settori del fotovoltaico, dell’eolico.
Ci esprimiamo pertanto favorevolmente rispetto alle energie rinnovabili sempre però nel rispetto dell’ambiente e del territorio e avvieremo confronti con la Provincia e con la Regione per avere conoscenza di esperienze nel settore già avviate e di esperienze che potenzialmente potrebbero essere promosse.
Al contempo, con altrettanta convinzione, affermiamo la nostra assoluta contrarietà all’energia nucleare e all’individuazione nel nostro territorio locale e nazionale di siti per lo stoccaggio di scorie nucleari o per la produzione e trasformazione di energia nucleare.
Il nostro territorio, il 23 novembre 2003, con la maestosa manifestazione a Scanzano, dimostrò con quanta forza il popolo lucano sia in grado di ribellarsi verso chi avesse intenzione, allora od oggi, di rovinare le nostre fertili terre con depositi di scorie nucleari.
Non vogliamo la morte ambientale della nostra terra. E bene ha fatto la nostra Regione a dichiararsi contraria al nucleare.
La fase congressuale, nella provincia di Matera, si è conclusa col 97,09% dei voti (8481 voti validi) a favore del primo documento, primo firmatario G. Epifani, e con il 2,91% (254 voti validi) per il secondo documento, primo firmatario, D. Moccia.
Questo non significa che il nostro impegno finisce e si esaurisce qui: il congresso rappresenta l’inizio di una fase e mai la fine.
Da questo momento inizia per tutta la CGIL materana, per tutto il suo gruppo dirigente, la fase dell’affermazione delle nostre proposte e delle nostre rivendicazioni a livello locale e nazionale.
Da questo congresso, usciamo più coesi e convinti a non abbassare la guardia.
Abbiamo insegnato ai lavoratori a non togliersi il cappello davanti ai padroni, abbiamo infuso nei lavoratori la forza a non pensare mai al di sotto delle loro possibilità.
I nostri predecessori, Di Vittorio, Lama, Trentin, ci hanno insegnato a non chinare la testa né ad abbassare lo sguardo ma a guardare sempre fiduciosi verso il futuro, risalendo, sempre e comunque, la china, resistendo un minuto in più del padrone, ascoltando le voci e i silenzi dei lavoratori e dei pensionati.
LA NOSTRA CGIL esce rinnovata e rafforzata dal suo congresso territoriale, grazie al fatto che non ha mai perso la sua bussola, quella dei diritti che segna il nostro giusto cammino.
Il nostro ruolo è di stare accanto ai lavoratori, ai deboli, ai precari, ai pensionati, ai giovani, senza ma e senza se, svolgendo il nostro ruolo principe di contrattare al rialzo e mai al ribasso.
Siamo orgogliosi di essere parte di questa centenaria e forte organizzazione a cui non ci stancheremo mai di dare il nostro contributo così come disse Giuseppe Di Vittorio, parlando ai compagni, a poche ore prima della sua morte:“ lo so, la vita del militante sindacale è una vita di sacrifici, a volte scandita da profonde delusioni, anche personali.
Ma so anche che la Causa dei lavoratori è una causa talmente giusta che merita di essere servita anche a costo delle più profonde delusioni; e quando si ha la consapevolezza di questo, credetemi, ognuno di noi può dire a se stesso, alla propria moglie, ai propri figli, … ECCO, IO HO FATTO IL MIO DOVERE FINO IN FONDO.”
E faremo il nostro dovere fino in fondo, scioperando in maniera giusta il 12 marzo 2010 in tutte le piazze italiane contro le politiche di questo Governo che nega il lavoro e l’occupazione, nega il giusto fisco, nega prospettive per i nostri giovani, nega il diritto di cittadinanza.
Sciopereremo per 8 ore con convinzione e con la voglia di svolgere appieno quella responsabilità che grava su di noi di difendere ciò che ci è stato trasmesso, per poi consegnare, alla generazione che verrà dopo di noi, quel tanto che a noi è pervenuto dal passato.
E in questa battaglia che riguarda il fisco, il lavoro, la sicurezza, la cittadinanza, la rivendicazione di politiche per un Mezzogiorno dimenticato dal Governo, auspichiamo di potere ritrovare quell’unità sindacale con CISL e UIL, necessaria a rendere le battaglie, messe in campo nell’interesse di lavoratori e pensionati, più forti e vincenti.
Infine vorrei rivolgere doverosi e sentiti ringraziamenti a tutte le categorie, camere del lavoro e strutture dei servizi per essermi state di supporto in questa mia nuova avventura. Li ringrazio di cuore per avermi fatta sentire sempre, in ogni occasione, con un esercito forte alle mie spalle incoraggiandomi a non mollare mai.
In particolare voglio poi riservare un pensiero speciale ai compagni della segreteria uscente, Marcella Conese, Fernando Mega, Vincenzo David e Antonio Calabrese, per avermi dato, ciascuno, in maniera diversa, quel valore aggiunto che ha migliorato la mia azione quotidiana.
Un ringraziamento a chi poi, ogni giorno, è sempre pronta a rispondere alle mie richieste o sollecitazioni senza mai dire NO, grazie Lucia!
Un Grazie Speciale alla mia famiglia per il fatto di comprendere i miei tempi e le mie necessità sostenendomi sempre e cmq.
Grazie di cuore a tutti, W la CGIL, W TUTTI NOI
se continuiamo ad andare dietro ai sindacati soprattutto quelli della CGIL, il lavoro diventerà non solo un sogno….ma sarà come arrivare sulla stella SIRIO, lontana anni luce da noi…
queti non tutelano gli operai…ma tutelano solamente i loro interessi…fanno di tutto per far rimanere la gente ferma, con la speranza che devono risolvere i problemi dei salotti o di altre aziende che sono fallite….ma vi rendete conto che illudete la gente…il mondo è cambiato..non c’è più la falce e il martello…queste pagliacciate sono ormai fuori moda…il lavoro ve lo dovete creare….apritevi la partita iva e rischiate…basta piangere…datevi una mossa…naturalmente mi riferisco agli operai e giovani…non li ascoltate più a questi…altrimenti come dice il proverbio…i comunisti amano tanto i poveri che ne voglio vedere ancora di
più in giro……