La conferenza di servizio per l’esame dell’analisi dei rischi relativi all’attività dell’ inceneritore Fenice tenuta il 14 dicembre scorso potrebbe rappresentare un giro di boa per ciò che riguarda il controllo ed il monitoraggio ambientale, più puntuale e partecipato.
E’ stata una conferenza di servizio che è passata quasi inosservata eppure per la prima volta sono stati ammessi soggetti “non codificati” , rappresentanti cioè del comitato “ Diritto alla salute” di Lavello.
In quella conferenza di servizio non ci fu solo maggior trasparenza ma , per la prima volta, le istituzioni presenti non si sono presentate con il cappello in mano come è uso fare nei confronti delle multinazionali, Nasser nazionalizzò il canale di Suez nel lontano 1956 e non ebbe timore per gli sbarchi di truppe inglesi e francesi.
La conferenza di servizio si è conclusa con un rinvio di 45 giorni ( 30 Gennaio prossimo) su indicazione dei rappresentanti regionali per permettere alla multinazionale EDF di presentare un piano di rientro dall’inquinamento delle falde acquifere.
La reazione dei rappresentanti della multinazionale è stata di sconcerto eppure era il minimo che si dovesse richiedere : prevedere un piano di rientro.
E’ stata una conferenza di servizi che ha evidenziato quello che da tempo si sperava potesse accadere e che cioè in Regione si sia aperta una nuova politica impostata alla trasparenza in materia ambientale, il tutto appostismo sembra essere relegato in cantina. Tutto questo malgrado cointeressenze, sempre possibili, con la multinazionale nostrana : ACEA, interessata sia alla gestione delle acque, a volte all’arsenico, che al business degli inceneritori.
E’ un filone, questo ultimo , che meriterebbe di essere approfondito, non certo in questa sede, e che trova sponda nell’imprenditoria locale in difficoltà per la crisi del mercato edile e nella attività di ricerca dell’Unibas, costantemente impegnata, anche essa, a reperire nuovi finanziamenti dopo i tagli decisi dalla Gelmini e malgrado quelli congrui regionali rivenienti dalle royalties del petrolio.
Ritorniamo al tema di quella conferenza di servizio e rileviamo l’assenza dei rappresentanti della Provincia di Potenza, organo che dovrebbe essere in prima linea perché preposto alla tutela ambientale del territorio.
E’ difficile aspettarsi qualcosa da un presidente nato nelle sacristie del partito e che ha pensato utile accasarsi e sedersi su una poltrona istituzionale che da maggiori certezze per la stabilità personale, non ultima quella economica.
Assente anche l’Asp perché, purtroppo, la nostra sanità è più impostata alla cura delle malattie che alla prevenzione. In materia di prevenzione ci sono poche risorse da gestire e non si va oltre i convegni con annessa colazione di lavoro.
Il 30 gennaio prossimo, ci sarà il rappresentante di Lacorazza e quello della Sanità e sapranno di cosa di si parla? Non ci resta che attendere e sperare.
Prima di quella data occorre fare un punto serio su tutta la vicenda Fenice.
L’inceneritore era di proprietà della FIAT e fu visto come una pertinenza della SATA.
Non a caso doveva servire per l’incenerimento di alcuni rifiuti industriali della Fiat di Melfi e del suo indotto ed in percentuale ridotta anche per le fabbriche del gruppo presenti in Italia centro-meridionale.
L’attività era destinata anche all’ incenerimento dei rifiuti solidi urbani dell’area.
Da quando Fiat ha venduto le attività non strategiche al gruppo, abbiamo di fronte una multinazionale ( EDF-Fenice) che fa quello che vuole e quello che è grave è che le viene permesso.
Fenice è l’inceneritore ( si evince dal rapporto ISPRA relativo al 2008 e pubblicato nella primavera del 2010) che in Italia brucia la maggiore quantità di rifiuti pericolosi con oltre 20 mila tonnellate, il secondo ne brucia solamente 6 mila. In otto inceneritori del Nord si arriva a bruciare 30.800 tonnellate di rifiuti pericolosi e nella Lombardia con 4 inceneritori si bruciano solo 14 mila tonnellate; l’ Italia Centrale di rifiuti pericolosi ne brucia 2.600 tonnellate e nel Sud, l’unico che opera è quello di S. Nicola di Melfi e che lavora una quantità pari a poco meno del 40% di tutto quanto viene bruciato sul territorio nazionale.
Le 20 mila tonnellate ne producono, poi, 5 mila di ceneri altamente tossiche e pericolose e non è noto verso quale discarica esse siano indirizzate.
Sempre dal suddetto rapporto si evince che la AIA ( Autorizzazione Integrata Ambientale) di Fenice sarebbe scaduta il 19 Ottobre 2010 ed, a noi, non risulta essere, ancora, rinnovata.
La VIA ( Valutazione di Impatto Ambientale) n° 1790 del 1993 dava facoltà di incenerire 65 mila tonnellate annue di cui 35 mila di rifiuti speciali non tossici e nocivi da destinare al forno rotante e le rimanenti 30 mila erano rifiuti urbani o assimilabili, da destinare al forno a griglia
Dalla relazione al piano provinciale di Potenza alla sezione rifiuti speciali ed aggiornato a ottobre 2007 risulta che il forno rotante lavora da un minimo di 45 mila tonnellate ad un massimo di 65 mila , le sostanze bruciate sono meticolosamente dettagliate.
C’è qualcosa che non va proprio, occorre fare chiarezza.
La conferenza di servizio deve essere il momento per riportare ordine nell’attività dell’inceneritore.
Con delibera di giunta N° 2584 del 3 Novembre 1999 venne approvato il piano di monitoraggio ambientale del melfese e si dava applicazione a quanto disposto dalla summenzionata VIA 1790.
Il piano di monitoraggio è ampio ed articolato occorre dare massima pubblicità ai dati rilevati, partendo dal presupposto che lo siano.
Bisogna mettere in rete tutto quanto disponibile così come è accaduto a seguito di un protocollo di intesa stipulato nel materano con Italcementi; in questo ultimo caso si va ben oltre quanto previsto dalla AIA concessa.
– Le tre centraline dell’aria di proprietà della Regione presenti nel melfese forniscono i dati ed essi vengono immessi in rete sul sito dell’Arpab.
– Accade da poco che sul suddetto sito siano presenti i dati di 9 dei 10 pozzi di rilevamento interni alla piattaforma e che hanno fatto scattare l’allarme per i valori fuori norma emersi.
– Non è dato conoscere che fine abbia fatto il previsto decimo pozzo.
– Sono state impiantate le previste quattro centraline per la rilevazione della qualità dell’aria da parte di Fenice, se si perché non è dato conoscere quei dati?
– Perché non è dato conoscere i dati emessi dai due sistemi DOAS e che consentono il monitoraggio automatico e continuo delle concentrazioni medie di diversi agenti inquinanti presenti nell’aria?
– Uno di questi impianti è stato realizzato con fondi regionali.
– Perché non è dato conoscere i dati relativi alle stazioni di Bio – monitoraggio?
– Di queste ultime ne risultano, dai vari documenti in possesso, funzionanti 8 mentre delle tre previste ed a carico della Regione non si sa se siano state impiantate eppure nel Piano di Monitoraggio di cui al DGR 2584 era tutto previsto in maniera puntuale, anche i punti dove impiantare le stazioni automatiche.
– I dati relativi al monitoraggio ai camini e che rilevano cosa viene immesso in ambiente perché non vengono resi pubblici?
– Il monitoraggio riveniente dal prelievo della acque dell’Ofanto a monte ed a valle dell’impianto perché non viene reso pubblico?
Sono tutte cose previste e probabilmente viene anche data attuazione ma un ombra lunga di sospetto si aggira su Fenice e la latitanza istituzionale di questi anni non fa che ingigantirla.
Al momento , dato che non è conosciuto nulla e speriamo solo dai cittadini che, però, sono anche le vittime di quanto accade da quelle parti è giusto sospendere ogni sentenza ma si dia corso rapidamente alla pubblicazione di tutti quei dati che la complessa e prevista rete rileva ; si faccia chiarezza sulle quantità di rifiuti che vengono inceneriti.
Nelle more, stante lo splafonamento -inoppugnabile- dei dati rilevati ad alcuni dei pozzi interni alla piattaforma si sospenda l’attività dell’impianto specie per quella parte più pericolosa e che è quella del forno rotante dove vengono bruciati i rifiuti speciali industriali pericolosi e non.
Si dica, poi, che fine fanno le ceneri e che sono anche esse rifiuti speciali pericolosi ed equivalgono al 25% del materiale combusto.
Quanto raggiunto il 14 dicembre è un primo e timido risultato occorre lavorare nell’ottica della trasparenza, bisogna rassicurare la popolazione con dati certi e gli strumenti per farlo ci sono tutti.
Bisogna mettere in campo quanto previsto senza latitanze o sotterfugi.
Piio Abiusi